Sardegna quasi non conti niente
di Antonio Dessì*
Ma non è la stessa cosa.
“Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3. Statuto speciale per la Sardegna.
Articolo 13.
Lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola.”.
Chi è cresciuto condividendo la mia formazione politica e professionale non può evitare di esprimere una insoddisfazione profonda per il contesto in cui si è svolto l’arrivo in Sardegna del Capo del Governo italiano, giunto ieri a Sassari per la consegna virtuale di una valigia di danaro statale, alla quale il Presidente della Regione ha apposto la propria firma per ricevuta su un documento solennemente definito “Patto per la Sardegna”.
Tutto, ieri, anche in termini di immagine istituzionale, sapeva di fuori posto.
Una cerimonia poco paritaria, i cui protagonisti locali son parsi più un codazzo di infeudati che non la rappresentanza di una corale e autonoma comunità regionale.
Anche la scelta di una sede lontana da quella dell’istituzione autonomistica, in particolare del suo Parlamento, è parsa più una collocazione nella marca politicamente più fedele, che non un fatto di riconoscimento istituzionalmente significativo della pluralità e della diffusione dei luoghi dell’identità sarda. – segue –
Non che Cagliari, a fronte del compiacimento delle autorità sassaresi e del restante notabilato regionale in trasferta, se ne sia doluta. Di venerdì pomeriggio, in una calda estate, poi: figuriamoci.
La grande città del Capo di sotto, infatti, a differenza del grazioso capoluogo del Capo di sopra, al ruolo di capitale politica e amministrativa della Sardegna poco ci aveva aspirato nel 1948 e da allora non ha mai smesso di considerare la Regione come un ospite talvolta fastidioso, pervicacemente invadente anche in affari urbani altrui.
Mi si potrebbe dire che scrivo per partito preso, che ancora sono legato a norme costituzionali obsolete (“piano organico” sa di armamentario superato; già, perché, “patto” sa più di cosa concreta?), che quasi tre miliardi di euro sono una cifra aggiuntiva di tutto rispetto e che oggi tutte le transazioni tra soggetti politico-istituzionali si fondano su un rapporto di affinità e di affidamento tra esecutivi, essendo le assemblee rappresentative luoghi ancor meno generosi, equanimi e affidabili.
Sarà. Ma di quei tre miliardi di euro una sola parte ha copertura reale nel bilancio annuale dello Stato, mentre altra parte dovrà essere confermata dal Parlamento nel triennio annunciato. Direi anche che gran parte di quel danaro corrisponde a voci per oneri che comunque incombono sullo Stato per le competenze che gli residuano nel territorio regionale e che nessuno ci ha fornito una stima su quanto coprano realmente del fabbisogno occorrente per un funzionamento decente delle attività di spettanza dello Stato. Altre derivano dal riparto ordinario delle somme “per la coesione” tra le diverse aree territoriali del Paese.
Siamo piuttosto lontani da qualcosa che, su impulso comprensibile e condiviso, rassomigli a un intervento strategico sui problemi che attualmente asfissiano il sistema sardo: trasporti da e per l’Isola in primo luogo.
Una volta, i critici, soprattutto del mondo accademico e intellettuale, forse con qualche punta di ingenerosità, avrebbero adombrato il concetto di finanziamenti a pioggia e la contemporaneità con una campagna referendaria per ora gestita unilateralmente dal Governo e dal partito che esprime sia il Presidente del Consiglio dei Ministri sia il Presidente della Regione avrebbe rinforzato qualche diffidenza.
Io a tanto non arrivo nè voglio indirizzare il giudizio di alcuno.
Però, nel cogliere qualche elemento positivo (i soldi, se son veri, a noi comunque servono), non posso non condividere il clima di cautela, se non di vero e proprio scetticismo, che colgo diffuso al di fuori del ceto politico e delle sue propaggini anche mediatiche.
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* anche su Democraziaoggi.
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