Studiare, rileggere, ripensare, riscrivere (laddove necessario), la storia della Sardegna per decidere “che fare” oggi
Abbasso Carlo Felice, Viva Giovanni Maria Angioy e i Martiri di Palabanda. Rileggere la storia per decidere “che fare” oggi
C’è da spostare una statua
di Francesco Casula*
In occasione della ricorrenza di Sa Die de sa Sardigna, il 28 aprile scorso, un gruppo di cittadini (intellettuali, storici, docenti universitari) si sono ritrovati in Piazza Yenne a Cagliari e hanno dato vita a un Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice”.
Nel volgere di qualche settimana arrivano centinaia e centinaia di adesioni: attualmente sono più di quattromila. Nel contempo il Comitato propone la sottoscrizione di una petizione (bilingue, in Sardo e in Italiano) con una proposta-richiesta che intende presentare al Sindaco e all’Amministrazione comunale di Cagliari corredata dalle firme, che a tutt’oggi 29 maggio sono 950.
Ma ecco in estrema sintesi i punti più salienti della proposta:
1. Spostare la statua di Carlo Felice in un museo cittadino, corredandola di adeguata ed esaustiva didascalia che, con richiami bibliografici, permetta ad ogni visitatore del museo, di prendere coscienza della storia dello stesso.
2. Rinominare la strada “Largo Carlo Felice” con qualcosa che richiami un momento positivo della storia dell’Isola e della città, quale per esempio, la data del 28 aprile giorno in cui si celebra Sa Die de Sa Sardigna.
3. Sostituire la statua di Carlo Felice con altro monumento idoneo a ricordare un eroe della lotta per la liberazione del popolo sardo dalle vessazioni dei dominatori succedutisi nei secoli (per esempio Giovanni Maria Angioy i cui seguaci furono perseguitati da Carlo Felice).
4. Concordare, con le istituzioni scolastiche della città, iniziative di informazione e formazione degli studenti sulla storia della città di Cagliari così da favorire la conoscenza e la crescita del senso di identità che oggi appare debole, effimero e non consapevole.
Nella sua proposta-richiesta il Comitato parte da un dato: le gravissime responsabilità politiche della zenia dei savoia, su cui la storia ha emesso giudizi inappellabili di condanna. Per fare qualche esempio penso a Umberto I, soprannominato “re mitraglia” e, non a caso. L’8 maggio 1988 il generale Fiorenzo Bava Beccaris, in qualità di Regio commissario straordinario ordinò di utilizzare i cannoni, per la prima volta nella storia italiana, per sparare sulla folla al centro di Milano, uccidendo 80 cittadini e ferendone altri 450: una vera e propria carneficina. Il re mitraglia “ricompensa” il generale Beccaris con una bella onorificenza: prima la Gran Croce dell’Ordine militare dei Savoia: In seguito lo nominerà pure senatore. Aveva o no infatti compiuto una brillante azione militare?
Altro re savoiardo funesto è stato Vittorio Emanuele III, uno dei responsabili principali di sciagure immani: l’ingresso dell’Italia nella 1° e 2° Guerra mondiale, l’avventura tragica del Fascismo – fu lui in seguito alla cosiddetta Marcia su Roma a nominare Mussolini capo del Governo – conclusasi con una ignominiosa fuga, quando l’Italia, persa la guerra, era nel caos.
Ma il re dei Savoia più funesto – almeno per la Sardegna – è stato Carlo Felice. Di questo sovrano ottuso despota e sanguinario mi piace riportare testualmente quanto scrive Giuseppi De Nur (in Buongiorno Sardegna: da dove veniamo, Ed. La Biblioteca dell’Identità, 2013, pagina 154): ”Partito il re e lasciata l’Isola nelle mani del viceré Carlo Felice, i feudatari continuarono imperterriti a dissanguare i vassalli con l’esosità delle loro gabelle mentre il viceré oziava nella sua villa di Orri, gaudentemente intrattenuto dai cortigiani locali e d’importazione, in conflitto permanente con tutto ciò che poteva affaticarlo non solo fisicamente ma anche intellettualmente, essendo uomo di scarsa cultura che rifuggiva dagli esercizi mentali troppo impegnativi.
Il bilancio dello Stato era disastroso ma non quello suo personale, ovviamente, così che poteva permettersi di ostentare elargizioni in beneficenza con ciò che aveva riservato per sé. Fu, il suo, il governo poliziesco, sostenuto efficacemente da quelle anime nere dei feudatari, a formare un sistema di potere dispotico e predatore in danno della popolazione locale, la cui autorità si manifestava delle forche erette per impiccare i trasgressori delle sue leggi, lì imposte con la forza.
