La classe politica favorisce o contrasta il declino della Sardegna?
Paolo Fadda
Ho avuto sempre il dubbio che la saggezza dei vecchi non fosse altro che presunzione e che i loro consigli non fossero altro che utopia o, spesso, evidente rammarico per i loro sogni irrealizzati o per i loro progetti mancati. Ora che sono anch’io entrato, e non da poco, nella consorteria dei vecchi (e dei vegliardi) ne ripeto anch’io le manie, cercando di distribuire pillole di saggezza, incurante del fatto che siano frutto di presunzione o di delusioni. Con l’invito, quindi, “a perdonai”!
Cosi ho messo insieme delle riflessioni su quel che sta accadendo di questi tempi in Sardegna, con una politica che ha rimesso ad altri le sue responsabilità elettorali, ritenendo che il governo di una regione possa essere delegata ad altri, magari a dei bravi ed onesti signori, peraltro non titolari di alcun mandato popolare e quindi privi di quelle sensibilità politiche che solo una lunga militanza nelle istituzioni democratiche riesce a dare.
Con queste avvertenze vi invito a leggere quanto ha pubblicato “Sardinia Post” a mia firma.
Ma la classe politica, come oggi è rappresentata qui da noi, è in grado di impedire il continuo declino dell’isola e di riportarla verso la necessaria ed urgente ripresa? Si tratta di una domanda che da tempo circola fra i sardi ed a cui, purtroppo, sono molte di più le risposte decisamente negative di quelle positive, magari anche parzialmente, che si devono registrare.
C’è dunque molta diffidenza, se non proprio insofferenza, nei confronti di una classe politica a cui sembra mancare proprio quella che dovrebbe essere la sua capacità essenziale, cioè quello di dover essere di guida e sostegno per la comunità regionale che le si è affidata con il voto.
Cosa s’intende d’esserne innanzitutto la guida politica? Quello – chiariamo – d’avere un progetto politico su cui indirizzare il percorso di ripresa e di riscossa dell’isola, in modo da renderla libera dai triboli e dalle difficoltà del presente. Detto ancor più chiaramente: d’avere delle idee chiare su come e verso dove guidare la sua riscossa. Ed è proprio su questo concetto di guida – mancata od abortita, fate voi – che si appuntano quelle risposte negative di molti sardi, a cui si è fatto cenno più sopra.
Andrebbe chiarito inizialmente che non si è di fronte ad un fatto esclusivamente sardo (nei giorni sorsi un editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere era titolato emblematicamente “il suicidio della politica”), ma non dovrebbe essere questo un alibi od una discolpa.
Qui in Sardegna, infatti, si è di fronte, se non proprio ad un suicidio della politica, ad una sua diserzione o, ancor meglio, ad una fuga dai propri compiti, anche quelli più impegnativi, trasferendoli a terzi, molto spesso però dimostratisi, con le loro decisioni, degli “impolitici”. Cioè, per essere ancora più chiari, a guidare le istituzioni pubbliche, a partire da quella di più alto grado della Regione, si è data delega a dei “supplenti”, seppure dai curricula autorevoli, non ritenendo quindi sufficienti ed adeguate le proprie capacità e competenze. Non a caso la Giunta di governo dell’isola s’è andata configurando in quest’ultimo tempo come una sorta di consiglio di facoltà, a cui peraltro non si è affidato alcun progetto politico da realizzare, al di là delle solite ed ovvie genericità: meno disoccupazione e più lavoro.
Tra l’altro non risulta certo che chiunque, anche d’alti meriti accademici, possa improvvisarsi bravo e capace politico. Perché governare, e governare bene, significa avere preparazione ed esperienza sufficienti per poter partecipare attivamente alle scelte e ad assumersi responsabilità nella guida politica d’una comunità.
C’è dunque, alla base, di tutto, un’insufficienza ed un’impreparazione della nostra attuale classe politica, a cui mancherebbe il coraggio della responsabilità nella buona gestione della cosa pubblica. Un tempo, quand’erano in auge i partiti, si arrivava ai vertici regionali e nazionali dopo una lunga gavetta politica, partendo dalle più piccole realtà da guidare, della sezione o del villaggio. Oggi, invece, chiunque pensa di potersi candidare autonomamente, non solo a consigliere o a deputato, ma anche a governatore od a sindaco della capitale della Regione, al di là d’ogni idonea selezione e preparazione.
