Le elezioni sono finite e i problemi naturalmente si aggravano. L’interrogativo è sempre comunque: che fare? Ci servono ora riflessioni e proposte non addomesticate…
Nel deserto della politica sarda conta solo il potere. Ma il referendum è una occasione di riscatto: chi la coglierà?
07/06/2016 alle 19:41
di Vito Biolchini, su vitobiolchini.it
“Uniti si vince” ha detto il riconfermatissimo sindaco di Cagliari Massimo Zedda: per lui la ricetta della vittoria del centrosinistra anche a livello italiano non può che essere questa. Sì, ma uniti a chi? Al centrodestra travestito da Psd’Az che con il suo strabiliante sette per cento ha consentito a Zedda di evitare per un pelo il ballottaggio? Già fatto: a Roma si chiama “Partito della Nazione” e tiene in piedi il governo Renzi.
Oppure Zedda si riferiva all’accordo Pd-Sel che a Cagliari ancora regge? Se l’alleanza a livello italiano è saltata è stato anche a causa del referendum costituzionale che ieri il sindaco, in un tripudio di ipocrisia scambiato con la solita benevolenza dai giornalisti per verità, ha dichiarato di non conoscere: “Non ho ancora avuto ancora il tempo di leggere la riforma. Lo farò presto”. Incredibile, vero?
Nei giorni scorsi avevo indicato nella mancata visita di Renzi a Cagliari uno dei pilastri della strategia di Zedda (l’altro era l’alleanza con pezzi di centrodestra, rivelatasi poi vincente) e lo stesso sindaco mi ha dato ragione, sia quando ha negato di conoscere il progetto di riforma costituzionale di Renzi, ma soprattutto quando ha ammesso di avere chiesto al presidente del Consiglio di non venire in città! Perché l’appello di Renzi al referendum avrebbe scoperto il gioco: in questo centrosinistra cagliaritano e sardo che viene lodato come “laboratorio politico” perfino da intellettuali di area bersaniana come Miguel Gotor (evidentemente la confusione nel Pd non è solo di marca renziana) non c’è alcun progetto ma solo potere dei singoli e dei loro gruppi di riferimento.
La sinistra sarda ha poco in comune con quella italiana che con il renzismo ha deciso di farci seriamente i conti. Da noi no. Da noi prevalgono le rendite di posizione personali: dai posti in parlamento da preservare a tutti i costi a quelli meno onorevoli da addetto di gabinetto in un assessorato qualunque. È intorno al mantenimento di questo potere che la sinistra in Sardegna prova a costruire il proprio progetto politico, non il contrario.
Tuttavia il bivio di ottobre è lì ad un passo: cosa faranno Zedda e la sua pattuglia di Sel? Faranno campagna per il no (e la faranno da subito) oppure per convenienza si appiattiranno fino a scomparire pur di non collidere con Renzi? La sinistra sarda andrà per la sua strada oppure troverà un modo per mantenere strumentalmente una sua identità fittizia distinta da quella del Pd? Oppure dovrà seguire la strada di Gennaro Migliore (non a caso uno dei massimo sponsor politici di Zedda) ed entrare nel partito di Renzi?
Questo chiarimento è quanto mai necessario ed è ormai ineludibile. Nonostante le fanfare, i tripudi, le esaltazioni di Zedda come “risorsa nazionale”, per il sindaco di Cagliari il tempo dei contorsionismi rischia di essere finito. - segue -
Sì, ma il Pd?
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Oggi Ezio Mauro su Repubblica, riferendosi al Pd, parla di “identità perduta” del partito a causa della gestione Renzi. Quanto sta avvenendo in Sardegna sconfessa in realtà questa tesi, giacché da noi il renzismo è stata solo una etichetta che tutta la classe dirigente del partito si è sfacciatamente appiccicata addosso pur di sopravvivere al nuovo corso. Quindi se il problema del Pd è un problema di identità (chi sono e cosa faccio), questo persiste a prescindere da Renzi e quanto sta avvenendo da noi lo dimostra appieno. Anche alla vecchia classe dirigente che nell’isola regge il partito (vecchia nella formazione anche quando giovane anagraficamente) può essere imputato ciò che Mauro imputa al Pd di Renzi, cioè di essere animata da uno spirito minoritario da piccolo gruppo eternamente spaventato, una cultura da outsider che non riesce a diventare maggioranza nemmeno quando ne ha i numeri in mano, e preferisce affidarsi a un microsistema variopinto di intrecci locali e amicali che per ogni incarico lo spingono a cercare il più fedele dei suoi uomini piuttosto che il migliore d’Italia.
