Le elezioni sono finite e i problemi “naturalmente” si aggravano. L’interrogativo è sempre comunque: che fare? Ci servono ora riflessioni e proposte non addomesticate…
Elezioni amministrative: calma apparente
di Omar Onnis su SardegnaMondo
(…) Il dato che emerge prepotentemente da questa tornata elettorale è la vittoria personale di Massimo Zedda a Cagliari, che non mancherà di avere riverberi sulla politica a livello regionale. Molta parte del centrodestra berlusconiano e i suoi satelliti clientelari si sono già abilmente riciclati nel nuovo embrione del partito della nazione renziano (alla sarda). Costruire un’alternativa seria e spendibile a questo mostro politico è doveroso. Ma sarà anche efficace solo se si partirà da un’analisi spassionata, realistica e pragmatica dei meccanismi del consenso e delle dinamiche socio-culturali in atto.
A questo sono chiamati, in questo momento, i Sardi di buona volontà che non vogliono rassegnarsi all’estinzione. Senza autoassoluzioni, senza battaglie di retroguardia e senza egoismi.
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Le carte di Massi
di Alessandro Mongili su SardegnaSoprattutto.
(…) Se si vuole estendere la partecipazione e suscitare nuova politica, bisogna necessariamente fare dei passi indietro nel controllo e contemporaneamente garantire la possibilità a persone di valore e competenti di emergere. Non si può seriamente pensare che per una politica innovativa valgano le regole di una politica conservatrice. Le regole di una politica innovativa si devono inventare, sui manuali di comunicazione politica o nei sacri testi, anche orali, non ci sono.
Le carte di Massi
di Alessandro Mongili su SardegnaSoprattutto.
All’insegna dello “stiamo fermi dove ci troviamo”, è arrivata la conferma al primo turno di Massimo Zedda sindaco di Cagliari. L’elezione è stata analizzata correttamente da Vito Biolchini. Nei soli termini di un’operazione di conservazione del potere e di accumulazione di crediti per una futura carriera politica, Zedda è stato molto bravo.
La sua coalizione ha imbarcato spezzoni di destra (un Psdaz trasformato in cargo per il trasporto di molti personaggini della destra clientelare), ha addomesticato i resti del Pd cagliaritano, al solito incapaci di metterci la faccia, ha mummificato così bene il ramo sardo di SEL sino a convincere molti elettori a votarlo nonostante tutti sappiamo che si tratta di un partito già morto con tanto di certificato, ha venduto con sapienza comunicativa quel tanto che ha fatto, puntando tutto sul suo passato (opere pubbliche, assenza di corruzione, ordinario buon governo che, in effetti, può sembrare rivoluzionario visto il contesto generale di degrado della politica), respingendo in modo aggressivo ogni critica e ogni punto di vista divergente, scadendo purtroppo, anche stavolta, negli insulti personali.
Ha attratto voti perfino da spezzoni di Sardegna Possibile, uccidendo definitivamente quella esperienza, ricondotta alle solite categorie del “rinnovamento” sì, ma dentro il solito gioco. Ha usato come portatori d’acqua i soliti sovranisti. Non si è ben capito quale futuro ci aspetti, né se questi vecchi politici possano dare risposte ai problemi importanti, ma la cosa non ha preoccupato l’elettorato, che ha rinnovato la fiducia a “Massi” e al suo gruppo di potere, per proseguire con un’etichetta di sinistra una politica di destra, indifferente ai problemi sociali se non come “del sociale”, affrontabili con atti di carità cattocomunista. Complimenti, dunque, a Zedda e ai suoi.
La loro è una spregiudicata partita a carte, che dà grandi soddisfazioni ai giocatori, ma che è costata alla città un aumento del suo spopolamento, la perdita dei collegamenti internazionali, tasse elevatissime sui rifiuti e, soprattutto, l’annichilimento politico. La maggioranza autocolonizzata sarà infine rassicurata dal dover rimandare il momento in cui dovrà affrontare con maturità la propria condizione, che è di crisi, di urgenza, di pericolo, e di impoverimento culturale. Si chiama rimozione, per alcuni versi forclusione, e tutti noi la pagheremo con gli interessi.
Il franchising grillino si muove all’interno di una cornice analoga, di estrema chiusura all’interno di un gruppo di potere ristretto. Sul piano programmatico replica, in un contesto come il nostro, agende politiche e linguaggi che hanno un senso originario in Italia ma solo uno imitativo in Sardegna.
Mettere fra parentesi la nostra condizione di Sardi e cercare di mostrarsi bravi rappresentati di un modello elaborato su un’altra realtà può portare fortuna in un primo momento, vista la totale dipendenza dai media e dal mercato culturale italiano della moltitudine degli elettori, ma è destinato a produrre rapidamente solo clientele o piccoli gruppi di potere, in cerca di riprodurre solamente la propria esistenza (sul modello di SEL).