Non è un segnale, questo, da trascurare, perché contiene un’amara e sconsolante verità: gli attuali politici non hanno più la capacità e la disponibilità culturali di conoscere ed interpretare i bisogni e le attese della gente.
Può essere anche quest’isolamento, questo tirarsi fuori dalle responsabilità dirette, unito ad un visibile deficit di esperienze e di capacità, la causa prima dell’avanzata sempre più preoccupante dell’antipolitica, cioè di quei movimenti d’opinione che non riconoscono più all’attuale classe politica, inquinata anche da troppi ed evidenti vizi, la facoltà di dover essere classe di governo. Perché governare, e governare bene, significa saper indicare gli obiettivi da perseguire, organizzare e realizzare il consenso, appianare e comporre interessi anche divergenti, ricercare interventi e soluzioni di spazio generale e mai particolare, siano essi di campanile o di potere. In sintesi saper dare all’intera comunità di tutti i sardi un buon governo, senza discrezionalità o parzialità.
Infine, proprio alcune recenti dichiarazioni di Pietrino Soddu, raccolte anche da questo giornale, hanno riportato chi scrive questa nota ad un’esperienza personale lontana (di oltre mezzo secolo fa), ma rimasta da allora per lui indimenticabile. Erano i giorni ed i mesi di preparazione di quel piano di rinascita che sarebbe risultato poi, checché se ne pensi, il punto d’avvio per la realizzazione della prima effettiva modernizzazione dell’isola. Le lunghe discussioni, i serrati confronti e gli scontri, talora molto aspri, attraverso cui venne varato quel piano, si dimostrarono una straordinaria palestra di idee e di conoscenze, con cui si andò formando, in indifferenza di partito e di schieramento, una classe dirigente politica regionale di ottimo livello, che oggi in molti rimpiangiamo (i nomi di Corrias, Laconi, Melis, Dettori, Cardia, Soddu, Cottoni, Pazzaglia, ecc. ne confermerebbero il giudizio).
Chi ha quindi la memoria lunga ricorderà ancora come quella politica virtuosa avesse sconfitto, proprio con il suo impegno positivo, l’antipolitica di allora che, sotto le insegne del movimento dell’Uomo Qualunque, aveva anticipato, anche nel gergo un po’ sboccato del loro leader Guglielmo Giannini, certi atteggiamenti d’oggi, tra il demagogico ed il populista, di Grillo e dei suoi seguaci.
Ed è un’antipolitica, quella ora di moda, che pur indirizzando il disprezzo dei cittadini verso la classe politica – si cita qui la tesi espressa dal professor Panebianco –, chiede e pretende che quella politica resti l’impicciona di sempre, sollecitando e pretendendo favoritismi, protezionismi od ostracismi secondo gli interessi particolari di qualche casta, camarilla, associazione o corporazione amica.
Resta da proporre, conclusivamente, una domanda finale che cerca di liberare dal pessimismo questa amara riflessione: ma la classe politica sarda può trovare in sé gli anticorpi capaci di sconfiggere gli attuali virus maligni ed è quindi in grado di autorigenerarsi, assumendo appieno il suo ruolo di guida, senza ricercare deleghe o supplenze?
PAOLO FADDA
———————————————-
- Precedenti pertinenti interventi su Aladinews.
Mentre l’Isola sprofonda nel malessere, la politica litiga sulle poltrone
di Paolo Fadda
su SardiniaPost 28 settembre 2016, Pronto intervento.
Stiamo vivendo in una Sardegna in grande sofferenza, attraversata da un persistente, ostinato e diffuso malessere. Come se un qualcosa – una sorta di nocivo ed implacabile virus – ne vada fiaccando e deteriorando la stessa composizione sociale. Determinando un degrado civile e morale che intristisce e spaventa e che rende sempre meno possibile il ritrovare la speranza e la volontà per avviare una riscossa.
