Quale Europa? Si brancola nell’incertezza
EUROPA
Quale rotta dopo Bratislava?
di Umberto Allegretti, su Rocca
Che dire dell’Unione Europea dopo il vertice, cosiddetto informale, di mezzo settembre a Bratislava? A leggere il testo del documento ufficiale, viene da condividere la delusione e la furia di Renzi.
Il documento non dice nulla, si commenta. In realtà sì e no. Non solo in quel testo si sostiene formalmente l’accordo tra l’Ue (leggi Germania) e la Turchia sui migranti (che comporta poi anche altro). Non solo si osa appoggiare una barriera della Bulgaria nei confini con la stessa Turchia stanziando per questo scopo 108 milioni (e l’intera posta di bilancio Ue per la guardia delle frontiere supererà presto i 250 milioni annui), ma si tollerano, così incoraggiandoli, i muri eretti da altri Paesi. E si tace, ripiegando su allusioni generiche, sulla situazione del Mediterraneo, sugli eccidi di migranti africani e non, sui compiti sempre più gravosi dell’Italia sul confine marittimo d’Europa. Sembra così messo in silenzio il piano di investimento in Africa, sapendo che è l’unico modo per provare a fermare le migrazioni; piano che il Governo italiano va proponendo da tempo e che la Commissione ha teoricamente entro stretti limiti approvato ma che ancora, come attestato dal Ministro Gentiloni, non viene messo in opera. E pare che venga dato il passo all’egoista «gruppo di Visegrad» – l’Ungheria, ancora esente, non si sa bene perché, da sanzioni dell’Unione nonostante le evidenti misure antidemocratiche e dunque antieuropee, la ugualmente reazionaria Polonia, le posizioni della Slovacchia e della Cechia – i cui Paesi, peraltro ampiamente sostenuti dall’Unione coi suoi piani strutturali, rifiutano di ricevere anche modeste quote di migranti. E così i Paesi baltici, che ne ricusano numeri di ordine minimo, monopolizzano l‘amore della Germania, forse per miopi interessi elettorali ma non solo.
Vi sono però su questo fronte, in questi primi giorni di ottobre, tre notizie buone (che si spera abbiano seguito).
Una è il mancato quorum al referendum ungherese contro i 1300 (!) profughi assegnati a quel Paese, che per sé dovrebbe assicurare che essi vengano ammessi.
La seconda è la dichiarata apertura del Commissario Moscovici alla flessibilità sulle spese italiane per i migranti, oltre che per il terremoto.
La terza è che la Germania – che appoggia la mediocre Francia di Hollande e ha rinviato ogni ultimatum alla Gran Bretagna per iniziare i colloqui formali sulla Brexit (mentre i contatti informali sono chiaramente già corso), forse per inseguirla sul terreno della liberalizzazione commerciale e dell’interesse finanziario – ha ora, visto il congresso conservatore in Inghilterra, altamente protestato contro la pretesa della May di politiche restrittive sulla libera circolazione dei lavoratori, seguita da Junker e da Hollande.
la nuova Thatcher britannica
- SEGUE –
In linea più generale si può anche pensare che il rinvio del passo formale per attuare la Brexit porterà vantaggi per l’Ue, se di fronte alle difficoltà della realizzazione si farà strada in Gran Bretagna la tesi, motivatamente enunciata, se non di un poco proponibile nuovo referendum, di un voto parlamentare negativo sulle condizioni dell’uscita come verranno negoziate con l’Europa, oltretutto dopo l’atteggiamento contrario di Obama e del Giappone. Preoccupante rimane che la nuova Thatcher britannica e la sua ministra dell’interno annuncino – nostante le critiche della classe imprenditoriale – una serie di misure discriminatorie per i lavoratori «non nati nell’Uk» e perfino per gli studenti stranieri, col rischio fra l’altro di mettere in crisi l’edilizia e gli ospedali inglesi (questi dipendono dal lavoro di medici stranieri, tra i primi gli italiani).
Nel mentre la Francia consente alla Gran Bretagna di edificare e finanziare un muro a Calais in territorio francese (a che siamo? a una nuova guerra dei cent’anni che consente all’Inghilterra di stare sul suolo francese?) e, solo ora, il governo britannico annuncia, bontà sua, che la notifica che darà inizio alle trattative sarà a marzo e si spera troverà intanto, non solo la trasmigrazione di alcune agenzie europee per le quali non ha più titolo, ma anche qualche esodo di privati dalla piazza di Londra.
