Makers, o dell’autocostruzione

Bomeluzo vitruviano

di Marco Cogoni

Lo sviluppo tecnologico sta rendendo possibile la transizione dallo schema classico di produzione-consumo delle merci a uno nuovo basato sull’autocostruzione on demand di oggetti personalizzati.

Open source: dal software all’hardware

In origine si parlava di software di pubblico dominio ed era costituito in massima parte da progetti di scarso interesse commerciale o da piccole parti, distribuite gratuitamente, di grandi progetti venduti sotto licenze in genere del tutto restrittive. Solo i codici già compilati (e quindi illeggibili) facevano parte di questa distribuzione gratuita e gli “ingredienti segreti” (i codici sorgenti) tenuti sempre gelosamente al riparo dagli occhi del pubblico. L’esplosione di un paradigma del tutto diverso si ebbe con lo sviluppo di Linux (una variante del sistema operativo UNIX sviluppato dalla Bell) da parte inizialmente di Linus Torvalds, all’epoca uno studente finlandese di informatica, e in seguito per merito di una comunità tuttora in crescita. La devastante novità portata avanti da questa comunità era costituita dalla condivisione dei codici sorgenti fra tutti i membri di un progetto. Non solo: queste comunità non avevano recinti troppo stretti per far accedere nuovi adepti e l’unica barriera era in genere costituita dalla dimostrazione pubblica delle proprie competenze e motivazioni, e il mettere a disposizione degli altri i risultati del proprio lavoro.

Questa innovazione nel modello di sviluppo di progetti, che in seguito avrebbero assunto una scala di collaborazione globale e pervasivi dell’intera società, è stata oggi quasi del tutto assimilata sia dal pubblico che dal mercato genericamente detto. Possiamo, per esempio, trovare derivazioni e adattamenti del progetto originale di Linus Torvalds praticamente in ogni elettrodomestico disponibile sul mercato: dal televisore alla lavatrice intelligente al telefono, dal frigo all’automobile al sistema d’allarme. L’aspetto ironico del fenomeno è che questo specifico progetto, visto inizialmente come antagonista dei prodotti Microsoft, ha raggiunto quote di assoluta dominazione del mercato in ambiti del tutto imprevedibili e ha invece fallito quasi del tutto nel rimpiazzare i sistemi operativi di Bill Gates sui personal computer della massa. Questo dimostra la difficoltà di prevedere il comportamento di ecosistemi complessi come quello del mercato tecnologico odierno.

L’idea di codice sorgente libero (non banalmente gratuito) si è sviluppata in modo intrecciato alla crescita e alla ramificazione della rete. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito al lento ma costante trasferimento delle idee di libertà e accessibilità, nate originariamente in campo software, verso mondi apparentemente distanti: dalla fotografia alla musica, dall’editoria a quello che finora era stato gelosamente custodito nelle pieghe dei segreti industriali: l’hardware.

Arduino

Arduino  è uno dei più interessanti esempi di hardware sviluppato secondo i principi del free software. Si tratta, più che di una scheda con un piccolo processore quasi insignificante con tanti ingressi e uscite analogici e digitali, sviluppato principalmente in Italia, di un paradigma di ideazione, costruzione e ottimizzazione di soluzioni da applicare a qualsiasi problema di automazione a qualsiasi livello. Basandoci su un’umile scheda Arduino possiamo costruire un lampione stradale alimentato dal sole e dal vento che regola la propria luminosità in base al traffico e controllabile via internet, possiamo realizzare il cervello di un drone autonomo che verifica gli abusi edilizi e le discariche abusive scattando foto aeree, oppure inventare opere d’arte interattive che sentano l’ambiente circostante e reagiscano agli stimoli del pubblico.Siamo cioè in grado di pensare soluzioni per problemi che magari solo pochi al mondo hanno e non vengono proposte commercialmente perchè evidentemente troppo di nicchia. Non c’è un vero limite a quello che si può inventare oggi con pezzi facili da trovare e a prezzi che solo una produzione di massa può permettere. Ecco il trucco: produrre in massa non più l’oggetto-soluzione per consumatori passivi, ma condividere globalmente le piattaforme tecnologiche abilitanti affinchè molti possano sviluppare la soluzione specifica per ogni problema. Questo approccio non è certo la soluzione di tutti i problemi del mondo moderno, ma ha creato un fermento creativo, una nuova generazione di innovatori, una rete di conoscenze, non solo tecniche, che, magari indirettamente, pongono le basi per un terreno fertile sul quale nuove imprese possono nascere, svilupparsi e integrarsi.

Stampare la materia

E’ sempre più frequente incontrare sui giornali articoli che parlano di stampanti tridimensionali. In commercio non si trovano ancora, ma e’ una questione di mesi o al massimo qualche anno prima che questo nuovo oggetto invada il mercato. Si tratta di apparecchi simili a stampanti a getto d’inchiostro, ma invece di spruzzare inchiostro, depositano strati di qualche materiale che solidifica molto in fretta ed e’ subito pronto per ricevere lo strato successivo. A prima vista con questo metodo sembra possibile realizzare solo strutture molto semplici, ma suddividendo opportunamente gli oggetti in piu’ parti, non ci sono praticamente limiti alle forme possibili.

Se si prova a immaginare le possibili applicazioni di questa tecnica e’ evidente che l’impatto sul mercato come lo conosciamo attualmente e’ potenzialmente enorme: una parte significativa dei beni di consumo che normalmente acquistiamo gia’ pronti in plastica e’ a portata di autocostruzione.

Immaginiamo ora di applicare le idee di condivisione proprie del free software (come sempre inteso come “free” as in free speech, not “free” as in free beer). Immaginiamo librerie di oggetti tridimensionali pronti a essere “stampati” da chiunque e pronti a essere migliorati/modificati/integrati da altre persone esattamente come avviene nella comunita’ software. Pensiamo ai progetti 3D per posate, tazze da caffe’, orologi, motori, lampadari, sedie, bottiglie e perfino strumenti musicali che vengono liberamente scambiati sulla rete, esattamente come oggi la gente fa con la musica su Soundcloud, le foto su Flickr e Picasa, i video su YouTube o Vimeo, le presentazioni su Scribd e si potrebbe continuare a elencare sino a domani il dominio della condivisione oggi esistente.

Per far diventare realta’ cio’ che oggi si puo’ fare solo nei centri di ricerca o in qualche garage di appassionati, servono solo pochi passi tecnici: un materiale resistente, atossico e possibilmente colorabile e molto economico e, ovviamente, una produzione di massa delle stampanti che abbassi notevolmente i prezzi attuali.

A quel punto, la prossima volta che andate in un centro commerciale a comprare CD vergini, risme di carta e cartucce d’inchiostro, non dimenticatevi di comprare anche un sacchetto di materia prima per la stampante 3D.

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