Impegnati per il NO nel referendum costituzionale. La CGIL per il NO

Il NO con le prime piogge diventa un fiume in piena

democraziaoggiRed su Democraziaoggi

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In questi primi giorni di settembre le grandi organizzazioni prendono posizione sul referendum costituzionale e per Renzi son dolori. Con le prime piogge si può ben dire che il fiume del NO s’ingrossa e diventa travolgente. Le adesioni al NO si susseguono giorno per giorno e anche la disponibilità a collaborare col nostro Comitato. Nei giorni scorsi si sono svolti positivi incontri del Comitato nazionale per il NO con la LIP e con l’USB, che hanno mobilitato le loro sedi territoriali. La disperazione del trombettiere di Rignano è palpabile se compie la mossa così maldestra di far interferire l’ambasciatore USA in una materia così gelosamente riservata alla volontà popolare quale è l’assetto costituzionale. E ancor peggio è stato invocare l’intervento di agenzie di rating o organismi del capitale finanziario internazionale. Forse Renzi è rimasto scosso dalla decisione formale della CGIL di invitare a votare NO. E ne ha motivo, perché si tratta di un o.d.g. articolato e motivato che orienta milioni di lavoratori e di cittadini. Eccone il testo.

“La CGIL è partita da una discussione tutta di merito delle modifiche costituzionali, proposte volute dal Governo, approvate dal Parlamento e che saranno sottoposte al Referendum costituzionale, non volendo essere rinchiusa in una logica di schieramento o pregiudiziale. In tal senso andava l’ordine del giorno approvato dal Direttivo nazionale della CGIL il 24 maggio scorso. In questi mesi, a partire da quell’ordine del giorno, abbiamo organizzato centinaia di iniziative di confronto e approfondimento che hanno riscontrato anche posizioni diverse ma un consenso nei confronti dei giudizi espressi dalla Cgil. Per la nostra organizzazione, infatti, l’auspicabile obiettivo di superare il bicameralismo perfetto, che anche la CGIL richiede da tempo, istituendo una seconda camera rappresentativa delle Regioni e delle Autonomie locali, e di correggere le criticità della riforma del 2001, si è tradotto in un’eccessiva centralizzazione dei poteri allo Stato e al Governo.
Il nuovo Senato, per composizione e funzioni, avrà difficoltà a svolgere l’auspicato e necessario ruolo di luogo istituzionale di coordinamento fra Regioni e Stato, essenziale a conciliare le esigenze di decentramento con quelle unitarie.
Al Senato, infatti, non è attribuita congrua facoltà legislativa in tutte le materie che hanno ricadute sulle istituzioni territoriali e la sua stessa composizione non garantisce l’adeguata rappresentanza e rappresentatività di Regioni e autonomie.
Pur condividendo l’intenzione di cambiare l’equilibrio dei poteri tra Regioni e Stato, definito dalla modifica costituzionale del titolo V nel 2001, l’esito finale è sbagliato: si passa da un eccesso di materie concorrenti ad una riduzione drastica della facoltà legislativa autonoma delle Regioni.
La previsione, inoltre, che sia lo Stato a dettare le “disposizioni generali e comuni” su molte materie cruciali, potrebbe tradursi in una omologazione normativa, non necessariamente in positivo, che non lascia spazio a processi di innovazione e
sperimentazione che possono scaturire da un sistema plurale e che meglio possono rispondere alle esigenze del singolo territorio.
La possibilità, poi, per il Governo di attivare una corsia preferenziale, per i provvedimenti ritenuti essenziali per l’attuazione del programma, in assenza di limiti quantitativi e qualitativi (salvo l’esclusione di alcune materie), attribuisce al Governo
un eccesso di potere in materia legislativa compensato solo parzialmente dall’introduzione di limitazioni alla decretazione d’urgenza e dalla previsione della determinazione di “diritti per le minoranze” e di uno “statuto delle opposizioni”, la cui
definizione, però, è rinviata, senza alcuna certezza, al Regolamento della Camera stessa. Tale eccesso di potere non trova compensazione nelle disposizioni relative agli altri livelli istituzionali la cui capacità di incidere nel procedimento legislativo è
limitata, né nella partecipazione diretta dei cittadini né in quella delle formazioni sociali.
La semplificazione del procedimento legislativo che si voleva ottenere, con il superamento del bicameralismo perfetto, è vanificata dalla moltiplicazione dei procedimenti previsti a seconda della natura del provvedimento in esame. Una moltiplicazione che richiederà il consolidamento di una prassi e rischia di rendere lo stesso iter delle leggi oggetto di contenzioso davanti la Corte costituzionale.