Contrariamente ad altre realtà, il M5S non è stato in grado di presentare a Cagliari candidature convincenti sul piano delle competenze, e si è mostrato incapace di sviluppare un programma politico che non sia la ripetizione papagallesca dei temi del Direttorio o del Sacro Blog.
Se il vecchio se la passa ottimamente, il nuovo è invece in un bailamme totale. Gli indipendentisti ancora una volta hanno perso. La loro appartenenza e il loro delirio identitario ha ancora una volta prevalso sul loro essere sardi e avere a che fare con una realtà concreta. Si sono visti ancora come un’avanguardia incompresa senza capire che il loro compito è quello di ogni minoranza attiva, cioè di tessere e creare fili, di creare rete, di aiutare l’emersione di temi legati alla nostra condizione reale. Non quello di adattare la Sardegna ai loro sogni, ma quello di aiutarla a fare dei propri problemi un programma politico.
Il sovranismo, al contrario, sembra sempre di più orientarsi verso la sorte del vecchio sardismo, ancillare verso le grandi coalizioni dominate da interessi diversi e talvolta opposti a quelli della Sardegna. Il sovranismo, che aveva avuto successo alle regionali, oggi è annientato.
A Cagliari, i Rossomori eleggono un consigliere senza nessun legame con il sardismo, se non strumentale, mentre il cosiddetto “partito dei Sardi” elegge un ex-Fratelli d’Italia. Del vecchio Psdaz e del suo ruolo di cargo per spezzoni di destra a soccorso di Zedda, si è detto e non mi sembra che tale partito abbia alcun ruolo positivo. Non è improbabile che la triste vicenda del sovranismo ancillare replichi la triste sorte del Psdaz, ridotto a federazione di clientele. Viene da chiedere a tutti questi sovranisti: che cosa avete fatto per la Sardegna? Per le vostre carriere, è chiaro, ma per la Sardegna – per tutti noi e per la soluzione dei nostri problemi – è chiaro che non avete ottenuto niente.
La vicenda della candidatura di Lobina ha mostrato, per l’ennesima volta, i limiti di tentativi nati in modo troppo ingegneristico e con il fine di non voler cedere il controllo di un’evoluzione che deve essere lasciata aperta a esiti politici e organizzativi propri. Tali tentativi hanno successo solo se si giocano all’interno di un gioco di potere che abbia come interesse unico il potere stesso, come è il caso esemplare del gruppo che sta intorno al Sindaco.
Se si vuole estendere la partecipazione e suscitare nuova politica, bisogna necessariamente fare dei passi indietro nel controllo e contemporaneamente garantire la possibilità a persone di valore e competenti di emergere. Non si può seriamente pensare che per una politica innovativa valgano le regole di una politica conservatrice. Le regole di una politica innovativa si devono inventare, sui manuali di comunicazione politica o nei sacri testi, anche orali, non ci sono.
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Elezioni amministrative: calma apparente
di Omar Onnis su SardegnaMondo
Non è mai facile commentare un voto come quello municipale, dove si concentrano questioni locali e aspettative politiche generali (spesso elidendosi a vicenda). Dare spiegazioni politiche a un voto locale fa perdere di vista fattori determinanti, che mutano da un luogo all’altro; concentrarsi solo sulle peculiarità locali priva di una interpretazione generale che invece è comunque necessaria.
Mi ci provo, con la coscienza dei limiti di queste analisi e anche della loro natura contingente. Alcune cose che avrei voluto dire sono state dette piuttosto bene sia da Alessandro Mongili sia da Anthony Muroni, le cui considerazioni offrono chiavi di lettura serie e realistiche, solo in apparenza in contraddizione tra loro. Perciò non le ripeto.
La sensazione è che ci troviamo sempre e comunque dentro una transizione e che gli assestamenti attuali ne siano semplicemente una manifestazione momentanea. Chi si aspettava sconquassi, in Sardegna, con queste elezioni amministrative, evidentemente non ha fatto i conti con le dinamiche reali in corso.
La diffusa percezione della precarietà, le aspettative decrescenti, la senescenza delle generazioni che hanno dominato la scena fin qui sia nel mondo del lavoro e della produzione sia in ambito politico e culturale, sono tutte circostanze che non potevano produrre, in questo momento, rotture drastiche col passato.
Ci sono un paio di cose generali da tenere presenti, secondo me.
La prima è che se partecipi al gioco non puoi prendertela con le regole, se il tuo avversario è più bravo di te. È come se si decidesse di fare una partita a calcio e poi, dopo essere stati sconfitti, si contestasse la regola che impone di fare goal (non sto parlando, spero sia ovvio, delle normative elettorali).