legami più stretti tra Paesi mediterranei
Assolutamente, la via d’uscita non è contribuire allo sfaldamento dell’Unione, che semmai proprio quei comportamenti favoriscono, né dell’euro; ma puntare su un’azione dell’Italia sempre più studiata, articolata e ricca di proposte, sulla ricerca di un legame più stretto con Spagna, Portogallo, Grecia e gli altri pic- coli mediterranei; e non sulla costruzione di un’Europa della difesa alla maniera della ministra Pinotti, che rappresenterebbe uno spreco dei bilanci europeo e nazionali e impedirebbero politiche più costruttive sul piano economico e sociale. Come ben si dice, il governo italiano non può fare da solo per l’aiuto all’Africa; può semmai (e lo faccia! diciamo noi) anticipare un più largo intervento dell’Unione; e, si aggiunge, senza legare direttamente la questione a quella della flessibilità generale del percorso finanziario, ma insistendo legittimamente sulla flessibilità per le migrazioni, trattandosi di una «circostanza eccezionale», la deroga della quale agli obblighi del Fiscal Compact e del nuovo art. 81 della nostra Costituzione dovrebbe esser possibile e non venir impedita dall’avere l’Italia già ricorso a una deroga sui rigorosi limiti all’indebitamento.
l’etica dell’Europa nel mondo
La situazione è sicuramente di grande difficoltà, ma deve essere affrontata positivamente, perché su questo si gioca la collocazione etica dell’Europa nel mondo, e non solo ma i benefici che dalle migrazioni vengono a un continente incapace di far figli e bisognoso di forza lavoro fresca. Che nessuno parli dunque di chiusura delle nostre frontiere (e si può costruire un muro sulle migliaia di chilometri delle nostre coste? o praticare guerra e occupazione della Libia e dell’Egitto da cui i nostri immigrati provengono?).
Non si tratta solo di praticare l’amore e la fraternità, ma la più specifica solidarietà, che vuol dire la convinzione che l’interesse nostro e l’interesse dell’altro coincidono, come ben ha intuito il nostro Costituente in quell’art. 2 che la enuncia come un principio inderogabile. Noi, forse più di tutta l’Europa, abbiamo bisogno di immissione di migranti (assieme a una riqualificazione delle imprese di costruzione e a un’occupazione diretta dei lavoratori nazionali, che sarebbe assai ingente) per i tanti indispensabili impegni di cura del territorio: una cura il cui attrezzamento ed esecuzione costituisce la vera «grande opera» – come troppo pochi hanno finora detto con convinzione – che di fronte ai continui, passati, presenti e certamente futuri sismi e al deperimento idrogeologico, abitativo, del paesaggio e dei beni culturali, dovrà sostituire il proposito di nuove grandi opere singole, nelle quali Italia e spesso Europa intenderebbero prioritariamente cimentarsi.
Sconcerta, da questo punto di vista, che si torni a parlare del ponte sullo Stretto di Messina, e d’altronde non possiamo esser sicuri se e quando si concretizzi il progetto, avviato in questa direzione, denominato con nome propagandistico «Casa Italia» che, di per sé giustamente, ambirebbe a coordinare, mediante la futura creazione di un nuovo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio, gli interventi di prevenzione sismica, sul dissesto idrogeologico, sui beni culturali, l’edilizia scolastica e le periferie. Coordinamento che, secondo i migliori esperti, significa (per esempio per evitare i purtroppo probabili ulteriori eventi come quello di Amatrice), innanzi tutto unire previsione, prevenzione ed emergenza e concentrare le risorse sulle aree più a rischio. Questa che si è accennata è la grandiosa impresa morale ed economica che può dare respiro alla politica e alla società italiana ed europea, su cui il governo e il parlamento italiani dovrebbero impegnarsi. E ciò, sia qualora dal referendum costituzionale riuscisse vincente un sì, giustificabile in considerazione della creazione di un Senato (benché dotato di molte imperfezioni) che troverebbe in uno Stato regionalmente decentrato alcuni fondamenti logici e del recupero di stima che la stabilità di governo concilierebbe all’estero; situazioni nei confronti del quale i dubbi di molti sostenitori del no potrebbero essere da un punto di vista costituzionale e democratico eccessivi. E sia egualmente se riuscisse la vittoria di un no, che pur non manca di alcune solide ragioni. Comunque, una volta superata la questione costituzionale – quale che sia la risposta vincente in sede di voto – che blocca da trent’anni la nostra vita istituzionale e collettiva impedendo spesso di affrontare in misura e modi adeguati i gravi problemi sociali che ci affliggono, i pubblici poteri e l’interesse del pubblico nazionale sarebbero più liberi e dovrebbero impegnativamente dedicarsi al problema europeo e a quello delle migrazioni, tra loro ormai strettamente collegati. Non dovrebbero così mancare agli organi istituzionali, le Regioni stesse in prima fila soprattutto se fossero chiamate dall’approvazione della riforma a nuove sfide decisionali, l’impegno e la forza richieste da quello che è sicuramente il massimo problema del nostro tempo.
Umberto Allegretti
ROCCA 1 NOVEMBRE 2016

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