E quegli ingenui abitanti di quello sfortunato luogo innalzarono invece per lui non una forca ma una statua, in una bella città capoluogo”. Si tratta di una ricostruzione storica assolutamente veritiera e in linea con quanto scrivono storici come Pietro Martini (peraltro di orientamento monarchico): “avea poca cultura di lettere e ancor meno di pubblici negozi… servo dei ministri ma più dei cortigiani”. O Raimondo Carta Raspi, secondo cui diede carta bianca ai baroni per dissanguare i vassalli. Mentre a personaggi come Giuseppe Valentino affidò il governo: questi svolse il suo compito ricorrendo al terrore, innalzando forche soprattutto contro i seguaci di Giovanni Maria Angioy, tanto da meritarsi, da parte di Giovanni Siotto-Pintor, l’epiteto di carnefice e giudice dei suoi concittadini.
Divenuto re con l’abdicazione del fratello Vittorio Emanuele I, mira a conservare e restaurare in Sardegna lo stato di brutale sfruttamento e di spaventosa arretratezza: “con le decime, coi feudi, coi privilegi, col foro clericale, col dispotismo viceregio, con l’iniquo sistema tributario, col terribile potere economico e coll’enorme codazzo degli abusi, delle ingiustizie, delle ineguaglianze e delle oppressioni intrinseche ad ordini di governo nati nel medioevo”: è ancora Pietro Martini a scriverlo.
La proposta del Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” dovrebbe a mio parere, essere dunque capita, valutata ed eventualmente sostenuta, partendo da questi corposi e oggettivi dati storici, difficilmente contestabili perché: “De evidentibus non est disputandum”!
A decidere se spostare o meno la Statua di Carlo feroce (così, a ragione, fu soprannominato dagli stessi Piemontesi), dovrà essere la nuova Amministrazione comunale di Cagliari che verrà eletta a giorni. Avrà essa un sussulto di orgoglio e dignità o continuerà, a permettere e tollerare che in una Piazza centrale della capitale sarda troneggi, come fosse un eroe, un despota, brutale e sanguinario persecutore dei Sardi?
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* Su il manifesto sardo: http://www.manifestosardo.org/ce-spostare-statua/#sthash.y5TCFUHO.dpuf
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Dietro il monumento a Carlo Felice. Rileggiamo tutta la storia della Sardegna per aiutarci a decidere “che fare” oggi
Spostare una statua crea o distrugge valore?
di Giuseppe Melis Giordano*
Premessa
Una delle accuse più ingiuste e strumentali fatte ai promotori della petizione per spostare la statua di Carlo Felice è quella in base alla quale si vorrebbe “distruggere il passato”, “cancellare la storia”, “ruspare le gesta di un tempo che non c’è più”, insomma, un gruppo di facinorosi iconoclasti.
Ebbene, niente di più falso. Questo non fa parte della cultura dei proponenti, ma forse abbiamo difettato nella comunicazione, che ha indotto in errore circa le nostre intenzioni. Pertanto ci pare doveroso provare a chiarire, ancora una volta, il nostro punto di vista (uso il plurale perché almeno nelle circa venti persone che hanno dato inizio a questa proposta, quanto sto per scrivere è ampiamente condiviso).
Il valore delle statue e la loro tutela
Le statue da sempre hanno valore celebrativo e/o di abbellimento di uno spazio, pubblico o privato. In molti casi esse hanno un valore simbolico in ciò che rappresentano.
Giuridicamente tali manufatti sono dei “beni culturali” soprattutto quando danno conto della civiltà dei tempi passati e pertanto meritevoli di tutela. Oggi per fortuna ci sono leggi che disciplinano non solo la conservazione ma anche la valorizzazione. Ne discende che quanto da noi proposto avvenga nel rispetto del Codice dei beni culturali e del paesaggio adottato dallo stato italiano (http://www.sbapge.liguria.beniculturali.it/index.php?it/165/codice-dei-beni-culturali-e-del-paesaggio-testo-integrato). In particolare il comma 2 dell’articolo 2 del citato Codice sostiene che:
“Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.”
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Il valore della statua di Carlo Felice fino a oggi
Considerato che una statua è un bene mobile – il che non la rende comparabile con i beni immobili (cosa che invece tanti detrattori della petizione hanno finora fatto) – resta da stabilire cosa il soggetto proprietario di questo bene abbia fatto fino a oggi per dare seguito al disposto dell’articolo 3 del sopra citato Codice che recita testualmente:
“Articolo 3 Tutela del patrimonio culturale
1. La tutela consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.
2. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale.”
