Il Sindaco di tutti tra i condizionamenti di destra e le tentazioni di politiche di sinistra
Massimo Zedda è il Sindaco di tutti i cagliaritani. Di chi lo ha votato (39.900 voti sui 80.917 votanti, questi ultimi pari al 60,20% degli aventi diritto, precisamente 134.408 iscritti alle liste elettorali); di chi non lo ha votato; di chi si è astenuto o non ha proprio partecipato al voto (53.491 elettori). Se vogliano essere precisi è stato dunque votato dal 29,69% degli aventi diritto al voto (134.408). Ha vinto al primo turno avendo totalizzato con 39.900 voti il 50,86% (% calcolata sui voti validi ai candidati a sindaco e non sui voti validi complessivi). C’è da dire che Massimo ottiene 5.831 voti in più del totale dei voti alle liste che lo appoggiavano, contrariamente al suo maggiore antagonista Massida che ha ottenuto 1370 voti in meno del totale dei voti alle liste che lo sostenevano. Il successo personale del Sindaco peserà nella formazione della sua Giunta, cioè nella ripartizione degli incarichi assessoriali tra le varie formazioni che lo hanno sostenuto. Il successo della coalizione di centro sinistra e l’affermazione personale del Sindaco, che lo ha sicuramente fortemente incentivato, gli potranno consentire una certa relativizzazione del potere contrattuale delle formazioni non proprio di centro-sinistra, anzi con forti caratterizzazioni di destra che facevano parte della coalizione. Ci riferiamo specificamente al Psdaz, che ha ben saputo fiutare l’aria nel decidere il salto sul carro di quello che era considerato il probabile vincitore della contesa elettorale. L’acuta analisi di Carlo Melis, contenuta in un suo articolo apparso ieri (10 giugno) sulla News Sardegna Soprattutto, se è assai realista per quanto riguarda i probabili sviluppi della situazione politica cagliaritana e sarda, non lascia spazio a possibili seppur meno probabili esiti di segno positivo o, perlomeno, meno negativo. Invece, le stesse “aperture” del Sindaco Zedda verso la candidata sindaco dei 5 stelle Antonietta Martinez e perfino la sua “visita” al banchetto della raccolta-firme del Referendum contro l’Italicum e la riforma costituzionale, possono essere lette come interesse a lasciare aperte ipotesi diverse da quelle che Renzi vuole imporci (verso la costruzione del partito della Nazione). Indubbiamente Massimo Zedda possiede grandi capacità politiche, comprese quelle di opportunismo politico, senza voler dare a queste un segno necessariamente negativo. Lo ha dimostrato scoraggiando l’arrivo a Cagliari di Renzi e della Boschi, circostanza che gli avrebbe fatto perdere almeno 5 punti e che pertanto lo avrebbe costretto al ballottaggio con Piergiorgio Massidda. Peraltro tale valutazione è riconducibile direttamente a Massimo in un verosimile confronto con Pigliaru, quest’ultimo attendibilmente favorevole alla calata di Renzi e/o di Maria Elena Boschi. Certo è che oggi la confusione regna e domani ancor più regnerà sovrana, tutto sommato favorendo e rafforzando il potere di Massimo Zedda. Saprà e vorrà lui utilizzarlo per politiche di sinistra? Vedremo. Ma non a parole, perché politiche di sinistra significano cose precise, quali: interventi per i ceti meno abbienti, case popolari, allargamento del consenso sia tramite gli istituti della democrazia partecipativa, sia rompendo la pratica deleteria del “cerchio magico”, che premia troppo spesso i mediocri e lascia fuori persone competenti che non rinunciano allo spirito critico.
* dati del Ministero degli Interni.
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La realtà è altro dalla rappresentazione
di Carlo Melis, su SardegnaSoprattuto.
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Giù dal carro
di Norma Rangeri
Il manifesto, 10 giugno 2016. Dalle trionfali elezioni europee del 40% a queste comunali dell’emorragia nelle grandi città sembra trascorso un secolo, e tira aria di un fuggi fuggi generale. Finiti i tempi dei laudatores in fila alla porta di palazzo Chigi e del partito, quando davanti alla televisione assistevamo alle repentine metamorfosi renziane dei fu bersaniani di ferro, quando i cespugli d’ogni stagione erano pronti a fare da contorno al giglio magico.
Ancora all’inizio della campagna elettorale per le amministrative, i sindaci sicuri di farcela al primo turno sembravano contendersi il corpo del leader, felici di poterlo esibire ai loro aperitivi (le piazze sono passate di moda, solo i 5 stelle hanno osato chiudere la campagna a piazza del Popolo, premiati dalle urne). Poi dopo la batosta del 6 giugno sembra iniziata la corsa a scendere dal carro. Ormai è una gara a tenere il presidente-segretario alla larga dai ballottaggi, e perfino lo stesso Renzi sembra volersi allontanare un po’ da se stesso (il giorno del voto sarà a Mosca da Putin).
