Scienza economica: quale aiuta l’umanità?
LA LEZIONE DELLA GRANDE CRISI
È ora di cambiare il modo di insegnare economia Nei corsi tradizionali non c’è traccia della crisi.
– di David Pilling su Il sole 24 ore.
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Il capitalismo è correggibile?
6 Ottobre 2016
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
A parere di Philip Kotler, docente di marketing alla Northwestern University nello Stato dell’Illinois (USA) e autore di “Ripensare il capitalismo. Soluzioni per un’economia sostenibile e che funzioni meglio per tutti”, è possibile correggere l’attuale modo di funzionare dell’economia di mercato, per “creare un capitalismo ad alte prestazioni”; esisterebbero diversi motivi per farlo: intanto perché, a parere dell’autore, il capitalismo funziona meglio di qualsiasi altro sistema sinora sperimentato; in secondo luogo, perché, facendo tesoro di una massima del mahatma Gandhi (secondo la quale, la differenza tra ciò che si fa e ciò che si sarebbe capaci di fare basterebbe per risolvere quasi tutti i problemi del mondo) è possibile proporre una soluzione per i principali difetti del libero mercato; infine, perché è necessario affrontare i problemi che impediscono al capitalismo di produrre le migliori prestazioni possibili, secondo un approccio diverso da quello tradizionale, privilegiando una visione d’insieme di rutti i limiti dell’economia di mercato, per comprenderne l’impatto complessivo sulla struttura del sistema sociale. – segue –
Dacché si è definitivamente affermato, con la Rivoluzione industriale a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, il capitalismo è stato in continua evoluzione; oggi, esso sta vivendo un processo di globalizzazione che, pur avendo contribuito a favorire la crescita e lo sviluppo delle economie di molti Paesi tradizionalmente arretrati, ha provocato, però, un ulteriore approfondimento delle disuguaglianze preesistenti a livello nazionale ed internazionale. Ciononostante, la maggior parte dei Paesi ha scelto di governare, per integrarsi nell’economia mondiale, in tutto o in parte, la propria economia, secondo i “meccanismi” propri del capitalismo. Oggi, le regole del capitalismo sono diventate universali, riuscendo a prevalere, sul piano dei risultati conseguiti, su qualsiasi altro sistema sperimentato per il governo dell’economia. Persino il sistema alternativo, quello comunista, affermatosi principalmente in Unione Sovietica ed in Cina, è stato abbandonato, per essere sostituito da un’economia di mercato, orientata a un capitalismo autoritario, funzionante secondo applicazioni diverse della teoria e della prassi proprie del capitalismo d’antan.
E’ opinione comune, secondo Kotler, che oggi tutti i Paesi adottino un’economia di mercato orienta tendenzialmente al capitalismo, in virtù del fatto che le regole che esso suggerisce nel governo dell’economia consentono di migliorare le condizioni esistenziali di tutti, riuscendo ad offrire più crescita e libertà di qualsiasi altro sistema possibile. Il capitalismo dell’origine, tuttavia, si caratterizza secondo modalità che non sono presenti all’interno dei Paesi che hanno adottato il capitalismo autoritario.
Il capitalismo, in sé e per sé considerato, richiede un ordinamento giuridico costituzionale basato su tre pilastri fondamentali: proprietà privata del mezzi di produzione, libertà di contrattazione e Stato di diritto (con la funzione, per quest’ultimo, di regolare e tutelare sia la prima che la seconda). I diritti di proprietà privata e la libertà di utilizzare i beni posseduti sono finalizzati alla soddisfazione degli stati di bisogno dei componenti la collettività, secondo le regole statuite dallo Stato di diritto: regole che affermano e tutelano l’individualismo, lo spirito competitivo, la collaborazione e l’uso efficiente dei beni disponibili.
Il problema che si è sempre posto, all’interno di un Paese la cui economia fosse stata gestita secondo le regole proprie del capitalismo originario, ha riguardato la determinazione del confine tra la libertà del marcato e la regolamentazione dello Stato; ad un estremo era collocato chi sosteneva che lo Stato dovesse intervenire il meno possibile; all’estremo opposto era schierato chi, al contrario, riteneva che lo Stato dovesse svolgere un ruolo attivo di regolamentazione, per promuovere il “benessere sociale”. Sul ruolo dello Stato come regolatore del mercato, tutti i Paesi capitalisti hanno coperto “la totalità dello spettro, da un estremo all’altro”, dallo “Stato minimo” allo “Stato massimo”.
