Bauman e la decadenza degli intellettuali

di Diego Fusaro | 10 gennaio 2017 su Il fatto quotidiano.

Se ne è andato anche Zygmunt Bauman. Abbiamo perduto un altro protagonista indiscusso del pensiero del Novecento e di questo nuovo scorcio di millennio. Un pensatore, peraltro, noto anche al grande pubblico, data la sua frequentissima presenza a festival letterari e rassegne aperte ai non addetti. Un autore amato dal grande pubblico, l’emblema di una cultura che, gramscianamente, si sedimenta in senso comune.
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Contrariamente a quanto a reti unificate hanno ricordato tv giornali e sacerdoti del politicamente corretto, Bauman non è stato solo il teorico della società liquida. Certo, quello è il concetto a cui, a torto o a ragione, è e resterà legato il suo nome. E ciò grazie anche alla sua insistenza maniacale sul tema, divenuto, a dire il vero, una sorta di passepartout, un prodotto reclamizzato dall’industria culturale come chiave ermemeutica onnicomprensiva. Tutto diventa liquido nella tarda modernità, dalla paura all’amore. E così, paradossalmente, la categoria critica di liquidità si capovolge in un dogma rassicurante e cessa di svolgere, appunto, la sua funzione demistificante.

Ma Bauman non è stato solo questo. Per fortuna, aggiungerei. È stato anche il fine analista della coscienza di classe e della “economicizzazione del conflitto”: così nell’indimenticabile “Memorie di classe”, saggio nel quale è studiata con immenso acume l’anestetizzazione della coscienza rivoluzionaria dei subalterni.

E Bauman è stato anche il teorico della “decadenza degli intellettuali”, secondo il titolo di un suo importante e misconosciuto saggio. Saggio certo irricevibile, giacché a differenza del concetto – buono per tutte le stagioni – di “liquidità” pone scomodamente l’accento sulla patologia degli stessi che oggi cantano l’omelia ditirambica in onore di Bauman: gli intellettuali sono decaduti in quanto da legislatori sociali e critici irriducibili sono diventati meri oratores, semplici mandarini e cani da guardia del potere. Da scomodi e perseguitati nemici del potete e delle sue storture a semplici cantori postmoderni dell’ordine simbolico dominante, legittimato sub specie mentis.

In una parola, dall’immenso Gramsci a Roberto Saviano, per parlare di cose tristemente attualissime. È questo, e non la società liquida, l’insegnamento di Bauman che personalmente voglio ricordare e celebrare.

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