Senza addentrarsi troppo nei meandri della legislazione italiana in tema di beni culturali, credo che si possa concordare sui seguenti punti:
a. Fino ad oggi la statua di Carlo Felice ha rappresentato solo un “arredo urbano” utile per i tifosi del Cagliari per poterlo vestire di rossoblù in occasione di gesta sportive vincenti.
b. Pochi sono i cagliaritani che conoscono (o conoscevano fino a che non è stata lanciata questa iniziativa) le gesta di Carlo Felice.
Eppure nel recente passato ci sono già stati articoli che hanno descritto il personaggio Carlo Felice (ora mi vengono alla mente, in ordine alfabetico, quelli di Francesco Casula, Enrico Lobina, Nicolò Migheli, Ivo Murgia, ma sicuramente ne dimentico qualcuno e di questo mi scuso), ma la lettura di questi contributi è rimasta confinata all’interno di un’ élite, e poco o nulla ha smosso finora, da molti punti di vista.
Stante questa situazione, si può ritenere che siano state rispettate fino ad oggi le finalità del Codice dei beni culturali in tema di “valorizzazione” del bene “statua Carlo Felice”?
La mia risposta è no, perché per fargli acquisire valore, occorre un’operazione di formazione e informazione capace di arricchire il significato di quella statua, qualunque esso sia. Perché a oggi l’unico significato, come scritto in precedenza, è quello di “attaccapanni” rossoblù.
La nostra proposta arricchisce il valore della statua
Contrariamente a quanti attribuiscono al gruppo promotore della petizione intenzioni “talebane”, le proposte della petizione vanno nella direzione di arricchire il valore della statua, certo non quello economico, ma quello simbolico. Ciò almeno per i seguenti motivi:
a. Spostare la statua genera domande anche nelle persone più distratte e quando ci sono domande c’è un processo di apprendimento, perché richiedono risposte;
b. Le risposte devono ricercarsi nella conoscenza della storia di questo sovrano – come documentata dagli storici dell’epoca contemporanea e immediatamente successiva a quella del sovrano sabaudo – e nella storia della statua stessa che è bene conoscere per intero. Ed è proprio per ciò che rappresenta il personaggio che non è accettabile oggi l’idea che la statua rimanga dove è. La sua realizzazione e la sua collocazione, infatti, sono il risultato della sudditanza delle persone coinvolte nei poteri decisionali del tempo (Stamenti), non certo il risultato di un processo democratico.
c. Collocare la statua all’interno di uno spazio museale e, segnatamente, per quanto mi riguarda, questo spazio è la Cittadella dei Musei, il luogo cioè dove la statua è stata forgiata. In particolare essa potrebbe campeggiare ben visibile in un’aiuola (io ne ho già individuata una libera particolarmente adatta), senza piedistallo, con un basamento basso tale da permettere anche una visione migliore del manufatto di bronzo, così da scorgere le fattezze del viso di questo megalomane rappresentato con gli abiti di un condottiero romano. In questo modo si ottempererebbe anche al disposto dell’articolo 38 del citato Codice che tratta il tema dell’accessibilità, cosa che adesso è solo apparente ma non sostanziale, visto che un bene è accessibile se riesce a trasmettere significati, altrimenti è come una formula matematica che se non la sai leggere, se non hai padronanza dei codici linguistici, non ti dice nulla e pertanto non è accessibile;
d. Sostituire la statua di Carlo Felice con quella di Giovanni Maria Angioy permetterebbe altresì di dare valore ad uno degli esponenti sardi che più di altri ha combattuto la tirannia sabauda e concorrerebbe ad accrescere l’autostima di questo popolo che troppe volte invece ha sentito e sente il bisogno di trovare “altrove” simboli cui ispirarsi per dare un senso alla propria voglia di riscatto (sociale, economico, culturale, ecc.). A questo proposito si pensi al significato dello scudetto vinto dal Cagliari, o ad altre imprese che soprattutto nello sport hanno inorgoglito questo popolo per intero.
Allora chiedo io a chi critica o snobba con supponenza questa iniziativa: ma davvero quanto ora indicato si configura come una iniziativa iconoclasta? Ma non sarà che è proprio non facendo nulla (come accaduto finora) che la storia non si conosce e viene cancellata perché fatta morire per inedia? Davvero, credete che siamo noi sostenitori della petizione ad aver avuto un’idea “bizzarra” o non sarà, invece, che proprio perché sta già facendo discutere e pensare, sono altri che vogliono rimanere nell’intorpidimento de “su connotu” e nell’ignavia senza fine?
