Povera patria!

sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300I temi trattati dal Rapporto della Banca d’Italia, in particolare, sollevano il problema del ruolo e dell’importanza che le istituzioni regionali potrebbero svolgere, da un lato, riguardo ai segnali di vitalità che i comparti produttivi dei singoli territori potrebbero produrre per resistere agli effetti della crisi e per migliorare i livelli occupazionali; dall’altro lato, riguardo al supporto che le istituzioni regionali potrebbero offrire, al fine di promuovere l’innovazione per contribuire a fare crescere la dimensione dei comparti produttivi isolani e con essa la loro capacità competitiva sui mercati extraregionali.
Sperare che la classe politica attualmente al potere, che vede tra l’altro in cima alle massime istituzioni regionali economisti professionali, significa forse essere vittime di un eccesso di desiderio da parte dei sardi; desiderio che, però, potrebbe facilmente essere esaudito solo se la classe politica cessasse di assumere decisioni in funzione del proprio prevalente tornaconto elettorale, privilegiando il perseguimento di obiettivi più convenienti per i sardi; obiettivi da sempre “sbandierati”, ma mai seriamente e responsabilmente perseguiti.

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povera patria sardaNell’economia della Sardegna? “Niente di nuovo”

democraziaoggidi Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi

Anche quest’anno, puntuali, come ogni anno, sono stati presentati i “Rapporti” sull’economia della Sardegna da parte di CRENOS e della Sede di Cagliari della Banca d’Italia. I due rapporti descrivono la situazione dell’economia regionale dal punto di vista macroeconomico, facendo riferimento a dati aggiornati risalenti a qualche anno prima. Mentre il Rapporto CRENOS, giunto alla sua ventitreesima edizione, è dedicato solo alla descrizione degli aspetti reali dell’economia della Sardegna, quello della Banca d’Italia considera l’andamento dei dati a livello macro, disarticolati settorialmente e territorialmente, sia dal punto di vista reale, che da quello finanziario.
Quest’ultimo Rapporto, inoltre, aggiunge importanti considerazioni, ricavate sulla base di una metodologia di analisi del tutto innovativa: esse riguardano, da un lato, l’individuazione delle aree sub-regionali che meglio hanno fatto fronte alla caduta dei livelli di attività e, dall’altro lato, la rilevanza che riveste per le imprese operanti in Sardegna la relazione tra i confini del mercato di riferimento delle imprese e la loro capacità innovativa. Si tratta di due aspetti rilevanti che dovrebbero “illuminare” le scelte della politica regionale, di solito assunte in funzione di interessi non sempre coincidenti con quelli generali dell’Isola.
Come d’uso, il rapporto CRENOS apre con la “presentazione delle principali caratteristiche strutturali del sistema economico regionale”, con l’obiettivo “di inquadrare la performance della Sardegna in ambito nazionale e in rapporto al più ampio contesto europeo”. A tal fine, vengono svolti interessanti raffronti concernenti il Prodotto Interno Lordo (PIL) delle 276 regioni dell’Unione Europea (UE), per confrontare i differenziali di reddito sulla base dei dati disponibili per il 2014 e le variazioni che sono intervenute nell’ultimo quinquennio nella distribuzione territoriale del reddito.
A livello di UE, la performance della Sardegna è espressa “presentando i dati sul PIL pro-capite in standard di potere d’acquisto”, recentemente pubblicati dall’Istituto statistico dell’UE (Eurostat). Nel 2014, il PIL pro-capite medio europeo è stato di 27.500 euro; la Sardegna si è posizionata al 206.esimo posto nella classifica delle 276 regioni considerate, con un reddito pari al 72% di quello dell’UE; notevolmente al disotto rispetto al reddito delle regioni del Centro-Nord, ma, in posizione meno svantaggiata, sottolinea il Rapporto CRENOS, rispetto al resto del Mezzogiorno.
