Migranti domiciliati in piazza Matteotti. Che fare?
Dai giochi della storia ai giochi della vita
di Roberto Paracchini
Racconta Erodoto che Ciro, il fondatore del’impero persiano mandò alcuni emissari a verificare come fossero fatte queste città greche che “osavano” contrastare l’egemonia del suo impero sulle coste dell’asia minore. Al ritorno – racconta sempre Erodoto – il resoconto tranquillizzo Ciro che, abituato alle grandi sgrutture intese anche come simbolo di potere, pensò non ci fosse nulla da temere “da un posto con un buco nel mezzo, in cui la gente si incontra per parlare”. Il valore dell’agorà (luogo anche delle assemblee e del teatro) non venne tenuta in alcun conto. Poi arrivarono le sconfitte di Maratona e Salamina. Le piazza, quindi, come punto di incontro e di scambio. Ognuna nata in occasioni e con funzioni differenti.
La piazza Matteotti, edificata nella seconda metà dell’Ottocento come giardino della stazione delle ferrovie Reali di Cagliari, voleva simbolicamente essere anche un luogo di incontro e, forse, benvenuto; di scambio tra chi arrivava e chi partiva. E le piazze, appunto, hanno, o dovrebbero avere proprio questa funzione, anche e – se si vuole – soprattutto in una città potenzialmente policentrica come Cagliari in cui le piazze possono assumere funzioni differenti, pur all’interno di un minimo comun denominatore di incontro, dialogo e scambio che, ovviamente, vanno sapute declinare in rapporto all’evolversi delle situazioni storiche.
Piazza Matteotti è oggi diventata quasi un simbolo di quel che sta avvenendo nel mondo, una cartina di tornasole per leggere di guerre per il controlle delle fonti energetiche e non solo; di scelte strategiche per lo più sbagliate dell’occidente (basti l’esempio dell’Isis che – sono parole di Hillary Clinton – è nata grazie agli americani) ; di un nuovo peso (pur contraddittorio) della Cina e della Russia; di devastazioni, espropriazioni (dell’acqua e delle terre, solo per dirne due); malattie devastanti; e di degrado. Quindi migrazioni: dei profughi e di chi fugge da degrado, fame e malattie (detti impropriamente migrant economici). Emigrazioni che rivestono il XXI secolo e che, viste le premesse, possono essere definite epocali e destinate ad prolungate nel tempo, almeno – così sostengono in molti – per i prossimi vent’anni. Allora che fare? I corni del dilemma (per chi trova in posizione di ospite) potrebbero (molto schematicamente) venir ridotti a due: da un lato c’è chi sfrutta e, soprattutto, alimenta l’economia della paura; dall’altro chi parla di solidarietà.
1 – Con un minimo di analisi è facile smontare le tesi dell’economia della paura, basata fondamentalmente sull’ignoranza e, in parte, la malafede; ma il problema è il rischio – se non si opera in tempo – che questa “economia della paura” colonizzi settori sempre più ampi di senso comune (ne è un esempio il forte dibattito ricco di proteste che si è sviluppato nella trasmissione radiofonica Fahrenheit di Rai3 alla notizia che il governo ha deciso di recuperare il traghetto affondato in mare con all’interno almeno trecento salme di migranti; protesta in cui, in sintesi, si chiedeva di investire quei soldi in altro modo). Sintomo, questo, di quanto il degrado di alcuni valori (come la pietas verso i morti da restituire ai parenti) stia investendo anche settori considerati più aperti come gli ascoltatori di questa storica trasmissione radiofonica.
2 – Il parlare di solidarietà è importante, ma non basta. —- segue - Importantissimo, si è detto (sviluppato soprattutto dal cattolicesimo sociale, ma anche dal socialismo sociale e da ampi settori del pensiero liberale) ma che – ripeto – non basta perchè implica un rapporto verticale (chi ha da, chi può fa ecc. In solido o in impegno), mentre oggi abbiamo bisogno di valori che si sviluppino in orizzontale, ovvero che siano reciproci e, quindi, collegabili a una reciproca obbligazione. Oggi, anche per la crisi persistente in cui stiamo vivendo e le sfilacciature socio culturali questa che produce, occorre fare un passo avanti. Capire, insomma, che quando si parla di dare la cittadinanza agli immigrati è anche e soprattutto per difendere la nostra qualità della vita: chi si sente ai margini ed è privo dei diritti fondamentali della persone, ha processi di integrazione più lunghi ed è più facile che abbia momenti di di reazione scomposta. Da cui: a) la difesa, dandogli la cittadinanza, dei nosgri diritti: se valgono per chi non può difendersi, i diritti varranno sempre più anche pr noi e b) la possibilità reale di avere meno sfilacciature sociali.