Tuttavia, all’interno dei Paesi dotati di uno Stato di diritto, la tesi che lo Stato governa bene quando regolamenta poco l’economia è divenuta prevalente con l’affermarsi dell’ideologia neoliberista, dando forza di convincimento alle massime di Winston Churchill: questi, reagendo contro chi lamentava che molti problemi del mondo moderno fossero da imputare allo Stato di diritto e alla democrazia, osservava che la democrazia, in fin dei conti, era “la peggior forma dei governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate sinora” e che il “vizio intrinseco del capitalismo è l’ingiusta ripartizione della ricchezza”, mentre la “virtù intrinseca del socialismo è l’equa ripartizione della miseria”.
Indipendentemente dalla suggestione che possono sollevare in chiunque le legga, le “gag” di Churchill hanno contribuito a rafforzare la posizione dei sostenitori del capitalismo e del libero mercato, dipingendo il primo come sistema infallibile e il secondo come strumento dotato di automatismi autoregolatori. Kotler, tuttavia, è del parere che un capitalismo senza regole presenti molte carenze, in quanto, benché sia riuscito ad aumentare il livello di benessere delle comunità di molti Paesi, nel contempo esso ha creato, e continua a creare, molti problemi non riesce a dare efficaci soluzioni; tali sono soprattutto il permanere delle disuguaglianze distributive, il loro approfondirsi a livello di ogni Paese ed a livello internazionale e il degrado ambientale.
Chiedendosi quali sia la causa delle carenze e dell’incapacità del capitalismo del libero mercato a dare soluzioni ai problemi indicati, l’economista della Northwestern University la rinviene nell’individualismo; ovvero nell’assunto che i sostenitori del capitalismo pongono alla base del corretto funzionamento del mercato. Tale assunto conferisce valore all’indipendenza decisionale ed operativa dei singoli soggetti ed afferma la prevalenza dell’interesse individuale sull’interesse della comunità; a parere di Kotler, per limitare le conseguenze negative dell’individualismo, basterebbe solo orientare il funzionamento delle istituzioni del capitalismo verso la comunità, senza con ciò trasformarla in senso collettivistico; in altri termini, per Kotler, sarebbe sufficiente che il funzionamento delle istituzioni del capitalismo fosse orientato secondo una prospettiva socialdemocratica, per dotare la comunità di un sistema economico che persegua il “bene comune”, difenda la proprietà privata e la gestione privata dell’attività economica e tuteli le istituzioni politiche democratiche.
A tal fine, secondo Kotler, la socialdemocrazia dovrebbe garantire un ordine sociale nel quale, né i diritti individuali, né i diritti della comunità dovrebbero avere la prevalenza gli uni sugli altri; ciò perché una “buona società” dovrebbe essere fondata su un equilibrio tra “libertà e ordine sociale, tra diritti del singolo e responsabilità sociale”, rigettando, sia gli estremismi dell’individualismo liberale, sia quelli del collettivismo autoritario; egli ritiene infatti che “una delle funzioni principali della comunità sia quella di rappresentare una ‘voce morale’ riguardo a ciò che è giusto o sbagliato per gli individui e la comunità”.
Secondo l’analisi critica del capitalismo condotta da Kotler, perciò, per rimediare ai difetti del capitalismo sarebbe sufficiente solo un’”obbligazione morale”, gravante su ogni soggetto liberato dal bisogno, nei confronti di chi sta peggio; Kotler, al riguardo, trascura totalmente il fatto che l’obbligazione morale, istituzionalizzata all’interno del capitalismo del libero mercato con la realizzazione del welfare State, è di fatto servita solo a lenire sul piano sociale gli esiti negativi dei fenomeni della povertà, delle disuguaglianze distributive e dell’inquinamento ambientale, attraverso procedure caritatevoli, non risolutive dei difetti del capitalismo.
