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democraziaoggiLeggendo il libro di Francesco Casula. Palabanda: congiura, rivolta o repressione preventiva?
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Palabanda murale
(Nuxis: murale di F. De Casino in ricordo della latitanza dell’avv. Salvatore Cadeddu)
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Leggendo il libro di Francesco Casula. Palabanda: congiura, rivolta o repressione preventiva?

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Carlo Felice feroce di F CasulaIn questi giorni mi son dato alla lettura del libro di Francesco Casula su “Carlo felice e i tiranni sabaudi“, edizioni Grafica del Parteolla, 16 euro. Mi propongo, a fine lettura, di farne una recensione, voglio però subito segnalare che è un libro utile non tanto per gli spunti analitici, ma perché l’autore fa parlare i fatti. Questi di per sé dicono di quale mala pasta siano stati i re sabaudi. Macellai dei sardi, repressori brutali di ogni moto di libertà e modernizzazione dell’Isola.
Di queste nefandezze parlerò in altra occasione, ora mi preme affrontare un tema, già trattato da Casula, e riproposto: Palabanda. Fu congiura o rivolta rivoluzionaria? Francesco, con dovizia di argomenti e buon senso, smonta l’ipotesi secondo cui l’Avv. Salvatore Cadeddu e gli altri del club di Palabanda agissero nel contesto di intrighi e scontri di palazzo, all’interno della Corte sabauda. Insomma nega che fossero a favore di Carlo Felice contro il re Vittorio Emanuele I. Su questo punto ha ragione Lorenzo Del Piano: se dopo due secoli questa tesi non è stata avvalorata da alcun documento, questo basta a dire che è infondata. E’ più probabile che qualcuno dell’entourage del re abbia voluto utilizzare ex post l’episodio strumentalmente per un regolamento di conti interno al palazzo: Villamarina, più vicino al re, contro Villahermosa, legatissimo a Carlo felice, per capirci. Di questo tentativo di utilizzo postumo della vicenda c’è un riscontro nella relazione che sui fatti fece a metà dell’800 Antioco Pabis, precettore nella casa del fratello di Salvatore Cadeddu, Giovanni, condannato all’ergastolo per i fatti di Palabanda. Lo scritto, ritrovato da Francioni nell’archivio di Sassari fra le carte del deputato Francesco Sulis, è riportato nell’appendice della sua Per una storia segreta della Sardegna fra Settecento e Ottocento (ed. Condaghes, 1996). In esso Pabis narra delle pressioni subite negli interrogatori cui fu sottoposto durante la carcerazione, mentre era in corso la repressione contro Cadeddu e compagni. Gli si voleva far dire, evidentemente per conto del Villamarina, che Villahermosa era coinvolto nella “emozione”.
Niente congiura, dunque. Casula in questo senso indica elementi difficilmente contrastabili: il gruppo, che si riuniva in casa Cadeddu nell’orto di Palabanda, non era formato da intellettuali interni alle dinamiche della corte; erano persomalità di primo piano, protagonisti nei moti angioyani e ancor prima nello “scommiato” dei piemontesi del 28 aprile 1794. Non erano però isolati, autoreferenziali. Al contrario, avevano solidi legami col popolo cagliaritano dei quartieri per il tramite di alcuni validi e sperimentati capipolo che facevano parte del loro club: Raimondo Sorgia (conciatore), Giovanni Putzolu (sarto), il pescatore Ignazio Fanni e il panettiere Giacomo Floris, per citare i più noti. I primi due impiccati gli altri condannati duramente per i fatti di Palabanda. Insomma – come già documentato da Francioni – emerge un fronte democratico organizzato e ramificato tramite i sanculotti locali, incompatibili con intrighi di palazzo, e invece meglio comprensibili in una prospettiva rivoluzionaria. E’ noto, d’altronde, che nel 1812 esistevano almeno tre fattori di grande rilievo a spingere verso una sollevazione: su famini de s’annu doxi, la costituzione di Cadice, la costituzione siciliana concessa dai Borbone trasferitisi a Palermo per l’occupazione dei napoleonici del regno di terraferma.
