Oggi mercoledì 14 dicembre 2016

Punta de billete per oggi mercoledì 14 dicembre La Scuola Popolare di Is Mirrionis a La Collina.
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sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300SARDEGNA NEL POST REFERENDUM. IL DIBATTITO IN RETE.
democraziaoggiLe contorsioni di Franciscu Sedda indipendentista-alleato di Pigliaru, il più genuflesso dei governatori che la Sardegna ricordi dal tempo dei romani
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Una nuova agenda politica per la Sardegna
di Alessandro Mongili
By sardegnasoprattutto/ 13 dicembre 2016/ Società & Politica/

SARDEGNA NEL POST REFERENDUM. IL DIBATTITO IN RETE.
democraziaoggiLe contorsioni di Franciscu Sedda indipendentista-alleato di Pigliaru, il più genuflesso dei governatori che la Sardegna ricordi dal tempo dei romani

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

(Pigliaru secondo Franziscu fa ripartire l’istanza indipendentiata dei sardi)

chiederòDopo aver letto uno degli ultimi contributi degli indipendentisti della Sardegna, quello di Franciscu Sedda (“Manuale d’indipendenza nazionale. Dall’identificazione all’autodeterminazione”), provo a dire la “mia” sul problema dell’indipendentismo, nel rispetto profondo dell’impegno di quanti perseguono il fine dell’indipendenza della nazione sarda.
L’incipit del libro di Sedda afferma a chiare lettere che la coscienza dei sardi di essere nazione, “sopravvissuta a invasioni e violenze, fortificata nell’incontro e nel confronto con la diversità, rinnovata dall’innesto e dalla mistura di storie, lingue e culture, resa unica dalla capacità […] di creare nuove sintesi di sardesca umanità, si è oggi sbiadita fin quasi a sparire. L’hanno affossata le silenziose ma profonde politiche di assimilazione e omologazione messe in atto dallo Stato italiano. Ma ancor più profondamente l’hanno affossata delusioni e umiliazioni auto-imposte, causate da classi dirigenti prive d’amore per i sardi e la Sardegna, che hanno favorito o aperto la via ai colpi bassi inferti dallo Stato […]. Insomma , la nostra coscienza nazionale, l’hanno affossata, l’abbiamo affossata”.
Sedda, oltre ad essere “Segretario Nazionale del Partito dei Sardi”, è docente di semiotica; nonostante la sua professione di interprete dei segni del corpo umano, ai fini della formulazione di diagnosi utili a scopo diagnostico e terapeutico, non sembra particolarmente sensibile nell’interpretare i segni del “corpo della storia” della Sardegna, tanto meno di quelli del “corpo complessivo dei sardi contemporanei” che governano l’Isola. La riprova di ciò viene offerta dallo stesso Sedda, quando afferma, papale papale, esprimendosi al “plurale maiestatis”, quasi per rivestire un ruolo istituzionale, di aver sottratto l’idea “d’indipendenza alla confusione e al discredito”, con ciò “facendo diventare l’idea di sovranità dei sardi […] uno degli assi portanti della proposta di governo che ha portato Francesco Pigliaru a divenire Presidente della Sardegna. Lo abbiamo fatto – continua Sedda – e lo facciamo sostenendo nel lavoro di presidente dei sardi una persona buona, una persona che non è in politica per portare avanti interessi personali ma per spirito di servizio”. L’esaltazione della presidenza Pigliaru, a parere del Segretario Nazionale del Partito dei Sardi, sarebbe dovuta all’impegno assunto dall’attuale Giunta regionale di apportare un grande cambiamento nelle modalità di cura degli interessi dei sardi, da cui far ripartire l’istanza indipendentista.
Che Pigliaru sia, in astratto, un uomo buono è del tutto ininfluente rispetto al movimento indipendentista; meno buono dovrebbe essere valutato, dal semeiotico Sedda, il lavoro politico del Presidente Pigliaru, se solo considerasse, dal punto di vista del suo movimento, gli ultimi “segni” che il Presidente della Giunta regionale ha avuto modo di “lanciare” nei confronti di tutti i sardi, mostrandosi prono alle posizioni di chi, a capo del governo nazionale, sperava di vedere approvata una riforma della Costituzione che prevedeva la limitazione di quel poco di autonomia decisionale della quale la Sardegna ha sinora goduto.
Per aspirare a realizzare l’indipendenza dell’Isola dallo Stato del quale è ora parte integrante, occorrerebbe che tutti i sardi disponessero di un “comune sentire” culturale, sociale e politico, che invece nella storia dell’Isola, e più che mai ora, è sempre mancato; con riferimento all’intera Sardegna, infatti, è stato osservato in tempi non sospetti, all’inizio dell’intervento straordinario, come non sia possibile rinvenire un “filo conduttore uniforme intorno al quale si sia strutturato un mondo organico di consuetudini operanti” (P. Crespi, “Analisi sociologica e sottosviluppo economico. Introduzione a uno studio d’ambiente in Sardegna”). Ciò deve indurre a riconoscere, come più rispondente al vero, che in Sardegna sono sempre esistite, a livello di gruppi sociali locali, tradizioni varie e differenziate.
La costante assiologica cui si è appellata l’articolata e disunita società sarda è stata individuata da uno degli studiosi contemporanei più accreditati della realtà politica, sociale ed economica della Sardegna, Giovanni Lilliu, nella costante resistenziale, che sarebbe consistita nello sforzo compiuto nel tempo dalla società isolana per “evitare la cattura e l’integrazione. Cattura di valori, di lingua, di costume, di anima, di cultura; integrazione in pseudo-civiltà, prive di autentici valori umani, sirene eccitanti e ammaliatrici”, che hanno sempre nascosto la cattura di profitti, speculazioni e monopoli di strutture egemoniche (G. Lilliu, “La costante resistenziale”). La resistenza, nella fase a noi contemporanea, sarebbe dovuta consistere “nella forza morale e culturale di reagire alla violenza capitalistica esterna, ai ‘ladri del mare’” che, conquistando ai loro interessi le coste, hanno compresso il popolo sardo in una riserva dalla quale “accennava ad uscire”. La costante resistenziale avrebbe costituito, secondo Lilliu, il “nodo storico” dell’Isola, dal quale sarebbero nate le due culture che ancora oggi agiterebbero la nazione sarda: quella dei “resistenti” e quella dei “colonialisti”.
Alla luce di queste riflessioni, molto sommariamente sintetizzate, in conclusione, si può concordare con Sedda nel riconoscere che liberare la Sardegna dal “cul de sac” dove sembra essersi infilata è un problema di volontà; pone la questione di far valere l’autonoma capacità decisionale dei sardi a progettare la realizzazione del proprio futuro. Ciò però comporta che Sedda e tutti coloro che la pensano come lui cessino di sostenere un Presidente della Giunta regionale ridotto a “foglia di fico” di una maggioranza politica che ha legittimato e sostenuto l’azione di un governo nazionale che ha teso a conservare la Sardegna in una posizione di subalternità, gratificandola con lusinghe che avevano un sapore unicamente elettorale.
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Una nuova agenda politica per la Sardegna
di Alessandro Mongili
By sardegnasoprattutto/ 13 dicembre 2016/ Società & Politica/