In realtà, per realizzare una “buona società” all’interno dei Paesi che seguano le regole del libero mercato, l’equilibrio tra libertà e ordine sociale dovrebbe essere assicurato, non attraverso l’assunzione di un’obbligazione morale da parte di un settore della comunità nei confronti di un’altro, ma attraverso la statuizione della funzione positiva svolta, dal punto di vista del benessere comumitario, sia dai singoli individui, che dall’intera comunità. Ciò in quanto, così come non è possibile ipotizzare la massimizzazione degli interessi individuali fuori dal contesto comunitario, ugualmente non è possibile assumere la massima soddisfazione degli interessi comunitari prescindendo dall’impegno attivo verso la comunità da parte dei suoi singoli componenti. Un efficace equilibrio tra libertà d’iniziativa individuale e ordine comunitario, e con esso anche il contenimento dei difetti del capitalismo dei quali parla Kotler, può essere realizzato solo se si assume, non un’obbligazione morale dei singoli verso la comunità, ma il riconoscimento che l’interesse individuale può essere ottimizzato, massimizzando, in condizioni di reciprocità, anche l’interesse della comunità, espresso in linea di principio dalle istituzioni politiche dello Stato di diritto. Ad originare i difetti del capitalismo perciò, non è tanto l’individualismo, quanto lo sono le istituzioni politiche; ciò in quanto sinora, pur all’interno dello Stato di diritto, esse hanno operato come non avrebbero dovuto, perché condizionate e deviate dal loro corretto funzionamento, in base all’assunto della presunta superiorità dell’individuo rispetto alla comunità.
Vi è un altro aspetto del capitalismo liberista, che Kotler tratta in termini “non convincenti”, forse perché fortemente influenzato dalla cultura e dall’ideologia economica prevalente del Paese al quale appartiene: esso riguarda il governo della crescita in funzione della salvaguardia ambientale. Secondo l’economista americano esisterebbero tre correnti di pensiero schierate a sostegno di un drastico controllo della crescita: una linea di pensiero consiglierebbe una “crescita lenta”; una seconda suggerirebbe un “consumo ragionevole; una terza, infine, la realizzazione di un’”economia stazionaria”. Non si capisce perché Kotler, complicando ulteriormente un argomento già di per sé complesso, anziché usare il “rasoio di Occam”, abbia preferito introdurre più ipotesi di quelle strettamente necessarie per affrontare i problemi connessi alla necessità di porre un limite alla crescita continua.
In realtà, le tre correnti di pensiero alle quali allude Kotler si riducono a una: quella che sostiene la tesi, divenuta ormai luogo comune, della decrescita sostenuta da Serge Latouche. Riguardo alla tesi dell’economista francese è stata prodotta, pro e contro, una letteratura pressoché smisurata; alla disparità di opinioni sul come sarebbe possibile governare la crescita in funzione della salvaguardia ambientale, una risposta soddisfacente è quella data Herman Daly. Questi ha formulato due ipotesi, idonee a fugare tutti dubbi di Kotler, circa la possibilità di porre un limite a una crescita, dissipatrice del capitale naturale. Entrambe le ipotesi presuppongono un ruolo attivo delle istituzioni politiche, chiamate ad esprimere democraticamente, tenuto conto del quadro complessivo al cui interno si colloca la comunità, in quale direzione orientare il funzionamento del sistema economico in funzione del benessere sociale.
Com’è noto le ipotesi alternative formulate da Daly prevedono, la prima, una “configurazione debole della sostenibilità della crescita”, compatibile con un livello di benessere crescente della comunità; la seconda, una “configurazione forte della sostenibilità della crescita del livello di benessere, compatibile con uno ‘stato stazionario’ del sistema economico”. In entrambi i casi, come Daly ha dimostrato, diverrebbe decisivo il controllo della dinamica demografica, nel senso che, nel primo caso, la sostenibilità della crescita del livello di benessere e la salvaguardia ambientale sarebbero assicurate da un appropriato governo della dinamica demografica; mentre, nel secondo caso, lo stesso obiettivo sarebbe raggiunto con il blocco totale della crescita, a meno di quanto è necessario produrre per reintegrare (ammortamento) i beni capitali utilizzati per garantire l’aumento del livello di benessere, e con il blocco totale della crescita demografica.
Si tratta di ipotesi che, anche per i sostenitori del capitalismo “corretto à la Kotler”, risultano di difficile condivisione; sono ipotesi, tuttavia, destinate ad imporsi all’attenzione dell’umanità, se l’economia e la popolazione mondiale continueranno a crescere anche per il futuro secondo i ritmi sinora registrati. I “pannicelli caldi” proposti da Kotler dovranno essere sostituiti da ben altre “ricette”, per salvaguardare, sia la sopravvivenza dell’umanità, che l’integrità del sistema-Terra.
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