Capire i meccanismi del consenso e capirli nel contesto attuale, senza illudersi di essere ancora negli anni Settanta o nel 1995, è fondamentale. È un memento che rivolgo naturalmente anche a me stesso.
Pensare di possedere una verità conclamata e che dunque il mondo debba adeguarsi a tale verità è puerile; considerarsi i “buoni” contro i “malvagi” e continuare a pensarlo da soli, senza alcun riscontro all’esterno della propria soggettività, è da fanatici. È una cosa che rimprovero soprattutto al movimento indipendentista, almeno alla parte che ha deciso di cimentarsi in questa tornata elettorale (con risultati obiettivamente molto negativi).
Anche qui, se non vale la lezione di Gramsci spero che possano valere almeno i teoremi di incompletezza di Goedel. Anche in politica la validità di una dottrina o di una proposta non può essere dimostrata esclusivamente all’interno del proprio discorso e della propria autorappresentazione. Per buono che possa sembrarci un apparato di valori e di idee, se rimane confinato alla fede di chi lo propone, rimane una sorta di masturbazione politica.
Altra considerazione. La società sarda odierna non è più quella di trent’anni fa e nemmeno di venti anni fa. Quella che Bauman chiama la società liquida si manifesta anche sull’isola, come al solito partecipe, sia pure a modo suo, delle tendenze generali. Bisogna dunque capire quali siano queste tendenze generali e come si declinino concretamente in Sardegna.
In questo non siamo aiutati, purtroppo, da un adeguato apparato di conoscenze sociologiche e storiche. Bisogna un po’ improvvisare e cercare di arrangiarsi.
Per cambiare le cose, sull’isola, non basta dirlo e dirlo “bene” (Gramsci docet), ma bisogna essere dentro i meccanismi che regolano i rapporti sociali e dentro le dinamiche culturali. Chi lo fa, quando si presenta per esprimere una visione o una proposta, di norma ottiene il riconoscimento di un consenso consistente, fino a conquistare anche vittorie significative e ritrovarsi a amministrare in prima persona la cosa pubblica.
In questo frangente penso a realtà come Villanova Forru, con Maurizio Onnis, e a Scano Montiferru, con Antoni Flore. Ma anche a Silanus, col buon risultato della lista LiberaMente Silanus. Sono solo pochi esempi; probabilmente ce ne sarebbero anche degli altri, a conferma dell’assunto di partenza.
Il succo è che si può scardinare il sistema di potere clientelare, la forza dei gruppi di interesse che esprimono i podatari locali, i ricatti occupazionali, le paure, il gioco al ribasso. Si può fare. A condizione di essere credibili, di rappresentare interessi e istanze esistenti e di riuscire a mobilitarli.
Non è invece legittimo presentarsi come innovatori o addirittura rivoluzionari portando acqua al mulino dei vecchi meccanismi della politica. Fa abbastanza ribrezzo l’enfasi autocelebrativa di sedicenti indipendentisti o sovranisti o sardisti che continuano a sostenere e legittimare i gruppi di potere basati sui franchising locali dei partiti italiani. Questo genere di operazioni – tra il trasformista e l’opportunista – sono lecite, ma non possono usurpare titoli e posizionamenti che non competono loro.
I rapporti di forza sono chiari, in questa fase: sfruttarli per il proprio tornaconto soggettivo non è affatto un titolo di merito, se non in termini di mera abilità tattica. È anche una forma di inquinamento dello scenario politico, il cui esito, purtroppo, di solito è l’indebolimento complessivo delle proposte emancipative e alternative ai gruppi di potere consolidati. Questo vale anche per chi, pur esterno ai raggruppamenti basati sui partiti italiani, ne segue i medesimi meccanismi di reclutamento, di relazione e di prassi (come spiega bene Alessandro Mongili).
Il dato che emerge prepotentemente da questa tornata elettorale è la vittoria personale di Massimo Zedda a Cagliari, che non mancherà di avere riverberi sulla politica a livello regionale. Molta parte del centrodestra berlusconiano e i suoi satelliti clientelari si sono già abilmente riciclati nel nuovo embrione del partito della nazione renziano (alla sarda). Costruire un’alternativa seria e spendibile a questo mostro politico è doveroso. Ma sarà anche efficace solo se si partirà da un’analisi spassionata, realistica e pragmatica dei meccanismi del consenso e delle dinamiche socio-culturali in atto.
A questo sono chiamati, in questo momento, i Sardi di buona volontà che non vogliono rassegnarsi all’estinzione. Senza autoassoluzioni, senza battaglie di retroguardia e senza egoismi.
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