Brexit. Ripensare l’Europa

Brexit zlampadadialadmicromicro13Riprendiamo da Rocca (n. 15 del 1° agosto 2016) un articolo di Umberto Allegretti, scritto all’indomani dell’esito referendario della Gran Bretagna, che riflette sulla situazione soprattutto nella prospettiva del “che fare?” per l’Europa. Sono questioni di grandissima importanza sulle quali è necessario costruire (contribuire a, anche per quanto ci riguarda) una nuova politica. Molto difficile considerate le posizioni in campo che vedono profondamente divise anche le forze progressiste. L’articolo di Umberto, chiaramente ancorato alle sue profonde convinzioni di europeista, ci aiuta comunque. Attendiamo anche il successivo approfondimento, promesso dall’Autore per il prossimo numero di Rocca, che puntualmente riproporremo (per questo ringraziamo la redazione di Rocca e, in particolare il direttore Gino Bulla).
Brexit. Ripensare l’Europa
di Umberto Allegretti, su Rocca n. 15 del 1° agosto 2016

Scrivendo sull’Europa prima della fine di giugno si può solo riflettere sulla Brexit in via generale, con riserva di ritornare sull’argomento quando alcune cose saranno più definite. Ma intanto qualcosa è possibile dire.
Non c’è dubbio che l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sia un avvenimento tra i più drammatici del nostro tempo, che nessuno di noi deve sottovalutare e nei confronti del quale, per cercare di riassor- birlo e contenerne gli effetti peggiori, ognu- no, veramente ognuno, deve sentirsi obbligato a fare qualcosa.
le quattro ragioni del trauma
Le ragioni di questo trauma a cui l’Inghilterra ha sottoposto l’Europa tutta (e il mondo, addirittura) sono molte e complesse. Una delle meno nobili è la ragione elettorale, che nelle ultime elezioni spinse Cameron a promettere alla parte più scettica della popolazione britannica un referendum che poi si sentì obbligato ad attuare. Questo deve spingerci a riflettere su una carenza insita nella democrazia e presente più o meno dovunque: la democrazia è ormai in gran parte priva di valori sostanziali, subordina tutto alla voglia di potere di uomini e partiti, ci riporta ai difetti che conducevano spesso gli antichi Greci, che pur la inventarono (e i loro pensatori migliori), a considerarla un regime notevolmente difettoso – anche se, come perfino Il Politico di Platone rilevava – non se ne è ancora trovati di meno imperfetti. Dovremmo rifletterci di più, per sperimentare quanto meno parziali rimedi (altri regimi non essendo evidentemente da prendere in considerazione). Anche peggiore una seconda ragione. Il ripiegamento sulla vecchia tradizione nazionalistica (l’individualismo dei popoli) che, oltre ai britannici – o gli inglesi, essendo stati più sani il voto scozzese e quello nord-irlandese – ha contagiato, oltre chi vi era già incline come la Francia, paese parimenti dal passato imperiale, altri come l’Olanda e la Danimarca, dopo aver molto influito e spinto non da ora il Regno Unito a chiedere e ottenere privilegi molteplici nel loro status europeo, che evidentemente non gli bastano più.
Terza ragione quella culturale: Inghilterra ed Europa continentale, o almeno la sua parte occidentale – quella più a Est entro l’Unione, sta rivelando sempre più le eredità più pestifere lasciate dal loro passato sovietico – rivelano, nonostante l’origine britannica della democrazia, il divario di idee e comportamenti che porta i britannici all’orgoglio e alla superiorità più insostenibili e a un isolazionismo cieco. Quarta ragione, quella sociale. Sembra che i più poveri e la ex-classe operaia abbiano votato per l’uscita dall’Unione. Il timore che ha mosso questo voto è stato il perdere i propri spesso inesistenti privilegi rispetto agli altri europei in tema di salute e di assistenza e nei confronti dell’accresciuta pressione migratoria dagli altri continenti.
al di là della Ragione
Ma, al di là delle ragioni dovrebbe esserci (ed è stata lasciata da parte in questa vicenda) la Ragione. La Ragione è stata messa da parte dalla maggioranza degli inglesi, che hanno fatto prevalere in realtà riflessi psico-antropologici rispetto per esempio alle condizioni economiche, secondo tutte le previsioni destinate a peggiorare in Gran Bretagna, e alla stessa supremazia finanziaria della piazza di Londra nel mondo. E la Ragione calpestata ha impedito ogni istinto di solidarietà, essendo la solidarietà convergenza dell’interesse altrui e dell’interesse proprio, mettendo con la rottura in difficoltà tutta l’Europa e la stessa Gran Bretagna. Anzi, questo stesso Paese – ed è un’ulteriore rottura della Ragione elementare e storica – verrà privato del rilievo che ha avuto sinora l’unione di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord nel generare la felicità di una regione geopolitica che, nonostante l’unità insulare, non può vivere ridotta alla sola Inghilterra e Galles, dato che già Scozia e Irlanda accennano alla separazione dall’Inghilterra. Come ha ben detto Mario Monti giudicando di Cameron, questi ha compiuto un doppio capolavoro: ha pregiudicato l’unità del resto d’Europa e rotto l’unità del suo stesso Paese, per linee geografiche, sociali e culturali.
quale futuro?
