Candidati
Caro Muroni, il fronte dell’autodeterminazione non si unisce con i veti ma con un progetto condiviso ed elezioni primarie
di Vito Biolchini. by vitobiolchini
Per rilanciare la nostra isola serve una nuova idea di Sardegna, un nuovo modello di sviluppo e un nuovo progetto politico che non può essere “né stipulato né portato avanti dalle famiglie politiche del bipolarismo italiano”.
Con un suo post su Facebook, l’ex direttore dell’Unione Sarda Anthony Muroni rilancia un dibattito mai chiuso e che da tempo vede impegnati tanti osservatori e intellettuali. Di interventi come quello di Muroni ne sono contati a decine in questi ultimi anni, segno di un clima nuovo in Sardegna, di una nuova consapevolezza. Però allora perché proprio queste idee, così diffuse nel territorio, non trovano rispondenza nei risultati elettorali?
Provo a dire la mia, sulla scorta dell’esperienza fatta alle ultime elezioni regionali e alle recenti comunali a Cagliari durante le quali, con l’associazione Sardegna Sostenibile e Sovrana, abbiamo provato a riunire un fronte che si riconosceva esattamente nei valori espressi da Muroni nel suo intervento.
Quando si mette in campo una proposta politica (e quella di indubbiamente Muroni lo è) per prima cosa bisogna individuare le forze politiche e sociali con le quali la si vuole condividere perché in politica, come nella vita, da soli non si va da nessuna parte.
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I valori espressi da Muroni oggi sono sulla carta gli stessi che animano tutte le formazioni politiche che gravitano nell’orbita del sardismo, dell’indipendentismo e del sovranismo: dal Partito Sardo d’Azione a ProgRes, dal Partito dei Sardi ai Rossomori, da Irs a Sardegna Possibile, da Unidos a Liberu, da Sardigna Natzione ai tanti microgruppi che lavorano nel territorio.
Al momento del dunque però, nonostante gli sforzi di tanti intellettuali di mettere assieme un fronte meno frammentato possibile, ognuna di queste formazioni fa di testa sua. Cosa succede infatti? Che il progetto collettivo soccombe davanti a quello individuale. Questo avviene per motivi nobili e meno nobili, ma avviene. C’è chi si allea col centrodestra, chi col centrosinistra e chi va da solo, pensando di contare sul proprio prestigio, sui propri soldi o sulla propria credibilità.
Il risultato è un fallimento generalizzato: perché chi sceglie di stare nei poli italiani soccombe davanti a quelle stesse logiche che diceva di voler combattere (e questo avviene nel migliore dei casi per effetto di meri rapporti di forza), chi va da solo si schianta e non si riprende più.
Il risultato finale è che questa forza culturale che crede nei valori dell’autodeterminazione non si tramuta in forza politica, capace ci cambiare le cose. E la realtà è sotto gli occhi di tutti.
In questo ambito politico ci sono quelli che teorizzano la necessità di mettere assieme le forze e quelli che invece pensano che sia meglio avanzare separati. Io penso che chi si riconosce in un progetto comune ha il dovere di lavorare in maniera comune. Gli esempi per differenziare le proposte politiche non mancherebbero, e basta pensare alla vicina Corsica e alla sua “cuncolta”.
Quindi il primo passo da fare è quello di lasciare liberi tutti coloro che vogliono partecipare a questa nuova fase di riconoscersi reciprocamente tra di loro.
Dopodiché si stila un documento di massima (il “comune programma di governo” di cui parla Muroni) e si chiede a tutti di sottoscriverlo. Chi ci sta, ci sta; chi non ci sta, si assume la responsabilità politica del suo genso davanti agli elettori e all’opinione pubblica.
Muroni invece dice che il nuovo progetto non può essere portato avanti da “improvvisati e autoproclamati sovranisti che applicano modelli di governo e di gestione del potere che sono propri della politica politicante”. Questa posizione è legittima ma politicamente improduttiva come il recente passato ha clamorosamente dimostrato.
Il gioco dei veti non porta da nessuna parte, semplicemente perché ora serve unire non dividere un mondo che è già diviso di suo. E poi perché chi pone un veto è destinarlo in seguito a subirlo. Non ti piace Pili perché era in Forza Italia? E allora a me non piace Muledda perché era nel Pci e governa da trent’anni. E sai cosa ti dico? I sardisti che governano a Cagliari col centrosinistra e alla Regione stanno all’opposizione non mi convincono. E quell’altro invece era cossighiano, per carità! E con gli esempi potremmo anche continuare.
Ora, la via d’uscita è più semplice di quanto non si immagini e Sardegna Sostenibile e Sovrana l’ha riassunta nel suo progetto “Agenda 2019″.
Una volta messa in campo una idea di massima (a mio avviso ben riassunta dal post di Muroni), si cerca di capire quali forze politiche e sociali ritengono opportuno concorrere alle prossime regionali con un candidato che non sia né dei partiti di centrodestra, né di centrosinistra, né del movimento Cinquestelle.
Ci vuole coraggio a sostenere una posizione simile, perché il rischio di fallire è altissimo. Ma non c’è altra strada.
Sottoscritto il documenti dei valori e la carta politica, ognuna di queste forze proporrà un suo candidato presidente che poi verrà scelto liberamente dai sardi attraverso delle consultazioni primarie.
Punto. Altre strade non ce ne sono. Nessun veto nei confronti di nessuno, condivisione di un progetto, elezioni primarie.
Elezioni primarie: perché chi ha l’ambizione di guidare un processo di rinnovamento così profondo non può che trarre la propria legittimità dal voto popolare, senza speculare su rendite di posizione di ogni genere (politiche, di appartenenza o di visibilità), o pensando che basti annettere pezzi di altri partiti per mettere assieme un progetto credibile.
Dagli errori del passato bisogna imparare qualcosa. Le recenti elezioni regionali hanno visto ardere come un fuoco di paglia il progetto di Michela Murgia. Posto che quasi nessuno (compreso Muroni) hanno pubblicamente analizzato quella sconfitta, è a mio avviso evidente come essa sia maturata per effetto delle stesse logiche che il giornalista ora presenta come vincenti. Invece non lo sono.
Michela Murgia ha fallito perché pensava che la sua visibilità si sarebbe tramutata in consenso, e così non è stato. Ha fallito perché ha chiuso ogni rapporto con quelle forze a lei più vicine quando sarebbe bastato mettere la propria candidatura sul piatto delle primarie di schieramento per sbaragliare tutti. Ha fallito perché probabilmente la politica non faceva per lei, e quanto avvenuto dopo le regionali lo dimostra. Sardegna Possibile si praticamente dissolta, e con essa le speranze dei suoi elettori.
Io non credo nelle vocazioni tardive. A mio avviso, chi si candida a guidare la Regione deve conoscere la macchina amministrativa e avere avuto esperienze all’interno di amministrazioni comunali, altrimenti corre il rischio di non capire manco la legge elettorale. Ecco perché il fronte dell’autodeterminazione è debole: perché in questi anni non ha avuto il coraggio e a forza di confrontarsi con la sfida del governo che si accetta soprattutto guidando i comuni.
Conclusione: sul “cosa” siamo d’accordo, sui valori di fondo nessuno ha niente da ridire, è sul “come” che deve iniziare il dibattito. Senza dimenticare le lezioni del recente passato.
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