Quest’ultimo è un “ritornello” che di continuo viene riproposto, nei Rapporti del CRENOS, come se lo stato di crisi in cui versa il sistema economico della Sardegna dipendesse dal Mezzogiorno e la condizione reddituale relativamente migliore rispetto alle altre regioni del Sud dell’Italia potesse compensare i ritardi accumulati dall’Isola sulla via della crescita e dello sviluppo. Al riguardo, a meno che il confronto non sia assunto in positivo per quello che il Mezzogiorno potrebbe suggerire di conveniente alla Sardegna, sarebbe meglio evitare, perché inutile, di sottolineare la “migliore” posizione negativa dell’Isola rispetto a quella di altre regioni italiane. - segue –
Per quanto riguarda le variazioni intervenute nell’ultimo quinquennio, espresse in termini di differenza di punti percentuali, per il periodo 2019-2014, tra il PIL regionale e la media UE a 28 Stati, relativamente alla distribuzione del reddito tra le diverse regioni europee, il Rapporto CRENOS sottolinea come gli anni della crisi economica abbiano “avuto esiti differenziati” e le variazioni “una forte caratterizzazione nazionale”. Il Sud dell’Europa ha subito le maggiori ripercussioni e, per quanto riguarda l’Italia, nessuna regione è riuscita a conservare la posizione del 2010; nell’arretramento generale delle regioni italiane, il reddito della Sardegna ha perso 5 punti percentuali rispetto a quello medio europeo.
Con riferimento al contesto nazionale, il Rapporto analizza, in termini reali, la dinamica del PIL regionale, dei consumi delle famiglie e degli investimenti. Nel 2014, il PIL delle Sardegna è ammontato a 21,6 miliardi di euro, in diminuzione rispetto al 2013, in linea con quanto accaduto, in generale, sia a livello nazionale che a livello delle singole regioni dell’Italia; nel 2014, il PIL pro-capite è diminuito in tutte le aree regionali del Paese, collocandosi a un livello che mai negli ultimi 15 anni era risultato così basso.
Inoltre, nel 2014, le famiglie sarde hanno speso 21,3 miliardi di euro per l’acquisto di beni e servizi, con un consumo pro-capite in regresso rispetto agli anni precedenti, secondo tassi maggiori rispetto a quelli con cui è diminuita la media nazionale. L’analisi delle grandezze macroeconomiche è chiusa con l’osservazione, sulla base dei dati aggiornati al 2013, che gli investimenti fissi lordi sono ammontati in Sardegna a poco meno di 5,3 miliardi di euro, in pesante regresso rispetto al 2012. C’è da supporre che la differenza tra i 21,6 miliardi del PIL e il totale della spesa in conto consumi e investimenti, per complessivi 26,6 miliardi di euro, si sia tradotta in un risparmio che, rimasto inutilizzato in Sardegna, ha preso la via di altre destinazioni, senza che nulla sia stato fatto per evitare la sua fuoriuscita dal territorio regionale.
L’altro aspetto di rilievo dell’economia regionale descritto dal Rapporto CRENOS concerne il mondo del lavoro, relativamente al periodo 2006-2015. Mentre la popolazione in età di lavoro ha registrato un andamento decrescente, il tasso di attività ha raggiunto il 60% nel 2014 e si è attestato intorno al 60,9% nel 2015. Il divario esistente tra la Sardegna e l’Italia, però, si è aggravato, a partire dal 2013; nel periodo di riferimento considerato, il tasso di occupazione ha subito una drastica diminuzione, soprattutto per effetto della crisi iniziata alcuni anni prima, mentre nel 2015, anno in cui è entrato in vigore il “Jobs Act”, è stata registrata una crescita complessiva dell’occupazione, in linea con la tendenza verificatasi a livello nazionale.
Infine, il Rapporto CRENOS, riporta anche le previsioni sull’andamento futuro dei principali aggregati economici dell’Europa; per quanto le analisi condotte a livello europeo concordino sul fatto che la crisi iniziata nel 2007/2008 tenda a volgere al termine, le stime dei tassi di crescita non sono però ottimistiche. Il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale prevede per l’Italia una crescita del PIL dell’1% nel 2016, che non lascia presagire nulla di positivo per la Sardegna, perché continuerà a conservarsi nel novero delle settanta regioni europee con reddito più basso.
Il Rapporto della Sede di Cagliari della Banca d’Italia sull’economia della Sardegna per il 2016 conferma quanto evidenziato per la parte reale dal Rapporto CRENOS; nel senso che esso evidenzia una leggera ripresa dell’economia regionale per il 2015, con il riavvio delle attività manifatturiere ed il miglioramento delle prospettive occupazionali. Il miglioramento del contesto generale si è ripercosso positivamente sull’attività degli istituti di credito operanti nell’Isola, con un progressivo rafforzamento della dinamica creditizia e il miglioramento della qualità del credito, in quanto il “tasso di ingresso in sofferenza complessivo si è ridotto per effetto della minore rischiosità dei prestiti alle imprese, in particolare quelle di medie e grandi dimensioni”.
