Sardegna. Sinistra cercasi

disperazionesedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Il PD sardo alla disperata ricerca di un equilibrio fra componenti, tutto il resto può attendere.

Il PD sardo, o meglio i capi delle quattro o cinque correnti del partito, avevano già capito tutto e scelto la linea riconfermata da Renzi nella Direzione nazionale. Incuranti della crisi dell’Isola, sempre più drammatica, proseguono nella ricerca di un equilibrio tra le correnti interne per eleggere un segretario che porti il PD sardo al congresso. In quella sede poi si faranno i conti definitivamente tra le diverse componenti e i comitati d’affari. Una volta trovato l’equilibrio tra le correnti interne la tabella di marcia prevede poi il confronto con il Presidente Pigliaru per studiare un nuovo equilibrio nel consiglio regionale che tenga naturalmente conto del ruolo delle componenti del PD nella assegnazione degli incarichi regionali. Come l’ultimo giapponese che ha vissuto per decenni nella foresta pensando che la guerra non fosse ancora terminata, così i dirigenti delle diverse componenti del PD procedono a testa bassa nella ricerca dell’equilibrio tra le componenti, che tradotto dal politichese significa trovare un adeguato numero di poltrone sul quale adagiare altrettanti culi, riservando a ciascuno il suo pezzetto di potere e di influenza nella gestione della cosa pubblica. Alla direzione nazionale del partito qualcuno ha fatto timidamente osservare che se il PD non cambia rotta finirà coll’andare a sbattere rovinosamente. Loro, i dirigenti delle correnti regionali del Pd, hanno risposto: ” Si, va bene, purché si vada a sbattere tenendo conto del valore e del peso specifico delle diverse componenti”. Neppure il mitico Tafazzi avrebbe saputo fare di meglio.
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NO NO NOOOReferendum costituzionale: che sfascio il PD sardo!
democraziaoggidi Andrea Pubusa su Democraziaoggi

