La Cultura ci salverà

pensa toreCome affrontare la situazione sarda? Investiamo in e sulla Cultura, a partire dall’istruzione e dall’educazione
di Franco Meloni*

“La Cultura ci salverà”: salverà il Mondo, l’Europa, l’Italia, la Sardegna, le nostre città e i nostri paesi… Non automaticamente, certo, ma se ci crediamo e se ci impegneremo come persone e organizzazioni, a tutti i livelli, questa affermazione potrà/dovrà tradursi in opere e pensieri davvero salvifici. Ma cos’è la Cultura? Per i ragionamenti che seguiranno possiamo accontentarci di una sintetica e pertanto riduttiva definizione: “insieme di conoscenze e di pratiche acquisite che vengono trasmesse di generazione in generazione e che ovviamente si accrescono nel tempo”. La nostra riflessione sulla Cultura qui attiene soprattutto alla sua componente fondamentale “istruzione/educazione”, riferita alla situazione sarda. In questa direzione: se è vero che vogliamo che la Cultura e in essa la sua componente essenziale dell’istruzione/educazione possano operare per dare sviluppo e benessere alla Sardegna dobbiamo innanzitutto prendere atto della situazione e attrezzarci per migliorarla, riconoscendo evidentemente quanto di buono già si fa.
I pochi dati esposti nelle tabellle sotto riportate sono sufficienti a dare conto della situazione dell’istruzione in Sardegna confrontati con i dati complessivi dell’Italia. Ci accorgiamo che i valori sono complessivamente bassi in Italia, e, ancora di più, in Sardegna, specie se confrontati con i dati dei più virtuosi paesi dell’Europa e del Mondo.
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Mettiamo in evidenza come in Sardegna vi siano ben 300mila persone con la sola licenza elementare o con nessun titolo di studio (il 20,6% della popolazione presa in considerazione). Anche se il livello delle conoscenze non è misurato totalmente dai titoli formali, il dato è comunque significativo e pertanto preoccupante, considerato che comunque segnala l’inadeguatezza della preparazione delle persone rispetto alle esigenze delle attività lavorative e della vita associativa.

Se poi ci riferiamo in particolare ai giovani, è pertinente definire la situazione disastrosa. Al riguardo citiamo ancora una volta il Rapporto Crenos 2016, che afferma che il tasso di abbandono scolastico è tra i più elevanti in Italia, e la percentuale di giovani inattivi, in costante crescita. Nel 2014, il 29,6% dei ragazzi e il 17% delle ragazze in età 18-24 anni ha abbandonato gli studi e oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 24 anni (30,6 per i ragazzi e 24,7% per le ragazze) non studia e non lavora (i c.d. NEET – Not in Education, Employment and Training).

Giustamente i recenti rapporti Caritas sulle povertà hanno inserito questi giovani tra i nuovi poveri, segnalando la necessità di robusti interventi risolutivi. I quali, peraltro, sono chiaramente proposti da più parti, ma praticati in misura decisamente insufficiente. Tra gli interventi in corso di realizzazione è giusto ricordare per la Sardegna il Progetto Iscol@, l’efficacia del quale non è ancora possibile verificare.

Riteniamo utile a questo punto riepilogare dette proposte, che si articolano in sette ambiti di intervento (informando che provengono da operatori ed esperti dell’ambito Caritas, Cnos-Fap dei Salesiani e della pastorale giovanile Cei, che per i Neet si avvalgono delle elaborazioni del prof. Dario Nicoli, docente di sociologia dell’Università Cattolica di Brescia).
1. Lavoro e inserimento lavorativo:
- attivare, anche attraverso incentivi economici, percorsi di inserimento lavorativo, attraverso l’avviamento d’impresa ed esperienze formative e lavorative;
- rilanciare l’istituto dell’apprendistato, in raccordo con il sistema delle imprese e i centri di formazione professionale.
2. Formazione professionale:
- prevedere un uso integrato degli strumenti disponibili: tirocini, voucher, alternanza scuola-lavoro, apprendistato, ecc., per puntate alla crescita personale e professionale;
- sostenere la partecipazione ai corsi Iefp (istruzione e formazione professionale), finalizzati al conseguimento di qualifiche spendibili a livello nazionale e comunitario.
3. Scuola-educazione:
- fare in modo che la formazione scolastica sia più aderente alle necessità del mondo del lavoro, trasmettendo la cultura positiva del lavoro;
- costruire percorsi educativi, formali e informali, di aggiornamento a tutoraggio, con attenzione alle esigenze dei giovani in condizione di povertà o disagio sociale.
4. Orientamento, accompagnamento e tutoraggio:
- avviare azioni di orientamento già a partire dalla scuola media, tramite metodologie e strategie attive di orientamento professionale;
- rivolgere attenzione particolare ai territori maggiormente trascurati da progettualità investimenti, garantendo relazioni positive con genitori e famiglie.
5. Cultura, risorse e territorio:
- valorizzare la presenza dei luoghi positivi di aggregazione (oratori, istituzioni di istruzione e formazione professionale, scuole popolari, associazioni, società sportive, ecc.);
- sviluppare reti territoriali tra soggetti del sistema educativo e del sistema economico, integrando politiche di istruzione, formazione e lavoro.
6. Attenzione – supporto alla persona:
- progettare interventi personalizzati di recupero dei Neet in prospettiva educativa, puntanti sulla ripresa dell’iniziativa e dell’intraprendenza personale;
- favorire esperienze di abitazione-coabitazione autonoma o altre soluzioni di “sgancio” dalla famiglia di origine, anche prevedendo forme di alleanza tra giovani.
7. Welfare – assistenza sociale:
- necessità di sostegno al reddito per favorire lo studio dei ragazzi in situazione di povertà economica;
- politiche per le famiglie, attraverso agevolazioni fiscali, borse di studio e sostegni per l’acquisto di testi o strumenti didattici.
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C’è molto da fare e le energie per intervenire non mancano: occorre organizzarle in una logica di solidarietà intergenerazionale.
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* Articolo pubblicato sul n. 23 del 25 dicembre 2016 del periodico Nuovo Cammino della Diocesi di Ales-Terralba.
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