3 – In questa prospettiva occorre, a) conoscere le norme, soprattutto le ultime, che regolano il flusso di queste giovani e giovani, b) elaborare un progetto di inclusione da realizzarsi in modo mosulare e cn delle priorità, da scegliersi in maniera pragmatica, c) parallelamente attivare in collaborazione con l’università delle inchieste participate per conoscere la situazione di queste persone e d) quarto in ordine concettuale ma non di tempo, coinvolgere le istituzioni pubbliche.
Cagliari, ad esempio, non mi risulta abbia mai attivato programmi per gli immigrati (esistono, ad esempio, fondi ministeriali (che poi provengono dall’Europa) per i profughi (a Badolato, prov. Di Catanzaro, sono state ristrutturate ottanta abitazioni disponibili del centro storico con un finanziamento del ministero degli Affari sociali seguendo un progetto del Centro italiano per i rifugiati realizzato, il tutto in collaborazione col Comune. In altri posti sono state istituite delle cooperative. A Riace il ministero fornisce trenta euro al giorno per immigrato (anche questi provenienti dall’Europa) che vengono utilizzati per iniziative che oinvlgo gli immigrati e non solo, permettendo la riapertura di diverse botteghe artigiane.
4 – Come accennato è importante il coinvolgimento immediate dell’università per attivare ricerche participate trasversali: sia sulle condizoni di queste persone, sia sul territorio (censimento delle botteghe artigiane, ad esempio, di quelle che ci sono e di quelle che c’erano), sia su quello che fa la prefettura e su modalità alternative al semplice parcheggio di questi giovani in case (ex alberchi o ex agriturismi), che si quello che si sta facendo in Sardegna e nel resto d’italia, per iniziare a creare una rete di scambio di informazioni.
5 – Attivazione di momenti di animazione che coinvolgano questi ragazzi (i nuovi immigrati come, ad esempio, quelli che stazionano in piazza Matteotti), e le comunità che già esistono coinvolgendo i mediatori culturali che già operano in questo settore, puntato – ma è solo un esempio – a realizzare anche iniziative teatrali come ad esempio la messa in scena – ridattata – dei Persiani di Eschilo in cui il punto di vista è proprio quello dei persiani, degli sconfitti.
In questo quadro è importante – ripeto – puntare a rapporti di reciprocità con queste giovani e giovani (in termini di impegno lavorativo e sociale) ed è per questo che è importante capire bene le nuove norme coinvolgendo subito, oltre all’università, qualcuno della prefettura, ma anche dei servizi sociali del Comune e della Provincia.
6) Vien da sè che non c’è niente di meglio, per sconfiggere, l’economia della paura, che attivare progetti in cui questi giovani siano utili a se stessi e, quindi, anche a noi. Ed è importante che all’interno degli stessi progetti vi sia la òresenza di immigrati e di persone locali. ll difetto del multiculturalismo è stato quello di avere, indirettamente, creato comparti scarsamente comuncanti tra loro. Il discorso corretto, credo, sia invece quello dell’interculturalismo, in cui è importante creare scambi alla pari, ovvero momenti di negoziazione reciproca. In questo senso Riace, pur trattandosi di una realtà diversa e molto più piccola di Cagliari, va esaminato con attenzione, non tanto per replicarla, ma per trarne spunti e suggerimenti.
7) Poi vi sono tutti I problemi di carattere economico, basti dire che in Italia ben 14 miliardi di euro vengono pagati all’INPS dagli immigrati. Discorso ampio e qui solo da accennare, ma importante da fare pubblicamente in parallel alle prime iniziative in questo settore.
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