Da quando sono “risceso in campo” per difendere la nostra Costituzione dagli sfascisti di turno, oggi Renzi come Berlusconi 10 anni or sono, mi stanno succedendo delle cose divertenti. Sarà perché la mia travagliata militanza a sinistra di oltre mezzo secolo mi ha messo in contatto con molti compagni ancora attivi, fatto sta che ricevo telefonate e confidenze curiose. L’altro giorno, ad esempio, mi sono recato in un grosso centro per tenere un’assemblea, ed ecco un’accoglienza affettuosa di molti compagni alcuni del tempo del Manifesto-Pdup, altri del PCI-PDS. Primo dato una armata, ormai dispersa di qua e di là, si trova unita e combattiva a difendere la Costituzione. Miracoli di Renzi! Grande forza di compattamento del fronte opposto formato da seri democratici, da lui derisi e presi per i fondelli proprio in ragione del loro rigore etico e politico. E’ la riserva democratica, signori! Lui la vuole annichilire col lanciafiamme per far passare il suo disegno neobelusconiano e si trova di fronte un ostacolo insuperabile.
Ma ecco che all’assemblea arriva (chiamiamolo) Lele, un compagno di tante battaglie, che ai tempi de Il Manifesto connobbi ch’era ancora nei banchi del Liceo, e già animava il collettivo studentesco. Mi abbraccia. “Sono venuto a salutarti e sentirti. Sai io sono ancora nel PD” mi dice, quasi scusandosi. Ma soggiunge subito: “sono per il NO, senza se e senza ma”. Gli dico: “Senza sentirti, ero sicuro del tuo NO. Hai sempre avuto schiena dritta. Essere del Manifesto in periferia quasi mezzo secolo fa, non era facile”. “Sai – mi confida sorridendo – il mio NO l’ho comunicato anche in Federazione”. “E loro i renziani?”, chiedo. “Si sono incazzati, fra l’altro sono il responsabile di organizzazione…”. “Hanno ragione, – dico scherzosamente – devi oganizzare il Comitato per il SI’ e voti no!”. “Me lo hanno contestato, ma li ho mandati a fare… “se volete organizzateli voi i comitati per il sì, io voto NO!”.
La sala si riempie, molta gente nonostante gli oltre trenta gradi. Clima festoso, i presenti ricordano i soldati pronti a combattere una causa giusta. Lascio Lele perché inizia il dibattito. Dopo la mia introduzione, si avventa al microfono Eliseo, iscritto al PCI nel 1974, ora al PD. Ha fame di discussione e di comunicare. E se ne comprende subito la ragione. “Nella sede locale del PD - dice con un velo di tristezza – la porta è chiusa dal lunedì alla domenica, domenica compresa. Non c’è mai una discussione. Il segretario si è dimesso sei mesi fa, ma nessuno pensa di riunire gli organismi per la elezione del nuovo”. La nostra assemblea, ricca di spunti e di opinioni, gli sembra un miraggio e la tira per le lunghe, parlando di tutto e criticando il testo Renzi-Boschi-Verdini. Che compatezza l’armata di Renzi! Deve organizzare i 10 mila comitati per il sì, ma gran parte si smarca e partecipa alle assemblee pubbliche del NO.
Non basta. L’altro giorno mi telefona (chiamamolo) Mario. “Sono il responsabile cittadino di un circolo del PD”. Lo saluto cordialmente, ma mi chiedo cosa vuole da me. “Andrea, so che sei fra i promotori del Comitato per il NO, ti vorrei invitare a fare una relazione nel circolo”. “Benissmo, ne sono felice, ti ringrazio”, lì ai tempi del PCI c’erano molti compagni in gamba… “E quelli del sì?”, chiedo timidamente. “Ma io e molti altri siamo per il no…certo qualcuno è anche per il sì, sai la disciplina di partito… inviterò qualcuno a fare il contraddittorio”. “Mi sembra interessante”, gli dico. “E potresti andare in qualche altro circolo?, sai in provincia ci sono molti iscritti al PD per il NO”. Mi sembra grasso che cola. “Certamente, rispondo subito, sono a disposizione, basta una telefonata per tempo”. Per ricambiare, lo invito a venire alle nostre iniziative pubbliche. E così ci lasciamo.
Nel frattempo, incontro per ragioni professionali un altissimo dirigente regionale del PD. Andiamo a pranzo insieme. Lo invito a partecipare con me ad un dibattito sul regionalismo nella deforma Renzi-Boschi-Verdini. Mi dice: “Sai come la penso, voto NO, ma non posso espormi individualmente. Vediamo cosa decide la componente bersaniana”. Obietto che nella regione di Gramsci e Lussu non possono gli autonomisti star zitti o farsi rappresentare da pesci lessi (politicamante parlando) come Pigliaru o Demuro, sdraiati sull’antiregionalismo più becero del trombettiere toscano. Mi dice che ho ragione, ma lui è per una politica di componente. Poi traccia un quadro desolante del PD. Un coacervo di consorterie l’una contro l’altra armata. Quasi m’invidia, per la mia libertà di pensiero e di movimento. Che tristezza essere nel PD, penso, nel salutarlo.
Infine, in facoltà incontro un collega del PD, attivo nel Comitato per il No ai tempi di Berlusconi, oggi per il sì, stando ad un appello circolato all’Università e presto secretato. Lo prendo di petto: “Come fai ad essere per il sì ad un testo simile, nell’ispirazione, a quello di Berlusconi?”. “E poi – soggiungo – da tecnico del diritto, come fai ad accettare che la Carta, esempio di perfezione giuridica e letteraria, venga imbrattata da questi nuovi barbari?” “Hai ragione – balbetta – …ma bidogna far qualcosa…”. “Far qualcosa !?”- replico incazzandomi. Scende sulla difensiva: ”Sai però non parteciperò ad alcun dibattito in difesa del sì… voglio che il sì prevalga, ma poco poco”. Poco poco! Capisco di avere a che fare con uno ch’era convinto di salire su una corazzata e, dopo l’esito delle comunali, si trova sopra una zattera malsicura. Lo mollo, non senza soggiungere: “tu vuoi che Renzi vinca poco poco, ma vedrai che perderà molto molto!”. “Forse hai ragione”, mi dice sconsolato, quasi scusandosi. Ma vaffa…

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