Università e territorio. La “terza missione” e l’Università come agorà
di Franco Meloni*
E’ di questi giorni la notizia che la Regione Sarda cofinanzierà – utilizzando i fondi europei, con un investimento di 1 milione e 200mila euro, totale ripartito nei prossimi tre anni – l’attività del progetto Contamination Lab dell’Università di Cagliari, giunto quest’anno alla quarta edizione (1). Il ContaminationLab (Clab) aiuta i giovani studenti, di diverse appartenenze disciplinari, a ipotizzare e praticare nuova impresa legata ai saperi appresi o comunque sviluppati in ambito universitario. E’ solo un buon esempio, tra i tanti, della realizzazione della “terza missione” dell’Università, che affiancandosi alle altre due missioni canoniche della ricerca scientifica e dell’alta formazione, mette a sistema capacità e conoscenze al servizio del territorio.
Ma non ci basta, perchè quantunque oggi risulti evidente lo sforzo dell’Università di impegnarsi in tale direzione, se ne coglie ancora una persistente inadeguatezza rispetto alle esigenze della nostra società, tanto da giustificarsi tuttora l’accusa di sua eccessiva autoreferenzialità, che ne limita le potenzialità. E invece la nostra società ha bisogno come il pane delle conoscenze – elaborate, in parte importante, seppure non in esclusiva, al suo interno – che complessivamente costituiscono un fattore indispensabile per lo sviluppo dei territori e per il benessere delle comunità. E allora, cosa chiedere di più all’Università rispetto a quanto già fa positivamente? Innanzitutto di sviluppare la capacità di ascolto dei cittadini, delle imprese, delle amministrazioni e dell’associazionismo, moltiplicando al riguardo le occasioni di confronto, oltre le sedi formali. E, in conseguenza, di adeguare la sua offerta formativa e la sua presenza nel sociale. In pratica, come efficacemente sostiene Pietro Greco, giornalista di Rocca, “significa che nell’aprirsi l’Università si proponga come una «nuova agorà», una delle piazze della democrazia partecipativa (dove i cittadini si riuniscono per documentarsi, discutere e decidere) e della democrazia economica (dove non solo le grandi imprese attingono conoscenza per l’innovazione, ma i cittadini tutti acquisiscono i saperi necessari per il loro benessere, per la loro integrazione sociale, persino per una imprenditorialità dal basso)… superando l’ambito, riduttivo, del trasferimento di conoscenze per l’innovazione tecnologica e costituendo «reti sociali» con associazioni, centri culturali, enti locali, cittadini, lavoratori, imprese (piccole, medie e grandi)… promuovendo la nascita di un’intera costellazione di nuovi attori culturali, che si interfacciano con la società, e dall’altra sviluppando nuova conoscenza intorno ai rapporti scienza e società, con appositi centri interdisciplinari di ricerca” (2). – segue –
Teatro di questo nuovo protagonismo dell’Università deve essere l’ambito di suo riferimento, per noi l’intero territorio sardo, nella sua articolazione di paesi e città, in un aggiornato significato dell’Università diffusa, riconoscibile in modo tangibile per l’utilità della presenza dell’Istituzione sul territorio. Da qui, per esemplificare ulteriormente, scaturirà l’impegno a ripensare l’economia e il ruolo delle persone nella creazione di nuove opportunità di lavoro e modalità di convivenza sociale. Ci riferiamo in modo particolare alla Sardegna, soprattutto per quanto riguarda le situazioni di sofferenza dei nostri paesi (spopolamento e nuove politiche di accoglienza, disoccupazione, nuove povertà, emarginazione…) che devono essere affrontate con la partecipazione di tutti, mettendo in campo le intelligenze specie quelle delle giovani generazioni.
Ecco il ruolo propulsivo che possiamo e dobbiamo chiedere alla nostra Università.
Si dirà: ma le Università italiane e tra queste particolarmente le Università sarde sono in crescente difficoltà, per una serie concatenate di cause, tra le quali la costante diminuzione dei finanziamenti statali e un preoccupante calo del consenso sociale, che per molti Atenei (specie del Sud) si traduce in una contrazione delle immatricolazioni… ma una inversione di rotta, per esempio nelle politiche governative di sostegno alle Università, non può credibilmente ottenersi se non con le rivendicazioni e lotte popolari in presenza di un forte orientamento favorevole nell’opinione pubblica. Tutto da conquistare! Con l’impegno di tutti a partire da quello di tutte le componenti universitarie. Vale anche in questa circostanza una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy (esattamente il 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America): “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Che adattata all’Università potrebbe così suonare: “Cara Università, non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese. La Sardegna non può aspettarti per troppo tempo ancora!”
(1) Per ogni approfondimento si veda il sito web dedicato: http://clabunica.it
(2) Pietro Greco, articolo ripreso da Aladinews il 12 luglio 2016: https://www.aladinpensiero.it/?p=57782
* questo articolo è stato pubblicato sul periodico Nuovo Cammino in diffusione dal 24 luglio 2016.
In argomento: https://dignitadocentiunina.wordpress.com/2016/07/26/lultimo-schiaffo-agli-atenei-del-sud-intervento-sul-mattino-di-gianfranco-viesti/
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