Questa è la Sardegna del Pds-Ds-Pd e dei Popolari-Margherita-Pd dagli anni ottanta ad oggi. E Renzi non c’entra nulla. “Al partito serve l’anima” dice Mauro. Ma l’anima ogni corpo vivente la acquisisce nel momento stesso in cui nasce. Se a nove anni dalla sua nascita ci chiediamo se il Pd abbia o meno un’anima, vuol dire che non ce l’ha mai avuta e che non ce l’avrà mai. Scommettere in Sardegna sul Pd non ha proprio alcun senso perché le dinamiche che lo animano sono vecchie di trent’anni. Quindi di cosa stiamo parlando?
Parliamo dei Cinque Stelle?
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“Adesso anche i più testardi dovrebbero ammetterlo: l’alternativa al Pd e alle destre è rimasto il solo M5S, che, con l’Italicum, è l’unica forza, capace di contendere il governo nazionale a Renzi”. Andrea Pubusa fa sempre ragionamenti interessanti e anche il suo ultimo, raccolto nel post “Zedda vince col Pd proteso verso il Partito della Nazione”, lo è. C’è un piccolo problema però: che i Cinquestelle di Cagliari e della Sardegna non sono quelli di Roma o Torino. Da noi i grillini non si sono presentati alle regionali di due anni fa e alle comunali a Cagliari portano a casa la miseria di due consiglieri.
Il livello della classe dirigente sarda del partito di Grillo è ancora distantissimo dalle sfide che la nostra isola deve affrontare, e questo è sotto gli occhi di tutti.
Se anche in questa tornata elettorale l’astensionismo è aumentato è segno che Grillo da solo non basta a dare fiducia nella politica. Su Grillo c’è poco altro da dire, il movimento sulla Sardegna non ha una visione originale.
Quella che però dovrebbero avere gli indipendentisti.
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A distanza di due anni e mezzo dalle regionali, quel patrimonio ideale e di voti raccolto da Michela Murgia e da Sardegna Possibile si è completamente dissolto. Non è questo il momento per chiedersi come mai tutto ciò sia successo, ma solo condividere o meno questa considerazione.
Il tentativo di Enrico Lobina e di Cagliari Città Capitale di provare a riattivare alle comunali cagliaritane quei ragionamenti è fallito. Sardegna Possibile di fatto non esiste più, Progres in città non è andato oltre lo 0.5 per cento.
Gli altri partiti indipendentisti hanno scelto la pancia del centrosinistra per consolidare la loro posizione, e l’impressione che alle prossime regionali non proveranno neanche a costruire una alleanza capace di sfidare il Pd, quel che resta del centrodestra allo sbando e i grillini.
Cagliari poteva essere un laboratorio per provare a imbastire una alterativa agli schieramenti italiani, ma chi poteva dar corpo a questo progetto ha scelto altre strade, certamente più comode. Eppure io penso che questo sia l’unico vero progetto possibile per la Sardegna. Forse lo pensano anche i sardisti, il Partito dei Sardi e i Rossomori: che rischiano però di essere spazzati via dal Pd renziano. Anche per loro il referendum è un banco di prova. Si batteranno contro la riforma Renzi o la reputeranno una battaglia di retroguardia? I primi segnali non fanno presagire nulla di buono.
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Non c’è politica oggi in Sardegna, l’unica bussola delle nostre classi dirigenti è quella del potere. Non è questa una affermazione rassicurante me ne rendo conto, ma non possiamo continuare a negare la realtà. A farlo basta il nostro giornalismo, gravemente deficitario nelle ultime comunali cagliaritane e incapace di spiegare ai cittadini non tanto cosa sta succedendo ma soprattutto perché e attraverso quali logiche. Il caso della mancata visita in città di Boschi e Renzi, passata senza un perché come se niente fosse, ne è un caso eclatante. L’astensionismo crescente è anche colpa di chi dovrebbe spiegare cosa succede nel mondo della politica e non lo fa (oppure lo fa comodamente ex post). In questo modo ciò che dovrebbe aiutarci a superare la crisi, in realtà la aggrava.
C’è una distanza tra la realtà cagliaritana e l’immagine che gli osservatori politici ne danno: più o meno la stessa differenza che c’è tra il cognome “Zedda” pronunciato correttamente o pronunciato dagli speaker italiani. Sembrano la stessa cosa, ma non lo sono.
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Un post così lungo necessita di una conclusione breve: la classe dirigente e politica sarda spesso si riproduce per via familiare e familistica ma è nelle battaglia che invece dovrebbe essere selezionata. La prossima battaglia è quella per il no al referendum di ottobre. La Sardegna ha molto da dire a riguardo. Qui si parrà la nostra nobilitate. Di tutti.
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