Nelle lamentazioni siamo imbattibili

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di Nicolò Migheli*

I Sardi della lamentazione ne hanno fatto un genere di costume. In essa trovano conferma. Per certi versi identità. Si vivono –ci viviamo- come vittime del mondo, dei colonialismi, degli eventi storici che ci penalizzano. La lamentazione come appartenenza e collante, come blocco all’azione soggettiva. La composizione delle liste del PD per le prossime elezioni parlamentari sono l’ultimo esempio della capacità di farsi male da soli.

Da circa vent’anni o forse più, una minoranza si batte perché venga realizzato il partito della sinistra della Sardegna. Una formazione politica che dovrebbe essere, prima di tutto, riconosciuta dal PSE per poi andare ad un rapporto di tipo federativo con quello che oggi è il PD. La proposta è ritornata lo scorso anno, e si pensava che il passo stesse per essere compiuto. Invece no. Più che blocchi centrali, l’atteggiamento di molti politici sardi contrari a soluzioni di questo tipo, ha fatto in modo che non si realizzasse. In incontri del PD, suoi esponenti prestigiosi sono arrivati a negare la specialità della Sardegna, ricordando che la stessa Autonomia fu il frutto di una particolare contingenza storica.

Ancora una volta ha prevalso il disconoscimento di quel che si è. Secondo loro più italiani degli italiani. I proto italiani come raccontavano i celeberrimi Falsi di Arborea che hanno costruito più sentire comune di quanto si creda. La Costituzione della Repubblica recita che i deputati vengono eletti senza vincolo di mandato, rappresentando così tutti gli italiani. Però nessuno lo chiede ad un parlamentare sudtirolese o ad uno valdostano. Loro in primis rappresentano il popolo che li ha eletti.

L’appartenenza al partito italiano fa sì che la direzione romana possa imporre chiunque, e scegliere l’ordine di precedenza nelle liste. Una decisione che diventa insindacabile. Le organizzazioni vivono del rispetto delle gerarchie e agiscono di conseguenza. Che poi non rispettino quanto uscito dalle primarie, rientra nella logica verticistica che si arroga il potere di decisione ultima. Con buona pace della democrazia partecipativa. Eppure quanto accaduto è un fatto positivo. Segna il discrimine tra due idee di partito, tra chi vuole che la Sardegna sia al centro sempre, e chi la subordina ai propri tornaconti personali o di gruppo mascherati da interesse nazionale dell’Italia. Anche se ciò dovesse aggravare e perpetuare la dipendenza della nostra isola. Con il risultato di alimentare l’area del non voto.

C’è un elettorato di sinistra molto sensibile alle tematiche nazionali della Sardegna che non si sente rappresentato, o meglio tradito. Però quelle decisioni romane stanno provocando uno smottamento. Dirigenti di partito che si dimettono, proteste vibrate. Forse sta nascendo una nuova consapevolezza. Il rischio è, che se si tornerà alla liste uscite dalle primarie, tutto rientri. Si penserà che una volta tanto, la battaglia la si è vinta.

Non sarà così. Si può vincere una volta ma la sindrome della dipendenza resterà. Si racconta che un contadino stanco di essere depredato delle ciliegie si rivolse ad un prete per un talismano. Il prete su di un foglio scrisse qualcosa e chiese la contadino di appenderlo sul ramo più lato. Venne lo stormo e lesse: ”Deo seo predi Zurru ministru de Santa Romana Ecclesia, e ti naro o isturru non ti mandighes sa cheresia.” Dopo aver intinto il becco in una ciliegia l’uccello rispose:” Deo seo s’isturru e mi mandigo sa cheresia, aff. a predi Zurru ministru de Santa Romana Ecclesia!”

La storia dei Sardi è un ripetersi di richieste agli storni di turno, che le ignorano continuando a seguire le loro convenienze. I Sardi rappresentano circa il 2,7 della popolazione dell’Italia. Il loro grado di influenza sulle decisioni italiane è minimo. La Sardegna non ha seggi nel Parlamento Europeo se non per gentile concessione. Non abbiamo voce e in questo mutismo i ceti intermediatori si sono ingrassati a spese di tutti.

La scelta del partito della Sinistra Sarda è un piccolo passo per poter contare di più. Il PD italiano avrà bisogno di quei voti per vincere, dovrà scenderà a patti, dovrà rispettare le decisioni locali, non potrà imporre personaggi che escono dagli album degli anni ’80. Una scelta di questo tipo avrà anche un risvolto interno, si andrà verso la responsabilizzazione delle classi dirigenti, si romperà la spirale delle lamentazioni e delle richieste evase che producono solo frustrazione e nuove lamentele. Gli anni che verranno vedranno la contraddizione territoriale aggravarsi sempre di più.

E’ ora il momento di agire. Chi ha responsabilità politiche è davanti allo sguardo della storia. I loro nipoti li giudicheranno per ciò che oggi essi fanno. L’alternativa è continuare a lamentarsi e come diceva il poeta: “Bonu proe bos fetat, bonu proe.

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Nicolò Migheli. Intervento su Sardegnademocratica

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