Migranti. Le politiche in (lenta) costruzione e le buone effettive pratiche locali

Migranti, Giro: “Svegliati Europa, l’Italia è già pronta per agire”
Dalla creazione del fondo fiduciario per il continente nero al Migration Compact (proposta tutta italiana), i piani per fronteggiare i flussi migratori non mancano. Ora, però, servono i soldi e una maggiore consapevolezza da parte dei governi africani: «Stanno perdendo il loro futuro»
di Nicola Grolla su Linkiesta (23 Agosto 2016)
neri per cagliariDi “piani” per affrontare la crisi dei migranti, la Ue e gli Stati membri sembrano esserne talmente pieni da non sapere quale scegliere. Finendo per lasciare tutto com’è. Dal sistema delle quote al ritornello dell’«aiutiamoli a casa loro», fino all’accordo con il “sultano” di Turchia Tayyip Erdogan che per molti osservatori sembra essere l’unica spiegazione per il mancato biasimo di quanto sta accadento al di là dello stretto del Bosforo. Anche l’Italia ha fatto la sua parte. Stavolta per l’Africa. Non solo con gli innumerevoli interventi della Marina militare al largo del Mediterraneo, ma proponendo un piano di aiuti che porta un nome inglese (stile Jobs Act): il Migration Compact. Fatto proprio dalla Ue durante il vertice fra i capi di stato e di governo che si è tenuto il 28 e 29 giugno, quello in cui si è parlato soprattutto degli esiti del voto inglese sulla Brexit, il progetto italiano ha tuttavia subìto diverse variazioni: «Attualmente manca interamente tutta una parte, quella sugli investimenti. Non si capisce perché i Paesi africani debbano accettare le richieste dell’Europa se non c’è per loro un vantaggio reale», afferma il viceministro degli esteri Mario Giro. Dopo una lunga esperienza nella Comunità di Sant’Egidio che lo ha portato a viaggiare in lungo e in largo per l’Africa, dal gennaio 2016 Giro ha preso il posto lasciato libero da Lapo Pistelli nella squadra del ministro Gentiloni. Un innesto che pesca all’interno della Farnesina, dato che l’attuale viceministro era già sottosegretario dal 2013 e da allora segue i temi della cooperazione internazionale. Compreso la proposta tutta italiana del Migration Compact.
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- La proposta originaria del Migration Compact metteva 8 miliardi di euro da qui al 2020. Un somma che nell’intezione dei proponenti avrebbe potuto innescare un effetto leva sul lungo periodo capace di mobilitare 65 miliardi. Ma solo 500 milioni sarebbero arrivati freschi, freschi dal Fondo europeo di sviluppo
Il testo originario, inviato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi al presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker il 15 aprile scorso, conteneva tutta una serie di incentivi diretti a progetti di sviluppo infrastrutturale in cambio di una cooperazione alla gestione del flusso migratorio. Sul piatto, la proposta italiana metteva 8 miliardi di euro da qui al 2020. Un somma che nell’intezione dei proponenti avrebbe potuto innescare un effetto leva sul lungo periodo capace di mobilitare 65 miliardi. Chiaro, solo 500 milioni sarebbero arrivati freschi, freschi dal Fondo europeo di sviluppo. Il resto si sarebbe dovuto recuperare reindirizzando altri fondi di investimento già esistenti e da un meccanismo di finanziamento pubblico-privato. Liquidità necessaria se si pensa, come fa notare il viceministro Giro, «che attualmente il valore delle rimesse degli immigrati africani si ferma a mezzo miliardo di euro». Non solo, quello che è venuto meno in campo europeo è l’idea degli Eu-Africa bonds: strumenti finanziari che avrebbero facilitato l’accesso dei Paesi africani ai capitali europei in una prospettiva di medio-lungo periodo. «Insomma, mi sembra che ci troviamo davanti a un fondo de La Valletta rafforzato. Poco se consideriamo i 6 miliardi dati alla Turchia, di cui 400 milioni attualmente erogati».