Il severo prosciugamento dell’insediamento sociale del Pd, il rischio di perdere al ballottaggio, spingono i candidati sindaci di Torino, Bologna e Milano lontani dal premier. Quel suo ostinarsi a derubricare il voto locale per concentrarsi su quello del referendum costituzionale è stato un errore e per questo non lo vogliono accanto in questi ultimi giorni di campagna elettorale («Io non sono del Pd, sono un manager», così Sala in Tv).
Ieri lo hanno fischiato non i centri sociali, ma i commercianti riuniti nell’assemblea della Confcommercio, la pancia della piccola impresa familiare, una parte del ceto medio colpito dalla morìa delle saracinesche nelle città, fenomeno triste e evidente camminando per le strade di Roma. Ma essere vittime della crisi (e della rendita che piuttosto che affittare a prezzi sostenibili preferisce bastonare il piccolo artigiano) non ha impedito ai commercianti di fischiare il premier sugli 80 euro, cioè di prendersela con chi ha stipendi che non arrivano ai 1500 euro al mese. E mentre l’assemblea rumoreggiava il capo dei commercianti affossava la sbandierata ripresa «senza slancio, senza intensità, senza mordente».
Questo governo non ci è mai piaciuto. Le sue riforme economiche (ieri sono scesi in piazza i metalmeccanici per il contratto nazionale di lavoro) segnano l’abbandono della difesa dei più deboli consegnati alle logiche del liberismo. Quelle costituzionali seguono la stessa filosofia con l’adeguamento del sistema parlamentare alla logica dell’assetto economico. Tuttavia lo spettacolo della fuga generale dal leader che barcolla è solo l’altra faccia, un po’ indecorosa, della medaglia.
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La realtà è altro dalla rappresentazione
di Carlo Melis
By sardegnasoprattutto / 10 giugno 2016/ Società & Politica/
Purtroppo non ha avuto torto Aldo Canalis quando il 26 maggio, a qualche giorno dalle amministrative, ha ragionato in questo sito sullo “stagno che investe la sinistra e la Sardegna”. Era un tentativo di ovviare alla rinuncia “a descrivere la politica e l’assenza di politiche” diffusa tra giornalisti ed intellettuali. Per trovare qualcuno indipendente infatti devi accedere tutti i fari.
Per trovare poi intellettuali che abbiano il coraggio di essere tali devi invocare il sole. Bisogna stare attenti e guardinghi perché altrimenti “sei segato da tutto” dice un amico accademico. La nomenklatura di incarichi, progetti, candidature fa scoprire che tutto si tiene. Nulla esiste fuori dai cerchi magici. Chi è allora che deve fare opposizione o un briciolo di analisi in una fase in cui il PD si sta squagliando e a Cagliari sopravvive SEL, inesistente altrove, che appena fuori dalla città si contrappone al partito di maggioranza?
Chi si permette di porre domande è considerato fuori di testa dai tifosi. Questi non hanno realizzato che a Cagliari il sindaco stavolta ha vinto con meno voti di quelli che ha preso al primo turno nel 2011 e che è aumentato l’astensionismo. Si tratta di un gruppo che crede che l’opinione pubblica non sappia che c’è stato un cospicuo soccorso da destra. Che cosa sono i voti portati dal PsdAz di Gianni Chessa? Non a caso si è presentato subito all’incasso. Per tacere dei voti arrivati dalle faide della destra: l’intervista ad un’esponente di Forza Italia lo conferma.
Si tratta della raffigurazione plastica del trasformismo che altera persino la rappresentazione della realtà. Che dire delle “narrazioni” della stampa nazionale su Cagliari dopo averla silenziata per tutta la campagna elettorale? Per comodità e pigrizia molti giornali non hanno realizzato che si tratta di conservatorismo politico difficile da sradicare. Che dire inoltre del silenzio del PD sul fatto che è quasi del tutto sparito nel nuorese, sua storica roccaforte, o dei paradossi di Monserrato, di Sinnai, Quartu?
Il modello Cagliari? Bisogna avere il coraggio di dire che si tratta della realizzazione del vero Partito della Nazione. Luciano Uras e Massimo Zedda sono riusciti laddove Renzi ha fallito. La differenza è che lo hanno fatto sotto traccia perché in Sardegna la doppia verità è legge. Ci insegnano da piccoli che la realtà è altro dalla rappresentazione.
Chiudo facendo mia una frase di Canalis “la grandezza e la forza di un uomo o di un gruppo politico si vedono dalla capacità di rialzarsi”. Speriamo che il Pd o quel che è rimasto, dalla sconfitta diffusa e dalla vittoria di Pirro di Cagliari riparta. Auguri!
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