Diritto&Rovescio
Giovani e tirocini: una guerra di nuova povertà
di Gianni Loy *
L’ assalto alla diligenza costituisce una delle rappresentazioni del nostro immaginario collettivo. Ma non è archeologia sociale. Sono, semplicemente, cambiate le modalità. Non è stato, forse, un assalto alla diligenza quell’improvviso picco di operazioni telematiche organizzate o confuse, finalizzate alla conquista di uno o più tirocinanti, unica merce, scarsa ma an-cora disponibile nel mercato, per svolgere una vera e propria attività lavorativa subordinata, ancorché, spesso, sotto le mentite spoglie di una attività para-formativa? Hackers o semplice ingorgo informatico? Forse la seconda ipotesi è quella più giusta. Ma sia chiaro, prima dell’informatica, in casi analoghi, i pretendenti bivaccavano davanti agli uffici dell’assessorato, per giorni, con provviste e sacchi a pelo, per riuscire a presentarsi per primi allo sportello. E’ cambiata solo la tecnica. Rimane la sostanza del vecchio adagio: chi tardi arriva male alloggia! Solo che per poter arrivare primi, sia quando si facevano le file che da quando ci sia affida alla nuova divinità informatica, occorrono risorse, forza, e magari furbizia, a tacer d’altro, che fa si che nella selezione siano sempre i più deboli, e non i meno meritevoli a soccombere.
Ed ha sbagliato anche la stampa, spesso più sensibile all’eclatante della cronaca che alla sostanza, che ha sottolineato soprattutto il momento tecnico del via, informatico, ipotizzando responsabilità organizzative da parte dell’Agenzia del lavoro, per l’ingorgo che si è creato.
Non è questo, il problema. Qualunque starter, chiunque debba dare il via, in questa folle corsa alla conquista del west, non può che attendersi gomitate, spintoni, e un polverone. Il problema vero è che mentre la stessa OCSE ribadisce che solo con contratti regolari e a tempo indeterminato sarà possibile im- maginare una ripresa economica, continuiamo con questa invere- conda finzione di tirocini, stages, falsi autonomi e chi più ne ha più ne metta, per mandare avanti al baracca risparmiando qualche soldo, anche a prezzo di uno sfruttamento, talvolta indegno, delle persone. Talvolta. Perché, sia chiaro, che un giovane possa passare alcuni mesi a lavorare in un’azienda, magari un po’ sfruttato, ma con in cambio la possibilità di un’esperienza nel mestiere per il quale ha studiato, non mi pare sacrilego. Se succede una volta. Ma quando, nel campionario dei sogni di un giovane non rimane che la prospettiva di un tirocinio dopo l’altro, allora non siamo più nell’operetta, ma in pieno dramma. Individuale e sociale, perché i suoi perversi effetti si estendono ai costumi, alla morale, allo stile di vita di una società che dopo aver raggiunto elevati livelli di “civiltà”, ripiomba nella barbarie.
Può anche darsi che il convento non possa passare niente di meglio. Non lo credo. Ma se anche così fosse, vorrei almeno dare qualche suggerimento a chi è chiamato a gestire questa guerra tra i poveri dei tirocini. Tutte cose fattibili, semplici e che, in definitiva, neppure richiedono modifiche legislative.
1° – Dichiarare ammissibili (rigidamente) i soli tirocini corrispondenti alla professionalità posseduta dagli aspiranti. E’ più facile di quanto non sembri. Sia per esaltare la funzione in certo qual modo formativa dell’istituto, sia per evitare il decadimento e la frustrazione che l’attuale “non vedo non sento”, e quindi non parlo, produce.
2° Individuare un limite massimo di ripetibilità del tirocinio per evitare il suo uso a rotazione, sia diretto, sia indiretto, ad esempio dando la preferenza ai datori di lavoro che non ne abbiano usufruito altre volte o ne abbiano usufruito in misura limitata.
3° Cancellare, definitivamente, il sistema dell’assalto alla diligenza. Meglio del far west, rimane sempre il sorteggio. Tuttavia suggerisco una modalità alternativa, moderna ed equa: formulare la graduatoria (oltreché sui criteri desumibili dai due punti precedenti), sulla base dell’entità del rimborso spese che ciascun beneficiario datore di lavoro (a cui viene offerto un tirocinante gratis per alcuni mesi) offra, in aggiunta alla risorsa pubblica, al proprio tirocinante. Un piccolo costo in più che, per un verso, misura il grado di interesse del destinatari, e, per altro verso, avvicina almeno un po’ alla soglia della dignità il simbolico compenso di giovani, non dimentichiamolo, in gran parte chiamati a svolgere un vero e proprio lavoro.
* ordinario di Diritto del Lavoro Università di Cagliari
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L’articolo è stato pubblicato anche da Il Portico, periodico della Diocesi di Cagliari
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