A Malta, durante il summit dedicato alle migrazioni del novembre 2015, Ue e Paesi africani avevano già trovato un accordo per dar vita a un fondo fiduciario con una base di 1,8 miliardi di euro a cui si sarebbero aggiunte le integrazioni degli Stati membri e di altri donatori. Al momento, la somma disponibile si aggira sui 2,3 miliardi. In altre parole, “solo” 20 milioni per Paese africano. Il tutto per finanziare, attraverso le varie agenzie di sviluppo nazionale, quasi un centinaio di progetti mirati al miglioramento delle condizioni del continente nero. L’Italia, per esempio, ha già avviato un programma di inserimento socio-economico delle donne in Burkina Faso dal valore di 5,2 milioni di euro, mentre in Sudan ed Etiopia è impegnata nella gestione dei rifugiati per un totale di circa 50 milioni. In cambio, l’Europa richiede il rispetto della Convenzione di Cotonou siglata nel 2000 che punta all’eliminazione della povertà in cambio di una stabilità politica e sociale. Ad oggi, la cooperazione è stata sospesa 15 volte, l’ultima lo scorso marzo quando una commissione d’inchiesta aveva accertato il mancato rispetto dei diritti dell’uomo. Cosa che, tuttavia, non ha impedito all’Ue di concludere un accordo commerciale con la nazione africana a inizio luglio.

«Per adesso c’è una costruzione ancora troppo timida degli aiuti ai Paesi africani – afferma Giro – Se noi vogliamo veramente gestire insieme i flussi migratori dobbiamo dare qualcosa che vada a vantaggio degli investimenti. Qual è l’interesse di questi Paesi? Infrastrutture». Risposta quasi scontata se si pensa che l’attuale popolazione africana conta un miliardo di abitanti e nel giro dei prossimi trent’anni il continente si ritroverà con 700 milioni di persone in età lavorativa su un totale di 2,4 miliardi. Cifre che potrebbero non solo rafforzare la migrazione esterna, ma anche quella interna e di conseguenza innalzare i livelli di attenzione sulla sicurezza. «Per questo la proposta italiana è quella di cambiare paradigma: lavoriamo insieme. Una volta garantiti gli investimenti necessari, che siano volano di sviluppo, allora possiamo occuparci della questione sicurezza. Perché il terrorismo minaccia tanto loro quanto noi. Poi possiamo affrontare la gestione dei flussi. Insomma, mi spiega lei per quale motivo un Paese africano, con poche risorse e pochi mezzi dovrebbe mettersi a rincorrere i migranti e rifugiati che transitano nel loro territorio?».

- «La proposta italiana è quella di cambiare paradigma: lavoriamo insieme. Una volta garantiti gli investimenti necessari, che siano volano di sviluppo, allora possiamo occuparci della questione sicurezza. Perché il terrorismo minaccia tanto loro quanto noi. E se dovessi fare un appunto ai dirigenti nazionali africani è proprio questo: devono interrogarsi sul fallimento che le innumerevoli partenze e le tante morti in mare rappresentano per il loro continente»

Una posizione che tenta di disinnescare le accuse delle ong che, come nel caso della Turchia, vedono nel Migration Compact uno strumento per esternalizzare la questione sicurezza. Ma anche un atteggiamento che punta a consapevolizzare l’intero continente africano sulla perdita che potrebbe derivare dall’abbandono in massa della propria terra da parte di chi non riesce a trovare uno sbocco professionale e occupazionale in patria. «Per l’Africa sarebbe una perdita secca. E se dovessi fare un appunto ai dirigenti nazionali africani è proprio questo: devono interrogarsi sul fallimento che le innumerevoli partenze e le tante morti in mare rappresentano per il loro continente». Per quanto riguarda l’Europa, invece? «Manca di coraggio. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha fatto un gran lavoro. Ma la Commissione è sembrata un po’ sorda».

Ad alzare il volume della discussione potrebbe essere proprio l’Italia che nel 2017 si prepara alla ribalta internazionale su due fronti: come membro non permanente al Consiglio di Sicurezza dell’Onu e come organizzatore del G7 che si terrà in Sicilia. «Continueremo la nostra battaglia sul tema dell’immigrazione. Siamo certi che si debba risolvere innanzitutto a livello europeo. Anche se la vera sfida, per il nostro Paese, è dotarsi di una vera politica d’integrazione», conclude il viceministro Giro.
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«Altro che Capalbio, da noi i migranti curano il verde pubblico»
Il sindaco di Sarzana Alessio Cavarra ha avviato il progetto nel 2014. Dopo aver svolto un corso di formazione, 50 migranti lavorano nei parchi. «Siamo stati i primi in Italia. Noi li ospitiamo, loro vengono incontro alle esigenze della città. A Capalbio sbagliano: la sinistra deve aprire le porte»
di Marco Sarti su Linkiesta (23 Agosto 2016)

