GIOVANI e FEDE
atei? un’indagine sorprendente
di Giannino Piana su Rocca 23/2016
Nonostante la grande difficoltà che si ha oggi ad interpretare il mondo giovanile, sia per le marcate differenze esistenti al suo interno che per la estrema mobilità che lo caratterizza, si può dire che il fenomeno della «non credenza» (o forse più radicalmente dell’«ateismo») è in esso in consistente crescita. A rilevare, con chiarezza, questo dato è una ricerca nazionale condotta di recente da Franco Garelli e pubblicata dall’editrice Il Mulino (Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio?, Bologna 2016, pp. 231) su un ampio campione di giovani dai 18 ai 29 anni, residenti nelle diverse aree geografiche della nostra penisola e appartenenti alle diverse classi sociali.
Il 28% dei giovani indagati si dichiarano infatti «non credenti» e l’aspetto più sorprendente è costituito dal tasso di accelerazione che tale fenomeno ha avuto negli ultimi anni, se si considera che l’incremento odierno è del 40% superiore rispetto al 2007, anno in cui è stata condotta, con criteri analoghi, una indagine sulla situazione religiosa in ambito giovanile. Se a questo si aggiunge che il numero dei giovani che manifestano in maniera convinta la loro fede si è ridotto negli ultimi venti anni del 30% – essi rappresentano oggi circa il 10,5% dell’intera popolazione giovanile – si ha un quadro della situazione che non può che suscitare allarme nei responsabili delle istituzioni religiose e negli operatori pastorali.
le ragioni del distacco
Il fenomeno, peraltro più contenuto rispetto ad alcune aree europee, coinvolge maggiormente le zone più avanzate del Nord e i soggetti con istruzione più elevata e riguarda – anche questo è un elemento significativo – giovani che per oltre il 90% hanno ricevuto il battesimo e fatta la prima comunione (un po’ meno la cresima) e per il 68% hanno frequentato, almeno per qualche tempo, la parrocchia e l’oratorio. Le ragioni di questo distacco, che risulta ancora più rilevante se si assomma a coloro che si professano «non credenti» il numero consistente di «atei pratici», cioè di coloro che pur dichiarandosi credenti vivono «come se Dio non esistesse», sono molte e di diversa natura. Ciò che le accomuna è tuttavia una doppia convinzione: l’impossibilità di conoscere ciò che supera la conoscenza sperimentale e la considerazione che non è necessario il ricorso a Dio per condurre una vita sensata e moralmente corretta.
Nel primo caso, ad esercitare un ruolo determinante è l’affermarsi della mentalità positivista e scientista, che induce – direbbe Gabriel Marcel – all’assunzione di un atteggiamento «problematico» con l’esclusione conseguente del «senso del mistero», che viene identificato con l’«irrazionale» o con il «magico». Nel secondo, oltre alla constatazione della scarsa testimonianza resa da coloro che si dicono «credenti», i quali ispirano spesso la loro condotta alla logica mondana, un’importanza decisiva riveste il processo di secolarizzazione, che ha reso evidente l’autonomia dell’etica dalla religione, la possibilità cioè di fondarla sulla ragione umana e perciò di condurre una vita onesta a prescindere dal riferimento religioso. In ambedue i casi ad essere messa sotto processo è la religiosità tradizionale che risulta a molti priva di una vera convinzione di fede, improntata a una visione precettistica e di facciata e basata ancora sulla immagine di un Dio giustiziere.
Ma a questi fattori che coinvolgono la significatività della fede e la sua capacità di tradursi nell’acquisizione di stili di vita umanizzanti si associano (e si assommano) fattori esterni, che hanno direttamente a che fare con il difficile rapporto con la chiesa, caratterizzato, in molti casi, da un rifiuto radicale, causato da ragioni sia ideologiche che pratiche. Alla contestazione della mediazione ecclesiale, frutto di un sentire religioso sempre più soggettivo ed autonomo, si accompagna la denuncia dell’anacronismo delle posizioni ecclesiastiche su molte questioni attuali di carattere etico – si pensi soltanto alla morale sessuale e familiare e alla bioetica – e, ancor più radicalmente, la reazione nei confronti dell’atteggiamento dogmatico, dello stretto intreccio con la politica (e con il potere in generale) e della contro testimonianza del mondo ecclesiastico: devastanti sono stati, al riguardo, gli scandali recenti provocati dal fenomeno dei preti pedofili e da Vatileaks.
