ISTRUZIONE/EDUCAZIONE.
In ricordo di Tullio De Mauro
Rosamaria Maggio già presidente del CIDI di Cagliari su Democraziaoggi.
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ISTRUZIONE/EDUCAZIONE.
Il 70% degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)
di Mimmo Càndito
By sardegnasoprattutto/ 12 gennaio 2017/ Conoscenza/
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Il 70% degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)
di Mimmo Càndito
By sardegnasoprattutto/ 12 gennaio 2017/ Conoscenza/
La Stampa 11 gennaio 2017. Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all’80 per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch’essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell’unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”.
Qual é questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva.
Non sono certamente analfabeti “strumentali”, bene o male sanno leggere anch’essi e – più o meno – sanno tuttora far di conto (comunque c’è un 5 per cento della popolazione italiana che ancora oggi è analfabeta strutturale, “incapace di decifrare qualsivoglia lettera o cifra”); ma essi sono analfabeti “funzionali”, si trovano cioè in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso – quasi sempre – non se ne rendono nemmeno conto.
Quando si dice che quella di oggi non è più la civiltà della ragione ma la civiltà della emozione, si dice anche di questo. E quando Bauman (morto ieri, grazie a lui per ciò che ci ha dato) diceva che, indipendentemente da qualsiasi nostro comportamento, ogni cosa é intessuta in un discorso, anche l’”analfabetismo” sta nel “discorso”. Cioè disegna un profilo di società nella quale la competenza minima per individuare una capacità di articolazione del proprio ruolo di “cittadino” – di soggetto consapevole del proprio ruolo sociale, disponibile a usare questo ruolo nel pieno controllo della interrelazione con ogni atto pubblico e privato – questa competenza appartiene soltanto al 20 per cento dei nostri connazionali.
E’ sconcertante, e facciamo fatica ad accettarlo. Ma gli strumenti scientifici di cui la linguistica si serve per analizzare il rapporto tra “messaggio” e “comprensione” hanno una evidenza drammatica.
Non é un problema soltanto italiano. L’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando un po’ dovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre societá (anche Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario ma piuttosto un’ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale) se anche quelle societá denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all’Italia, e alla Spagna.
Il “discorso” è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non é che la scuola renda intelligenti, e però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio – per realizzare pienamente le proprie qualità individuali. Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentiche bestie, e però è molto più probabile trovare “bestie” tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. (La percentuale dei laureati in Italia, poi, é poco più della metà dei paesi più sviluppati.)
Diceva Tullio De Mauro, il più noto linguista italiano, ministro anche della Pubblica Istruzione (incarico che siamo capaci di assegnare perfino a chi non ha né laurea né diploma – e questo dato rientra sempre nel “discorso”), che più del 50 per cento degli italiani si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge le complessità, ma che anche davanti a un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale) é capace di una comprensione appena basilare.
Un dato impressionante ce l’ha fatto conoscere ieri l’Istat: il 18,6 per cento degli italiani – cioè quasi uno su 5 – lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non é mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale, e non é azzardato credere – visti i dati di riferimento della scolarizzazione – che la sua comprensione della realtà lo piazzi a pieno titolo in quell’80 per cento di analfabeti funzionali (che riguarda comunque un universo sociale drammaticamente molto più ampio di questa pur amara marginalità).
E da qui, poi, il livello e il grado della partecipazione alla vita della società, le scelte e gli stili di vita, il voto elettorale, la reazione solo di pancia – mai riflessiva – ai messaggi dove la realtà si copre spesso con la passione, l’informazione e la sua contaminazione con la pubblicità e tant’altro che ben si comprende. E’ il “discorso”.
Il “discorso” ha al centro la scuola, il sistema educativo del paese, le scelte e gli investimenti per la costruzione di un modello funzionale che superi il ritardo con cui dobbiamo misurarci in un mondo sempre più aperto e sempre più competitivo. Se noi destiniamo alla ricerca la metà di un paese come la Bulgaria, evidentemente c’é un “discorso” da riconsiderare.
(Questo testo é un omaggio a Tullio De Mauro, morto nei giorni scorsi, che ha portato la linguistica fuori dalle aule dell’accademia, e l’ha resa uno degli strumenti fondamentali di analisi di una società)
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- Approfondimenti:
un’intervista a Andrea Camilleri.
- Tullio De Mauro: un popolo di analfabeti (culturali) – video -.
La mia riflessione all’incontro col Vescovo del 10 dicembre 2017 La CSS è da tempo impegnata a studiare il fenomeno della
disoccupazione giovanile con particolare riguardo alla Sardegna.
I dati socio-economici sono drammatici,ma non sono esaustivi del
fenomeno che li sottende.
Gli studi sociologici ed antropologici comparati mettono in evidenza
il fatto che i nostri giovani sono in maggioranza abbandonati a sè
stessi e si sentono trascurati a tal punto da percepire la loro
presenza come inutile in questa nostra società perché in gran parte
esclusi da qualsiasi progettualità e programmi che ne richiederebbero
il loro coinvolgimento.