«Dobbiamo aprire le porte ai migranti, siamo un’amministrazione di sinistra. Ma in cambio bisogna stringere un patto con queste persone. Noi li ospitiamo, loro devono svolgere un ruolo nella nostra città». Quarantadue anni, esponente del Partito democratico, Alessio Cavarra è il sindaco di Sarzana. Un comune di 22mila abitanti in provincia di La Spezia. Quando pochi giorni fa il prefetto Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del Viminale, ha proposto di attivare progetti di volontariato per i richiedenti asilo, al primo cittadino ligure è venuto da sorridere. Da un paio d’anni nella sua città circa cinquanta migranti curano la manutenzione di tre parchi pubblici. Altro che Capalbio. Se nel paese maremmano simbolo della sinistra intellettuale l’arrivo di alcuni profughi ha scatenato il panico, a Sarzana i migranti sono coinvolti in lavori socialmente utili già dal 2014. «Siamo stati i primi in Italia – racconta Cavarra – E da allora sono molti i sindaci, anche importanti, che mi hanno chiesto informazioni. Vogliono copiare il nostro modello».

Sindaco, come è iniziata?
Abbiamo avviato il progetto due anni fa, dopo che la prefettura aveva inviato in città una quarantina di migranti africani. Siamo una città accogliente, lo dice la nostra storia. Non potevamo voltarci dall’altra parte. E per dare vita all’iniziativa è stato firmato un protocollo d’intesa con la Caritas.

«I migranti lavorano su base volontaria per la manutenzione di queste aree verdi. Sono stati svolti dei corsi di formazione, hanno imparato a usare decespugliatori e tagliaerba. In questo modo hanno avuto anche l’opportunità di apprendere un mestiere che non conoscevano. Ovviamente c’è un’assicurazione che li copre in caso di infortuni»
Non tutti i cittadini saranno stati entusiasti.
Certo, all’inizio anche i nostri concittadini erano un po’ perplessi. Ma in poche settimane la paura si è trasformata in solidarietà. Oggi non è raro vedere qualcuno, sotto il sole, offrire da bere o da mangiare a questi ragazzi mentre lavorano. Ma non le nego che soprattutto durante i primi tempi, c’è stato chi ha provato a cavalcare i timori della gente.

Sarzana ha conosciuto anche la ribalta nazionale. In città è venuto a manifestare il segretario legista Matteo Salvini.
Il leader leghista è arrivato nel 2015, ha organizzato una manifestazione proprio davanti all’ex discoteca messa a disposizione da un privato dove sono alloggiati i migranti. Ma devo dire che al di là dell’attenzione mediatica, con Salvini c’erano pochissime persone.

All’epoca il leader leghista la accusò di pagare 5mila euro al mese per l’affitto della struttura che ospita i migranti.
E invece il comune non tira fuori neanche un euro. È la Caritas a farsi carico dell’affitto. In compenso la città riesce a garantire la pulizia di tre parchi pubblici risparmiando anche parecchi soldi. Dal 2015, quando effettivamente è iniziato il progetto, sono state svolte almeno 1200 ore di lavoro. Un impegno che altrimenti ci sarebbe costato diverse migliaia di euro ogni anno.

Cosa fanno effettivamente queste persone?
Lavorano su base volontaria per la manutenzione di queste aree verdi. Sono stati svolti dei corsi di formazione, i migranti hanno imparato a usare decespugliatori e tagliaerba. In questo modo hanno avuto anche l’opportunità di ricevere un attestato e apprendere un mestiere che non conoscevano. Ovviamente c’è un’assicurazione che li copre in caso di infortuni.

«All’inizio anche i nostri concittadini erano un po’ perplessi. Ma in poche settimane la paura si è trasformata in solidarietà. Oggi non è raro vedere qualcuno, sotto il sole, offrire da bere o da mangiare a questi ragazzi mentre lavorano»
E non vengono retribuiti?
No. Ma l’idea è proprio questa: noi e la Caritas offriamo ospitalità. E loro in cambio, sempre maniera volontaria, vengono incontro alle esigenze della nostra città.

Lei è un esponente del Pd.
Sì, sono del Partito democratico. E sono renziano.

In un altro comune amministrato dal suo partito, Capalbio, in questi giorni si sono sollevate diverse polemiche di fronte alla possibilità di ospitare alcuni migranti.
E hanno sbagliato. Un’amministrazione di sinistra ha l’obbligo di creare le condizioni per ospitare queste persone. Ma come dicevo prima, la convivenza deve essere reciproca. Perché essere di sinistra vuol dire tenere aperte le porte a chi è in difficoltà, sempre nel rispetto delle regole.

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