La Gran Bretagna abbandona l’Unione Europea. Non è la fine del mondo, potrebbe perfino rappresentare l’inizio di una nuova Unione che vada al di la della sola unione monetaria dei paesi europei
Buongiorno, la notizia principale della giornata è che la Gran Bretagna non farà più parte dell’Unione Europea. Oggi si scateneranno i commentatori per aiutarci a comprendere quali saranno le conseguenze di tale avvenimento e noi, naturalmente, ascolteremo e leggeremo con interesse perché i destini dell’Unione europea ci riguardano direttamente. Una modesta riflessione. Non è la fine del mondo, non è scattata l’ora X dello smantellamento dell’Unione Europea, non è detto che l’uscita della Gran Bretagna, oltre ad alimentare i sogni dei nazionalisti, non si traduca in un serio dibattito che ci conduca alla revisione dei trattati e alla costruzione, anche politica e non soltanto monetaria, degli Stati Uniti d’Europa.
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- Brexit su Aladinews.
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Ditemi, ma veramente sono convinti di riprendersi l’India? Cameron verrà ricordato come il politico che ha distrutto il Regno Unito e privato la regina dall’essere la maggior beneficiaria dei fondi europei in agricoltura. Buone notizie.
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Hanno vinto i vecchi gli impauriti, quelli poco scolarizzati e i poveri. O cambia l’Europa o il futuro ci riserva cosa pessime. Cominciate ad imparare il latino intanto, tornerà utile nella nuova età buia.
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Brexit – è successo l’impensabile
di Nicola Ortu
By sardegnasoprattutto/ 24 giugno 2016/ Società & Politica/
Sono le cinque del mattino, la televisione ancora accesa in sottofondo, sintonizzata su BBC Parliament, che trasmette la “maratona” per la conta dei voti referendari. E no, non sembra essere un buongiorno per me, europeista convinto.
Mi sono svegliato con un piede fuori dall’Unione Europea. I mercati sono in fibrillazione, la Sterlina ha toccato i minimi storici dal 1985, e l’incertezza regna sovrana. Mi sembra quasi incredibile che tutto ciò stia accadendo. Un voto di protesta era altamente preventivabile, e l’Unione Europea era già stata, non solo in contesto britannico, utilizzata come capro espiatorio per problemi riconducibili più a quel di Westminster che a Bruxelles. Ma sicuramente nessuno si aspettava una prevalenza del “leave” a circa il 52%, ai dati aggiornati alle cinque di questa mattina, ora di Londra.
La palla passerà ora al Premier David Cameron, che, se non rassegnerà le dimissioni subito, sarà comunque costretto a fare non poche concessioni alle figure principali della campagna Leave, fra cui l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, e l’euroscettico Nigel Farage. Sembra comunque preventivabile un cambio di guida al numero 10 di Downing Street.
Questioni ancor più serie arrivano invece dalla solita Scozia, che ha votato, con una maggioranza incredibile per rimanere all’interno dell’Unione Europea, al contrario dell’Inghilterra e del Galles. Il leader del Partito Indipendentista Scozzese, Nicola Sturgeon, ha già annunciato che ci sarebbero state conseguenze in caso in cui il Paese avesse votato in controtendenza alla maggioranza del Regno Unito: un ulteriore referendum indipendentista sembra essere all’orizzonte, e l’Unione britannica nazionale sempre più destinata a sgretolarsi.
Se per la Scozia si vocifera già di un 194esimo posto da membro all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, poche miglia marine ad ovest, l’Irlanda del Nord vedrà forse problemi ancor più gravi. La stabilità degli accordi del Venerdì Santo, basati in larga misura sulla rispettiva appartenenza dei due paesi-Repubblica d’Irlanda e Regno Unito-all’Unione Europea, è messa oggi a forte rischio. I controlli frontalieri sono solo una delle tante problematiche che renderebbero la situazione in Irlanda tumultuosa come forse non lo è stata per decenni.
Per quanto riguarda le future relazioni economico-commerciali fra Regno Unito e Unione Europea, queste saranno ridefinite in un periodo di negoziazione della durata di minimo due anni, secondo le regolamentazioni dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Se quindi da un lato per i concittadini residenti in Regno Unito non dovrebbero esserci stravolgimenti immediati, sicuramente in campo comunitario Bruxelles non sarà molto propensa ad adottare un approccio particolarmente conciliatorio con Londra.
Lo stesso Presidente della Commissione Europea, Juncker, aveva già affermato che, in caso di Brexit, non si sarebbero fatte ulteriori concessioni al Regno Unito aldilà della “special membership” accordata in un summit di tre giorni in febbraio al premier David Cameron. L’accesso al mercato comune europeo, a differenza di quanto affermato da numerosi esponenti della campagna per il “leave”, dovrà necessariamente essere correlato ad una libera circolazione delle persone, di conseguenza andando a minare uno dei punti su cui tanto hanno insistito gli egli euroscettici: l’immigrazione.
E se comunque la possibilità di vedere Londra al difuori del mercato comune sia relativamente bassa, si è comunque parlato di un piano B: un ricorso più attivo al Commonwealth delle Nazioni sembra essere la scelta principe, la cui praticabilità però, appare ben lontana da una reale realizzazione (la stessa India, forse il membro più importante ad oggi del Commonwealth, aveva fatto sapere che avrebbe visto di buon occhio il Regno Unito all’interno dell’Unione Europea), in quanto Londra, da questo referendum, non può che uscire ridimensionata dal punto di vista sia politico che economico.
Crogiolandosi in uno splendido isolazionismo che solo il futuro sa dirci dove potrà portarla, la Gran Bretagna avvierà a breve i negoziati per l’uscita dall’Unione Europea.
Sono convinto che oggi più che mai i restanti ventisette paesi membri debbano ancorarsi saldamente alle radici dell’Unione Europea. Cerchiamo di non perdere quel minimo di buonsenso che ci rimane e non precipitare in degli scenari fin troppo simili a quelli che la generazione precedente ha dovuto provare sulla propria pelle durante il secolo scorso. Per quanto riguarda l’oggi i mercati sono già instabili, l’ambiente politico a dir poco bollente, ma il Brexit è solo appena cominciato.
* Studente Department of War Studies – King’s College London
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