Le Autorità politiche a livello regionale e territoriale mettono in
evidenza il dato economico,la mancanza di lavoro,lo stesso grave dato
dei giovani che non ricercano più il posto di lavoro in quanto
“scoraggiati”e quasi ombre di sé stessi;ma nulla fanno per evitare che
questi giovani spariscano nell’anonimato,se non rilevarli come puro
dato statistico nell’indice pauroso di dispersione scolastica e nel dato
della povertà relativa dove moltissimi giovani sono precipitati anch’essi
in coda alle mense della Caritas.
Abbiamo voluto approfondire il fenomeno e ci siamo accordi che
sicuramente nella fascia dei giovani con scolarizzazione medio – alta
la “fuga” all’estero dei nostri giovani non è solo un fatto economico
di mancanza di posti di lavoro,di bassi salari e di assoluta assenza
di prospettiva. Molti giovani ci hanno risposto che vanno via dalla
Sardegna perché si sta affievolendo il loro senso di appartenenza ad
una Comunità sempre meno inclusiva e tale da non essere più capace di
attrarli e mantenerli nel proprio ambito e territorio:manca un
progetto a cui siano chiamati a collaborare come protagonisti anche
con poche risorse economiche.
Una delle piaghe della nostra società sarda è l’assistenzialismo che
da intervento necessario in determinate condizioni di urgenza e
drammaticità ha finito per diventare misura permanente e di lungo
periodo,debilitando fortemente la spinta per uscire dall’emergenza.
In Sardegna l’assistenzialismo copre in gran parte la sfera ampia
della mancanza del lavoro e gli stessi imprenditori,forze politiche e
purtroppo sindacali finiscono per gestire solo ed esclusivamente
queste ingenti risorse finanziarie per amortizzare centinai di
migliaia di persone che vivono solo in funzione di esse. La prova
provata è che le stesse lotte sindacali in questi ultimi anni sono
a sostegno di chi sta per perdere i sussidi o chi aspira ad averli.
Mi sono chiesto con quale spirito un giovane che,alzandosi presto la
mattina va a lavorare per 8 ore con una paga di 600/800 euro con
l’incubo della precarietà,può accettare che ci sia una società intorno
a lui che,senza lavorare,prende più di lui e gode di maggiori
sicurezze.
L’assistenzialismo mette in competizione le generazioni e fa in modo
che soprattutto i giovani non accettino questa situazione che si
riverbera anche nella corsa all’impiego ed ai pochi posti di lavoro
disponibili,dove la raccomandazione ha la stessa radice
dell’assistenzialismo che rifugge sicuramente dal merito soprattutto
nei concorsi pubblici dove prevale il clientelismo con cui i potenti
di turno-non solo i politici -si assicurano voti e prebende.
C’è poi una visione del lavoro che,se distaccata dall’etica,non è
più accettabile almeno in termini moderni di società matura. Su questo
condivido e sottoscrivo ciò che Papa Francesco disse a Cagliari ai
lavoratori riuniti nel Largo Carlo Felice. Ma soprattutto affidò
al discorso scritto che consegnò ai Vescovi Sardi nella persona del
suo Presidente :
“Un lavoro dignitoso per tutti. Una società aperta alla speranza non si chiude in
se stessa, nella difesa degli interessi di pochi, ma guarda avanti nella prospettiva del
bene comune. E ciò richiede da parte di tutti un forte senso di responsabilità. Non c’è
speranza sociale senza un lavoro dignitoso per tutti. Per questo occorre »perseguire
quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento per tutti.
(Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 32)».
«Ho detto lavoro “dignitoso”, e lo sottolineo, perché purtroppo, specialmente quando
c’è crisi e il bisogno è forte, aumenta il lavoro disumano, il lavoro-schiavo, il lavoro
senza la giusta sicurezza, oppure senza il rispetto del creato, o senza rispetto del
riposo, della festa e della famiglia, il lavorare di domenica quando non è necessario. Il
lavoro dev’essere coniugato con la custodia del creato, perché questo venga
preservato con responsabilità per le generazioni future. Il creato non è merce da
sfruttare, ma dono da custodire. L’impegno ecologico stesso è occasione di nuova
occupazione nei settori ad esso collegati, come l’energia, la prevenzione e
l’abbattimento delle diverse forme di inquinamento, la vigilanza sugli incendi del
patrimonio boschivo, e così via. Custodire il creato, custodire l’uomo con un lavoro
dignitoso sia impegno di tutti! Ecologia… e anche ’ecologia umanà!».
Alla luce di questo insegnamento di Papa Francesco,mi chiedo se non
sia giusto che i nostri giovani in Sardegna,crescano nella
consapevolezza che non debbano lottare e ricercare un lavoro
qualunque e alle condizioni e ricatti quali accettare lavori da
schiavi,di distruttori del territorio,di inquinatori,di costruttori
di bombe,come se il loro futuro lavorativo non possa essere quello
di costruttori di pace nel rispetto delle persone,dell’ambiente e del
proprio territorio.
Giacomo Meloni
Segretrario Generale della CSS
Cagliari,5/12/2016