Si può, in definitiva, affermare che la religione ha perso di credibilità e di funzione sociale, mentre, a sua volta, la chiesa, che registra un forte ritardo sul terreno della comunicazione, sia a causa del linguaggio arcaico della predicazione e della catechesi, sia di un vero e proprio deficit relazionale, motivato soprattutto dalla scarsa disponibilità dei sacerdoti – anche per la loro radicale riduzione numerica – a farsi trovare e ad ascoltare.
luci e ombre della situazione
In realtà, a ben vedere, l’estraneità alla fede, che i giovani non hanno oggi remore a manifestare – questo è forse uno dei motivi per cui i «non credenti» appaiono quantitativamente più numerosi del passato – è addebitabile, in ultima analisi, a un clima culturale, in cui individualismo libertario, materialismo, consumismo e logica mercantile sembrano divenuti gli unici criteri ai quali ispirare la propria condotta. Le difficoltà a vivere la fede, qualche volta persino a rendere pubblica la propria appartenenza religiosa – come osserva D. Hervieu-Léger riferendosi in particolare alla situazione francese – sono molto più accentuate che in passato. Il vangelo è oggi più che mai «segno di contraddizione»; è un messaggio controcorrente, alternativo alla logica dominante, e dunque faticoso da accettare e fare proprio, anche se grandemente liberante. Accanto alle ombre non mancano tuttavia le luci. A colpire nell’inchiesta di Garelli è, a tale proposito, la persistenza nel mondo giovanile di una consistente domanda di senso e l’ammissione da parte del 67% dei giovani interpellati che «credere in Dio» è un atteggiamento plausibile, nonché il riconoscimento che il bisogno religioso ha un carattere perenne, perché costituisce una delle risposte più autorevoli alla questione del senso. E ancora più significativa è la constatazione che la fede di quanti si definiscono credenti, lungi dal dipendere da condizionamenti ambientali o da convenzioni sociali, è la risultante di una scelta responsabile, non abitudinaria, ma radicata su convinzioni profonde, che conducono sul piano esistenziale a comportamenti maggiormente coerenti.
un nuovo modello di religiosità
La crisi della fede, d’altronde – è questo un tratto che l’analisi di Garelli non manca di rilevare – non significa abbandono di ogni forma di spiritualità, che ha tuttavia carattere eminentemente individuale e che riveste connotati strettamente immanenti, non identificandosi con il rapporto con l’Altro ma con il proprio mondo interiore. Una spiritualità, dunque, di carattere tendenzialmente orizzontale, volta a conferire armonia e benessere alla persona. A questa accezione ci si riferisce nell’inchiesta quando si parla di milieu olistico, alludendo a un contatto con il sé mediante la convergenza positiva di corpo, mente e anima. Questo giustifica anche l’accostamento alla spiritualità orientale, induista e buddista in particolare, sia pure interpretate in forme occidentali spesso vaghe e imprecise, nonché la diffusione, più in generale, di esperienze alternative, per quanto in misura ancora piuttosto ridotta.
D’altra parte, anche laddove, come in molti casi, si dà una sovrapposizione tra spiritualità e religione – quest’ultima rappresentata in primo luogo dal cattolicesimo per la persistenza piuttosto diffusa di una subcultura cattolica – l’esigenza che prevale è quella di ritagliarsi una fede su misura, rispondente alle proprie esigenze, con la tendenza perciò a vivere una credenza senza appartenenza.
Questo spiega anche come i confini tra credenti e non credenti non siano così netti; religione ed ateismo non sono categorie monolitiche e fisse, e come la spiritualità costituisca una sorta di «zona intermedia» o «terra di mezzo» tra di esse. Spiega come il mondo giovanile si presenti cioè come un mondo articolato, con una ricca gamma di posizioni intermedie e con frequenti oscillazioni tra i due poli. Ma spiega soprattutto come sussista su ambedue i fronti un senso di profonda tolleranza e di rispetto di scelte diverse e una convergenza nella critica ai modelli religiosi prevalenti e alla chiesa di cui si salvano soltanto le realtà impegnate nel sociale e nell’aiuto ai poveri.
L’indagine di Garelli non si accontenta tuttavia di descrivere la situazione presente. Lascia intravedere gli orientamenti che le diverse agenzie educative – dalla famiglia alla scuola, alla parrocchia, fino alle associazioni e ai movimenti – oggi non sempre all’altezza dei bisogni veri, devono mettere in campo, se intendono fornire ai giovani strumenti adeguati per reagire alla situazione di crisi valoriale e religiosa attuale e far maturare scelte religiose dotate di autenticità e di solidità. La posta in gioco è infatti assai alta. La fede riveste ancor oggi un ruolo di prim’ordine per la promozione della persona e per la costruzione di una società più giusta e più solidale.
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