L’ondata di NO non si è abbattuta solamente sull’agGiunta Pigliaru, le cui vicende ormai hanno solo aspetti aneddotici e non politici, ma su tutti noi. Intorno alla vittoria dei NO si aggirano tanti Monsignori in cerca di rendite. Ma il NO non ne offre, così come neanche il Sì. Sono punti di processi che si intersecano, nulla di più.

Rispetto a questo passaggio storico, sono sorprendenti alcune posizioni provenienti da indipendentisti e da altri attori politici. Nel momento stesso in cui una maggioranza schiacciante dei Sardi respinge il renzismo e esso va in crisi in Italia, costoro non trovano di meglio che copiarlo e introdurlo anche da noi. Quando si dice la subalternità culturale!

Essi hanno indicato come futuro passaggio politico la modifica dello Statuto o la redazione di una nuova Legge statutaria, perfino attraverso un’Assemblea costituente, nel momento stesso in cui in tutto il mondo si cambiano anche gli assetti costituzionali a seguito di grandi processi di partecipazione, e a seguito comunque di cambiamenti politici che ancora qui non hanno avuto luogo.

In un momento, peraltro, in cui dal voto viene la richiesta che la politica metta fra parentesi le proposte di ingegneria politica e invece metta al centro i problemi delle vite normali, sature di problemi politici e in particolare di problemi creati dalla politica. Con politici così, è chiaro che il movimento per l’autodeterminazione della Sardegna, così popolare e diffuso, non può trovare sbocchi politici.

