Dibattito post elettorale e altro e oltre…
Perché Renzi cade e il M5S è l’alternativa
22 Giugno 2016
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Queste elezioni indicano che in Italia a livello di massa si sono radicate due convinzioni, prima controverse:
a) l’elettorato di sinistra e progressista ha finalmente capito che Renzi non è l’erede e l’interprete della sinistra italiana, ma il suo esatto contrario, ossia il suo affossatore;
in questo contesto, le formazioni politiche alla sinistra del PD non svolgono una loro funzione autonoma di rappresentanza e mobilitazione dei ceti sociali subalterni, sfruttati e maltrattati, essendo diventate gregarie del PD per soddisfare la “fame di seggio” dei loro dirigenti;
b) il M5S va giudicato senza pregiudizi per le battaglie che fa, che sono quelle tradizionali della sinistra democratica: difesa della Costituzione; rigore morale; autolimitazione delle indennità, rinuncia al finanziamento pubblico; partecipazione seppure com modalità non tradizionali etc. – segue -
La convergenza di queste due convinzioni ha portato ad una fuga generalizzata dal PD, ad una ripulsa delle forze minori della sinistra e ad una convergenza massiccia sul M5S. Il fenomeno viene poi accentuato dal fatto che ormai i pentastellati appaiono l’unica alternativa credibile di governo al Renzusconismo.
Renzi ha iniziato la sua caduta catastrofica come accadde a Monti dopo un successo iniziale. Le ragioni? L’attacco alla Costituzione, al lavoro e ai diritti dei lavoratori, ai valori della Resistenza (aggressione all’ANPI), la generale corruzione dei suoi amministratori, la trasformazione del PD in un’accolita di consorterie in lotta per potere e prebende, che ha portato a divisioni clamorose e al proliferare di liste PD in molti comuni. Le menzogne plateali, gridate in TV con battute insistite e fuori luogo. Renzi parla di ripresa, mentre tutti vedono negozi e aziende chiudere, con un incremento massiccio della disoccupazione; favoleggia di sorti magnifiche mentre il mondo delle professioni viene colpito dall’onda d’urto della crisi con una decurtazione netta e spesso a livelli di pura sopravvivenza delle entrate di ampie fasce del fu ceto medio.
In Sardegna colpisce l’inerzia e la subalternità di Pigliaru al governo, che raggiunge livelli di autolesionismo al limite di vera e propsia stupidità. Pigliaru e Demuro sostengono apertamente la schiforma costituzionale di Renzi-Boschi-Verdini, affossatrice delle autonomie regionali, dicendo, contro ogni evidenza che invece le Regioni sono salve. Così nella terra di Gramsci, di Lussu, di Laconi, di Simon Mossa, di Dettori, di Mario Melis e di tanti altri autonomisti, taluni al limite dell’indipendentismo, le istituzioni raggiungono un livello di autoannullamento, sconosciuto alla storia delle istituzioni sarde perfino negli anni più piatti del centrismo DC.
Anche qui colpisce l’opportunismo di quelle formazioni che si richiamano alla sinistra, come SEL, Rifondazione e PDCI, o che dicono d’ispirarsi addirittura al sovranismo come il Partito dei sardi, che stanno al governo col PD di Renzi, intento a smontare il sistema delle sutonomie regionali e locali. Svolgono il ruolo di utili idioti verso un partito che massacra i valori ch’essi dicono di perseguire, e lo fanno per una carica di sindaco (Cagliari) o per qualche assessorato o seggio regionale o comunale. E così, se il PD ha chiesto e ottenuto il voto alle politiche sul programma di Bersani, esattamente opposto a quello di Renzi, le formazioni minori alleate del PD fanno precisamente il contrario di quanto professano. Potevano alla lunga non accorgersene gli elettori? Il caso di SEL in Sardegna è sotto questo profilo clamoroso: insegue nella comune rovina il PD.
L’esito elettorale è il frutto insieme di questi tradimenti, che danno risalto alla rigorosa coerenza del M5S, che non accetta alleanze con forze e formazioni screditate e, spesso con errori ed eccessi, delinea una alternativa a questo, che è anzitutto degrado politico e morale.
Si pensi a Roma e a Napoli, ma ancor più istruttivo è Torino, dove Fassino perde per la semplice ragione che i ceti popolari han capito finalmente che ha cambiato casacca. Già pregustava Fassino la presidenza del nuovo Senato di non eletti, mentre, con Chiamparino, anziché occuparsi del disagio dei ceti popolari, orfani del lavoro in fabbrica, ha plaudito a Marchionne, e si è lasciato affascinare dalla sirena degli istituti bancari.
La prospettiva? Una botta finale a Renzi al referendum di ottobre. Dopo, a disarcionarlo, saranno gli stessi poteri forti che lo hanno insediato. Lo scaricheranno come han fatto con Monti, salvatore della patria oramai dimenticato. Ma questo non vuol dire automatica vittoria del M5S. L’Italia è il paese delle trame oscure e degli attentati nei momenti in cui dienta concreta la possibilità di svolta. L’ascesa del M5S non sarà un pranzo di gala, richiederà nervi saldi e capacità di analisi e di mobilitazione nell’area democratica. Al di là delle nostre diverse radici, la battaglia dei pentastellati va sostenuta senza pregiudizi.
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