Insomma, era tempo di fermenti e molte ragioni, interne ed esterne, inducevano a credere maturo il momento del passaggio all’azione. Ma qui sorge il vero problema: non fu congiura, ma fu rivolta? Qui si appuntano i miei dubbi. Sembra troppo esile la ragione della desistenza da un’azione accuratamente preparata. Se veramente a Marina, Stampace e Villanova il popolo era pronto a passare all’azione quella notte del 30 ottobre, come mai non si mosse? Possibile che il semplice incontro da parte del Floris di una pattuglia in perlustrazione abbia indotto alla desistenza? Fra l’altro, c’era anche un contingente di marina pronto a sostenere l’insurrezione. Inoltre, sul modello siciliano gli inglesi (che facevano il blocco navale ai francesi) volevano quantomeno imporre una costituzione capace di temperare il feroce assolutismo sabaudo e parare così l’avanzata anche solo ideologica di Napoleone. Insomma, come è poco credibile la tesi dell’intrigo, mi pare lo sia altrettanto quello della rivolta. Cio non esclude che sia vera la notizia di una soffiata al re ed al colonnello Villamarina ad opera dell’avvocato del fisco Raimondo Garau, ma forse si trattò solo di informazioni sulle discussioni in casa Cadeddu a Palabanda. Il Villamarina, d’altra parte, la mattina del 31 ottobre non mostra alcuna preoccupazione a farsi vedere in pubblico senza particolari cautele se è vero che giunse a tiro del Putzolu, che manifestò l’intenzione di sparargli, suscitando la contrarietà dei suoi compagni. Un atteggiamento questo del Villamarina, capo delle regie milizie, poco compatibile con uno stato d’assedio. Insomma, stando ai fatti, è forse improprio parlare perfino di tentativo di rivolta, che presuppone l’esistenza di una fase almeno iniziale dell’azione, che invece non ci fu.
E allora? Allora sembra più plausibile l’ipotesi che la rivolta fosse in preparazione, ma non ancora in fase di esecuzione. E più probabile che invece il re e Villamarina giocarono d’anticipo. Avendo notizia o sospetto di preparativi. O forse più semplicemente,convinti che la carestia e il malcontento popolare avessero raggiumto livelli di rottura, che le notizie dalla Spagna e dalla Sicilia rendessero possibile una sommossa, intervennero preventivamente a tagliarne la testa, arrestando, giustiziando e mandando in gallera i possibili capi, ossia i ben noti democratici cagliaritani, intellettuali e sanculotti. Non una congiura, certamente, ma neppure una rivolta. Una repressione preventiva, brutale e sanguinaria: l’eliminazione con le forche e la galera della testa intellettuale e delle gambe popolari della possibile e imminente rivolta. In questa direzione spingono tutti i comportamenti dei Savoia, ben documentati nel libro di Casula: la macelleria sabauda entrava in azione preventivamente, a prescindere da prove e da processi. Un caso esemplare è quello di Vincenzo Sulis, il capo-popolo molto legato al re e alla corte. Fu lui, organizzando una milizia popolare, a battere sostanzialmentre i francesi quando tentarono lo sbarco a Cagliari e fu lui a far venire i Savoia in Sardegna fornendo loro una difesa con le sue milizie e perfino piatti e posate quando sbarcarono a Cagliari. Eppure furono i Savoia a imprigionarlo senza processo nella torre di Alghero e dopo vent’anni, benignamente, a mandarlo all’ergastolo a La Maddalena, dove morì. E sapete quale fu la sua colpa? Fidarsi dell’amicizia e della confidenza accordatagli dal duca d’Aosta, il futuro Vittorio Emanuele I. A lui Sulis mostrò una lettera di Napoleone che gli prometteva onori e ricompense se gli avesse aperto le porte dell’Isola. Pensando di comprovare al principe sabaudo l’assoluta e disinteressata fedeltà, già mostrata sul campo nel respingere i francesi, si scavò invece la fossa. Solo la paura che un capopopolo come Sulis potesse mutare opinione nei confronti dei francesi, senza che peraltro ce ne fosse neppure il più lontano indizio, indusse i Savoia a farlo fuori condannandolo alla sua infelice e barbara carcerazione perpetua.
Mi rendo conto che la tesi qui avanzata toglie a Palabanda quel carattere romantico, che sempre i fatti rivoluzionari hanno. Ma non toglie nulla al valore di quei combattenti, il cui martirio testimonia della loro grande determinazione nella lotta per un’evoluzione democratica della Sardegna. Ogni paese sardo dovrebbe intestare ai loro nomi vie e piazze ed erigere monumenti a ricordo della loro dignità.
Al mio paese, a Nuxis, dove l’Avv. Salvatore Cadeddu – secondo la puntuale ricostruzione della latitanza fatta da Antioco Pabis (vedi appendice del libro di Francioni) – fu latitante dalla fine del 1812 fino alla primavera del 1813, prima del trasferimento a S. Giovanni Suergiu e all’arresto per delazione, abbiamo iniziato, con la Pro Loco, a ricordare Salvatore Cadeddu e i martiti di Palabanda. Abbiamo dedicato loro un favoloso murale di Francesco Del Casino. In primavera inaugureremo il “Sentiero della libertà” che conduce alla grotta di Conch’e Cerbu vicino al furriadroxiu di Tattinu dove – sempre secondo le notizie di Antioco Pabis di metà ‘800 – Salvatore Cadeddu fu nascosto dal capraio Luigi Impera. Piccoli tasselli di storia, come il libro di Francesco Casula, per dare ai sardi consapevolezza di sé.

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