In sintesi, per dare uno sbocco alla valanga sarda del NO è necessario tradurlo in un’agenda politica nuova e diversa rispetto a quella post-blairiana di Renzi e Pigliaru che ancora domina. Non con proposte giuridico-statutarie, ma con risposte ai problemi della vita delle persone in Sardegna. Cioè, reddito, lavoro, mobilità, credito, lingua, beni comuni, beni culturali. Possibilmente senza passare dal Crenos e dalle sue tautologie, per cui basta un copia/incolla e il programma simil-confindustriale è pronto.

E’ chiaro che un’agenda simile costituisce l’ordito di un cammino di autodeterminazione della Sardegna, ma i suoi fili devono passare per le vite delle persone e per i loro problemi. Questo è facile, perché la nostra dipendenza coloniale non è certo un problema astratto, ma condiziona ogni nostra vita.

Una nuova agenda può essere elaborata da un leader, ma – visti i passaggi precedenti – è meglio che per una volta si facciano avanti le competenze, e non quelle in quota familiare, amicale o di pubblico plaudente. Magari attraverso un processo “dal basso”. Ci vuole infatti più attenzione alle competenze e meno alla comunicazione se l’obiettivo non è quello di conquistare le prime pagine, ma di cambiare la politica della Sardegna e dunque i rapporti di potere, di cacciare i tenutari della dipendenza e di sviluppare autogoverno, cioè una politica in linea con le nostre necessità elementari, per esempio bloccare l’esodo dei Sardi e sviluppare attività produttive.

E l’elaborazione di una nuova agenda è il passaggio più importante della creazione di una coalizione che al suo interno sia democratica e non più autoreferenziale o spiegabile attraverso il suo leader carismatico (che, se ci fosse, sarebbe una bella risorsa. Se ci fosse). Quei tempi stanno tramontando, e c’è bisogno di cose più serie, come un’organizzazione o una rete che in qualche modo assicuri diritti e partecipazione a tutti, senza ostacolare il processo decisionale, che in politica deve essere rapido. Il solito rebus, dunque.

Molte amiche e amici propongono le primarie aperte per una coalizione per l’autodeterminazione della Sardegna. L’intento è ottimo, perché contrasta la coazione monsignora a mettere il cappello e a intascare le rendite facendo deperire la tanca del NO, così come si è fatto con quella dell’indipendentismo. Purtroppo, le primarie si sono rivelate essere uno strumento divisivo e pericoloso, e hanno portato a selezionare mediocrità. Inoltre, non si capisce bene come la coalizione debba essere composta.

La Mesa natzionale (composta da SNI, FIU, Progres, SL), Muroni e Devias, i Rossomori, chi altro? Dal movimento per il NO è emerso un interesse sicuro per la difesa dello Statuto speciale in settori della sinistra. Perché questa parte di sinistra non può rientrare dunque in una coalizione per l’autodeterminazione o per l’autogoverno? E quali relazioni debbono esistere fra tutte queste parti?

Le candidature, come devono essere formate se le primarie non sono ritenute uno strumento utile? Saranno i vari capataz a riempire le liste o se ne potrà discutere? Si può pensare, in alternativa, a un meccanismo di presentazione trasparente e di discussione/selezione aperta delle candidature in gruppi composti da segmenti di società e di politica?

Credo che gli esponenti maggiori abbiano il dovere di chiarire di fronte ai sardi quello che vogliono in relazione a): all’agenda politica e alla sua formazione; b): al perimetro della coalizione per l’autodeterminazione c): ai meccanismi di formazione delle candidature e della leadership.

Spero che considerino con lucidità la memoria dei fallimenti precedenti e non lo imputino solamente alla cattiveria degli avversari e alla stupidità dei Sardi, ma anche a loro stessi. Personalmente, io credo che sarebbe da irresponsabili non formare una larga coalizione per l’autogoverno e l’autodeterminazione della Sardegna, che costruisca un’agenda politica e si dia meccanismi trasparenti per la designazione della leadership, dell’unica lista da presentarsi e dei candidati che la compongano, e che non deleghi tutto ai vari capataz, che dovrebbero fare non un passo indietro, ma un grande balzo verso le retroguardie.

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