Si tratta – e lo si rimarca con profonda tristezza – di un malessere, o di più malesseri che appaiono sempre più pericolosi e gravi, di cui ritroviamo le tracce negli attentati, sempre più frequenti, ai sindaci, quali sentinelle avanzate di uno Stato troppo assente; nell’ampliamento a dismisura delle aree di povertà e di insofferenza per via d’un lavoro divenuto sempre più precario, determinando pericolosi rigurgiti antisistema; nei ripetuti assalti ai furgoni portavalori ed ai bancomat delle banche come capitava nel Far West ottocentesco o nel riversarsi, con sempre più determinazione, nei commerci e negli affari illegali per impadronirsi di futili ma sostanziose ricchezze; nella ribellione dei piccoli centri che lo spopolamento vede privarsi di servizi civili essenziali, come la scuola e la posta; nell’accentuarsi sempre più dannoso delle contrapposizioni corporative, campanilistiche o di potere per la conquista di privilegi personali o di clan, in danno od in contrasto con l’interesse pubblico generale.
È uno stato di malessere generale che con il suo diffondersi a macchia d’olio richiama e determina la ricerca di responsabilità e di colpevolezze. Proprio perché ad esso non sembra che chi dovrebbe, cioè innanzitutto la politica, abbia la volontà o la capacità di creare e di mettere in campo degli antidoti.
Infatti proprio quel malessere (cioè quel virus maligno che deteriora e debilita) ha colpito anche la politica, e questo, purtroppo, in indifferenza di schieramento.
Per quel che si legge sui frequenti “bisticci” interni ai diversi schieramenti, rendono chiara la cruda ed intristente sintomatologia di quel malanno: perché non ci si contrappone se, per il risveglio dell’economia in sonno, occorra puntare sul risanamento dell’industria o sul rilancio dell’agricoltura, ma, al contrario, il nodo principale da dirimere debba essere la nomina di questo o quel personaggio alla guida di questo o di quel partito. Cioè per i propri interessi di parte, di clan o di corrente e non certo per l’interesse generale dei sardi.
Non sarà un caso, ma i problemi più importanti di un’isola afflitta da un’incombente recessione economica (e con tre giovani su cinque senza lavoro) sono apparsi, per il tempo dedicato a trovare la soluzione, i confronti – quasi sempre motivati da logiche di bottega elettorale – ove fosse meglio collocare la sede dell’ASL unica o se il suo direttore generale dovesse, o meno, essere sardo!
Ed ancora: di fronte alle tante e gravi pene di cui soffre la comunità isolana, fa ancor più tristezza (ed anche un po’ di sdegno) il fatto che non poche risorse pubbliche regionali vadano troppo spesso indirizzate ad aree improduttive (talvolta anche nello spettro del “loisir”), quasi che il vecchio detto del panem et circenses che Giovenale attribuì ai governanti dell’antica Roma, sia rimasto attuale anche per i nostri governanti.
Di fronte a tutto questo, occorrerebbe ritrovare la forza per avviare una decisa presa di coscienza, in modo da ritrovare le idealità e la carica morale che furono degli uomini migliori della Prima Regione, da Luigi Crespellani a Pietro Melis, da Efisio Corrias ad Umberto Cardia ed a Paolo Dettori.
Proprio di quest’ultimo personaggio, s’intende qui riprendere un pensiero che, proprio di fronte alle difficoltà attuali, appare attualissimo: occorre – diceva negli anni del suo impegno nel Consiglio Regionale – che ci si unisca tutti insieme, senza divisioni di parte, per avviare e realizzare nell’Isola una profonda rinascita intellettuale e morale, per ritrovare ed applicare corrette regole di condotta civile e politica fondate su principi e valori di alta qualità etica, atte soprattutto a determinare, attraverso un impegno volto al servizio della gente e non su calcoli elettoralistici, un rinnovamento radicale ed un positivo rilancio delle condizioni sociali ed economiche di tutti i sardi: cioè, per dirlo più chiaramente, per instaurare in tutta l’Isola un clima di vera e convinta rinascita.
Paolo Fadda
—————————————–
Quale classe dirigente per la Sardegna che vorremo
di Aladin su Aladinews dell’8 maggio 2016.
«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (più politica che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.
—————————-
(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.
———————————————–
Lascia un Commento