Ma ora che futuro attende il Regno Unito e noi tutti? Difficile dirlo a prima vista. Bisogna pensarlo con la calma ma anche con la rapidità necessarie. Certo, occorre che l’Unione ripensi tutta la propria organizzazione, rendendola più salda e meno dominata dai poteri nazionali e conferendole quei compiti che l’Inghilterra più di tutti impediva: dandole condizioni di uniformità tributaria e fiscale, poteri di incidenza non puramente restrittiva sui bilanci, compiti precisi in campo sociale e così via. Ma soprattutto occorre ripensare la cultura e lo spirito europei, pur salvaguardandone la varietà e le differenze. Occorre forgiare una comunità, immaginare un progetto positivo, unitario, che illumini il nostro cammino. I viaggi erasmiani degli studenti e i matrimoni misti non bastano, anche se sono stati già molto utili a far nascere un popolo multiforme ma di sentimento unitario. Occorre che, come si diceva, ci sia un impegno non solo delle istituzioni, certo di primaria importanza, ma anche l’assunzione di un compito da parte di ciascuno di noi – nel grande o piccolo ruolo che svolge nella società – per la creazione di un forte e attrattivo atteggiamento di unione continentale. Si potrà prendere spunto dal dolore dell’attuale e presumibilmente futuro momento: il dolore infatti è un grande insegnante, come lo è stato dopo la seconda guerra mondiale.
l’eresia
Qui tocchiamo un confine tra quella che chi scrive considera – naturalmente in senso assolutamente traslato e non eccessivo – una «eresia», e una posizione più dichiaratamente corretta. L’eresia, che può vantare come seguaci interi gruppi di politici e pur illustri giuristi, sta nella convinzione che l’asse dei problemi che generano tante sofferenze e tante insoddisfazioni stia nell’imperfezione degli assetti istituzionali. Ciò sia nella questione italiana, dove questa posizione ingombra da decenni la vita del Paese, pur in presenza di una buona Costituzione; e sia in quella europea, dove certo le inadeguatezze istituzionali sono maggiori per effetto di sviluppi storicamente e politicamente incompiuti. Naturalmente tutto questo è in parte vero. Ma non occorre mai dimenticare che le istituzioni, il diritto e la loro conformazione non sono che strumenti per la trattazione di questioni più sostanziali: strumenti che, se ben congegnati, possono agevolare e se inadeguati impigliare quella trattazione, ma mai o quasi mai – in democrazia – sono la chiave decisiva che apre o chiude la porta ai risultati a cui la società aspira e che la rendono giusta o ingiusta.
la posizione più corretta
La chiave, se chiave vi è, va cercata nelle posizioni che si prendono e nelle azioni che si compiono su piani in cui la Gran Bretagna, ma non solo lei, si è posta come un grande ostacolo. Nell’Unione Euroepa, nei singoli Paesi e più particolarmente in Italia, quelli che vanno con lungimiranza affrontati, rovesciando, come è stato detto, molte «risposte sbagliate o mancate» del passato e del presente, sono i problemi di una politica economica non puramente «finanziaria» – nell’ambito della seconda bisognerà finalmente decidere (finora è soprattutto la Germania a essersi opposta) l’emissione di bond europei –; di una politica bancaria che includa (e anche qui l’opposizione tedesca è forte) la garanzia dei depositi; di una politica sociale che tenda a ridurre, anziché a esacerbare, le distanze tra le varie parti della società, che dia davvero speranze di lavoro ai giovani e attenzione a tutti.
E ancora: sono da affrontare i problemi di una politica ambientale e territoriale sagaci,
che nel primo caso incentivi una nuova economia delle fonti energetiche e del loro uso, per esempio nelle abitazioni (e qui chi scrive è in grado di osservare nel quotidiano l’abisso che separa la Germania dall’Italia), e nel secondo sostituisca all’incoraggiamento delle nuove costruzioni il lavoro sull’edificazione esistente (la carenza della quale è osservabile, seppure in misura e con modalità diverse, in entrambi i Paesi). In Italia, ciò si dovrebbe fare indirizzando le imprese al risanamento dei centri storici e delle periferie moderne, al risanamento sismico e a quello idrogeologico. Inoltre, deve esservi un’attenzione effettiva a una ricca azione culturale, sia ai livelli alti della ricerca e dell’insegnamento che ai livelli comuni e diffusi della società intera. Infine, ma non ultima per importanza, occorre realizzare una politica solidaristica delle migrazioni – che come già detto non ha solo valore umanitario –, vincendo in particolare l’opposizione alla distribuzione per quote, ostacolata dai vecchi paesi socialdemocratici del Nord e da quelli ex-comunisti dell’Est, e accantonando definitivamente l’orrenda pratica dei reticolati e dei muri, che ancora minaccia perfino il nostro Brennero, la cui piena apertura è stata finora simbolo e pratica quanto nessun altro confine del superamento dei conflitti europei.
La società deve farsi sentire sempre di più in questo senso e sostenere e spingere il Governo, il Parlamento e tutte le istituzioni. E ciò potrà fare non certo manifestando sfiducia e disillusione (per il lavoro sull’edificazione esistente per parzialmente giustificate che siano) e men che meno esprimendosi contro l’Unione Europea o anche solo per l’uscita dall’euro (non sarebbe già questo un uscire dall’Ue?), ma con un’azione positiva di richiesta, pressione e proposta, tenace e mai cedente allo scoraggiamento. Nella stessa direzione degli organi direttamente politici, un’opera strategica può esser svolta dal Presidente della Repubblica – anche se ovviamente nei modi non direttamente operativi né contingentemente decisionali che non gli competerebbero –, proprio come è avvenuto con Napolitano (si veda il bel libro di V. Lippolis e G.M. Salerno, La presidenza più lunga. I poteri del capo dello Stato e la Costituzione, Il Mulino, maggio 2016, presentato a Roma il 7 luglio) – e come sta avvenendo ora con Mattarella. Su tutto questo, cercheremo di esprimere altre osservazioni in un numero seguente, quando, speriamo, anche alcune scelte procedurali, tanto discusse fin dai primi giorni dopo il Brexit, diverranno più chiare.
Umberto Allegretti
mini_01 15 ago rocca 2016