Il Rapporto della Banca d’Italia sottolinea come la performance del settore industriale rifletta andamenti eterogenei, a livello di singoli territori, comparti e imprese. Per individuare i territori che meglio hanno resistito alla caduta dei livelli di attività (definiti aree di attività), l’intero territorio regionale è stato suddiviso nelle quattro province storiche (Cagliari, Nuoro, Oristano, Sassari) e all’interno di ogni provincia sono stati individuati 93 comparti produttivi. La sede di Cagliari della Banca d’Italia ha potuto così isolare 372 “incroci geo-settoriali”, dei quali solo 21 di dimensioni rilevanti per la Sardegna, sulla base di 5 indicatori relativi alla dinamica delle esportazioni, del fatturato e del valore aggiunto nel periodo 2007-2014.
I 21 incroci sono stati suddivisi in tre classi, a seconda che i segnali di vitalità dei comparti produttivi siano risultati “diffusi”, “intermedi”, oppure “deboli o assenti” rispetto ai livelli occupazionali realizzati. Nei 21 incroci geo-settoriali, sono risultati occupati poco più di un terzo del totale degli occupati a livello regionale; del terzo, circa il 60% è risultato localizzato in incroci geo-settoriali con segnali di vitalità “deboli o assenti”, e poco meno di un terzo in quelli con segnali “intermedi”, mentre una quota marginale è risultata occupata in incroci con segnali di vitalità “forti”.
La distribuzione territoriale dei segnali di vitalità è risultata molta eterogenea: Oristano ha presentato un unico incrocio geo-settoriale, in cui un solo comparto produttivo ha mostrato segnali di vitalità “diffusi”, mentre gli occupati sono risultati prevalentemente concentrati nei comparti contraddistinti da segnali di vitalità più tenui; segnali di vitalità “diffusi” sono stati rilevati con riferimento ai comparti produttivi degli incroci geo-settoriali dei territori del Nord dell’Isola. Negli incroci del Sud della Sardegna, i cui comparti produttivi hanno presentato segnali “deboli o assenti” rispetto ai livelli occupazionali, è stato perso, nel 2013-2014, il 60,9% delle esportazioni e più del 50% del fatturato pre-crisi.
Riguardo alla rilevanza che riveste, ai fini della competitività, il rapporto tra il confine del mercato di riferimento e la capacità innovativa delle imprese regionali, gli analisti della Sede di Cagliari della Banca d’Italia evidenziano che l’attività innovativa ha avuto in Sardegna andamenti differenti, a seconda del grado di presenza delle attività produttive sui mercati e del livello di concorrenza sperimentato. Tra le imprese classificate “non locali”, in quanto hanno come mercato di riferimento quello nazionale o quello internazionale, l’attività innovativa è risultata più sostenuta; quasi il 60% delle imprese ha effettuato un’innovazione di prodotto nell’ultimo quadriennio e oltre la metà ha messo a punto nuovi metodi di produzione; per contro, tra le imprese “locali”, il cui mercato di riferimento è quello provinciale, l’attività di innovazione di prodotto ha riguardato solo un quinto delle imprese e quella di processo ha riguardato un numero di imprese assai più esiguo.
Questi ultimi aspetti del sistema produttivo regionale trattati dal Rapporto della Sede di Cagliari della Banca d’Italia dovrebbero rivestire un ruolo importante per coloro che sono stati chiamati a formulare ed attuare la politica di sostegno della crescita e dello sviluppo futuri dell’Isola. I temi trattati dal Rapporto della Banca d’Italia, in particolare, sollevano il problema del ruolo e dell’importanza che le istituzioni regionali potrebbero svolgere, da un lato, riguardo ai segnali di vitalità che i comparti produttivi dei singoli territori potrebbero produrre per resistere agli effetti della crisi e per migliorare i livelli occupazionali; dall’altro lato, riguardo al supporto che le istituzioni regionali potrebbero offrire, al fine di promuovere l’innovazione per contribuire a fare crescere la dimensione dei comparti produttivi isolani e con essa la loro capacità competitiva sui mercati extraregionali.
Sperare che la classe politica attualmente al potere, che vede tra l’altro in cima alle massime istituzioni regionali economisti professionali, significa forse essere vittime di un eccesso di desiderio da parte dei sardi; desiderio che, però, potrebbe facilmente essere esaudito solo se la classe politica cessasse di assumere decisioni in funzione del proprio prevalente tornaconto elettorale, privilegiando il perseguimento di obiettivi più convenienti per i sardi; obiettivi da sempre “sbandierati”, ma mai seriamente e responsabilmente perseguiti.
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