I nuovi criteri, infine, per l’elezione degli organi di garanzia – Presidente della Repubblica, Giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare, componenti laici del CSM – rischiano di essere subordinati alla legge elettorale, facendo così venir
meno la certezza del bilanciamento dei poteri di cui la Costituzione deve essere garante, con la possibilità di determinare un restringimento del pluralismo e della rappresentanza delle minoranze. La CGIL, dunque, valuta la modifica costituzionale da una parte un’occasione persa per introdurre quei necessari cambiamenti atti a semplificare, rafforzandole, le istituzioni. E, dall’altra, giudica negativamente quanto disposto da tale modifica perché introduce, senza migliorare la governabilità né il
processo democratico, un rischio evidente di concentrazione dei poteri e delle decisioni: dal Parlamento al Governo, dalle Regioni allo Stato centrale. Ferma restando la libertà di posizioni individuali diverse di iscritti e dirigenti, trattandosi di questioni costituzionali, dopo questi mesi di discussione sul merito della riforma, l’Assemblea generale della CGIL invita a votare NO in occasione del prossimo Referendum costituzionale.
L’Assemblea generale impegna tutte le strutture a diffondere queste valutazioni.
La CGIL e tutte le sue Strutture, nel preservare la propria autonomia, non aderiscono ad alcun Comitato e considerano, come sempre, fondamentale la partecipazione al voto e sono impegnate a promuoverla e favorirla tra le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati, i giovani e i cittadini tutti.
Fin qui il documento della CGIL,s u cui si sono pronunciati favorevolmente molti esponenti del mondo democratico. Significativa la dichiarazione della presidente dell’ARCI, Francesca Chiavacci: “Con il no che e’ arrivato dalla Cgil si allarga il fronte di chi si oppone a questa riforma costituzionale”. Ed ha messo in luce le convergenze delle posizioni della CGIL con quelle dell’Arci e dell’Anpi. “I motivi dell’impegno dell’Arci – ha detto Chiavacci – sono noti: noi ci siamo sempre impegnati per difendere la Costituzione, e l’Anpi e’ una delle associazioni di riferimento per noi. Questa riforma non va bene perche’ restringe la partecipazione dei cittadini, e sposta troppo potere all’ esecutivo. Gia’ oggi c’e’ una crisi della rappresentanza politica, vedi l’astensionismo, e certamente questi gravi problemi di democrazia non verranno risolti con questa riforma. Dobbiamo ripensare tutti al patto sociale e ritornare ad un metodo migliore per parlare di riforme”, ha concluso Chiavacci.
Di grande rilievo anche la presa di posizione per il NO della LIP col seguente documento:.
L’assemblea riconosce l’assoluta necessità di contribuire alla campagna referendaria per il NO allo stravolgimento costituzionale e – ferma restando la ovvia autonomia di ogni Comitato locale della Lip – auspica che in tutte le situazioni, data la gravità degli esiti che provocherebbe una vittoria del Sì, si lavori congiuntamente, con il contributo di tutti, compreso (dove sarà possibile) quello degli interi “comitati dei referendum sociali”.
Importante anche la presa di posizione della LIP, un’associazione di genitori, insegnanti, studenti e cittadini che hanno elaborato la legge d’iniziativa popolare per una buona scuola per la Repubblica in alternativa alla legge Renzi .I Comitati Lip – finalizzandola ad un positivo esito della campagna – individuano la necessità di coniugare i temi della difesa della Costituzione a quelli della sua reale attuazione, poiché strettamente intrecciati: in primo luogo la scuola, perché non può esistere una scuola democratica senza un Paese democratico, né un Paese democratico senza una scuola democratica; ma anche il tema del lavoro e quello dell’ambiente che – tutti insieme – possono essere considerati un logico e conseguente corollario nella battaglia per la democrazia nel Paese.
A questo fine l’assemblea nomina due propri rappresentanti (Boscaino e Moretto) per un incontro con il Comitato promotore nazionale, che verrà richiesto al più presto, e costituisce un gruppo di lavoro (al momento composto da Presini, Guerra, Perrone, Ancona), che si occuperà della redazione di materiali specifici.
Infine, si decide di partecipare alla campagna anche attraverso la scheda informativa sul contenuto della riforma costituzionale già predisposta per gli studenti dall’Associazione nazionale Per la scuola della Repubblica, da far girare nelle scuole, unita ad altra analoga scheda che sarà predisposta per illustrare la “combinata” riforma dell’”Italicum”.
Il No si allarga e diventa un fiume in piena. Il trombettiere toscano sta per suonare il silenzio.

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