4 Responses to Brexit. Ripensare l’Europa

  1. […] Come promesso sul precedente numero di Rocca (n. 15 del 1° agosto 2016) Umberto Allegretti prosegue le sue riflessioni sull’esito referendario della Gran Bretagna, aggiornate con le ultime novità. Puntualmente anche noi di Aladinews riprendiamo il suo articolo (apparso sul successivo numero di Rocca, n. 16-17 agosto/settembre 2016) ribadendo l’importanza delle questioni nella prospettiva del “che fare?” per l’Europa. Ringraziamo anche in questa circostanza la redazione di Rocca e, in particolare, il direttore Gino Bulla, auspicando che si concretizzi l’idea degli “Amici sardi della Cittadella di Assisi” per l’organizzazione di un’apposita conferenza di Umberto Allegretti a Cagliari, in collaborazione con l’associazione culturale “Stampaxi” e con la Fondazione di Sardegna. […]

  2. […] della globalizzazione». —————————– Come promesso sul precedente numero di Rocca (n. 15 del 1° agosto 2016) Umberto Allegretti prosegue le sue riflessioni sull’esito […]

  3. […] della globalizzazione». —————————– Come promesso sul precedente numero di Rocca (n. 15 del 1° agosto 2016) Umberto Allegretti prosegue le sue riflessioni sull’esito […]

  4. […] del tutto deludenti perché insignificanti. Il primo contributo di Umberto è rintracciabile qui; il secondo qui. La lenta uscita della nave inglese dal porto Europa. di Umberto Allegretti su […]

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