La nostra iniziativa coniuga tradizione e innovazione
Oggi si fa un gran parlare di innovazione, di cambiamento, e per la gran parte della gente sembra che esso avvenga solo con l’introduzione di nuove “tecnologie”, o che queste debbano riguardare solo il modo di produrre e non anche il modo di essere. Eppure l’innovazione è qualsiasi processo volto a cambiare la realtà, per costruirne una nuova e migliore, se possibile. In questo senso, sono “innovazione” anche le operazioni di “sensemaking” e di “enactment”, che in italiano significano, rispettivamente, attribuzione di significati ad una realtà e attivazione di quella realtà (Weick, 1995).
La nostra iniziativa dà significato alla realtà della statua e a ciò che simbolicamente rappresenta e lo fa attivando un dibattito (cosa che nessuno può negare), un processo di conoscenza, di presa di consapevolezza su fatti storici ineluttabili e di azione volta a ridisegnare consapevolmente una porzione piccolissima della città. A questo proposito vorrei far osservare a chi dice che non si deve modificare l’esistente perché si altererebbe il processo di stratificazione storico, che la realizzazione della statua venne decisa dagli Stamenti sardi (https://it.wikipedia.org/wiki/Stamento) i quali, per quanto fossero delle assemblee rappresentative – di clero, nobili e militari – di fatto rispondevano al sovrano ed erano composti da persone che per lo più avevano come obiettivo quello di imbonirselo per entrare nelle sue grazie, circostanze queste che rendono ogni loro decisione viziata nelle fondamenta: per esempio, faccio la statua per celebrare la decisione di costruire una nuova strada da Cagliari a Porto Torres, non si sa mai che in questo modo il sovrano possa concedermi qualcosa di più. Può pertanto considerarsi questo come qualcosa che contrasta con l’idea che si ha oggi di un contesto democratico? Può considerarsi quel prodotto come qualcosa che non possa essere arricchito di significati e, di conseguenza, sottoposto ad aggiustamenti cognitivi?
La nostra idea è che questa iniziativa è tutt’altro che di retroguardia, essa al contrario vuole essere una vera innovazione culturale, perché non solo non cancella nulla, ma arricchisce ridefinendoli il senso della statua e del luogo nel quale finora essa ha sostato.
Un’operazione di marketing urbano
L’iniziativa insita nella petizione può essere annoverata come un’operazione di “marketing urbano”, perché intende intervenire, democraticamente, sulla gestione della città, riprogettandone una parte, sul piano simbolico prima di tutto e in minima parte sul piano dello spazio fisico. L’operazione proposta, infatti, passa per una decisione del Consiglio comunale che riconoscendo fondate e valide le istanze dei firmatari della petizione, ridefinisce il senso di quello spazio, prima di tutto cambiando il nome alla strada da “Largo Carlo Felice” a “Largo 28 aprile 1794. Die de sa Sardigna”, poi decidendo di sostituire la statua di Carlo Felice con quella di Giovanni Maria Angioy, che simbolicamente rappresenta l’oppositore della tirannide sabauda. Questa statua verrebbe rappresentata in abiti del tempo e non cambierebbe di molto il paesaggio fisico di quello spazio. Aggiungo persino che si potrebbe vestire di rossoblù esattamente come oggi si fa con Carlo Felice, con una differenza simbolica significativa: vestendo di quei colori che per noi sono nobili un tiranno, non si copre lui di ridicolo, ma si ridicolizzano i nostri colori. Giovanni Maria Angioy sarebbe stato invece orgoglioso di celebrare le gesta sportive della squadra della capitale della Sardegna, come lo sono tutti quelli che amano questa terra.
Ancora, la storia è il risultato della stratificazione di ciò che è accaduto col tempo. Le decisioni di oggi saranno la storia di domani, quindi oggi costruiamo la storia per il futuro. Se pertanto si apportano modifiche a spazi pubblici, come nel caso della nostra proposta, si sta aggiungendo uno strato ad altri preesistenti, senza cancellarli ma, come specificato sopra, arricchiti di nuovi significati, considerati oggi più pregnanti e più consoni ad una identità più consapevole, meno evanescente, più radicata e magari più volitiva nel voler costruire un futuro migliore.
A chi poi pone la questione dei costi dico solo che una iniziativa di questo genere si finanzierebbe con la raccolta pubblica di denaro (crowdfunding) e sono certo che tanti in tutto il mondo avrebbero piacere di contribuire, per cui le casse del Comune di Cagliari non sarebbero minimamente intaccate da tutta l’operazione. Al Comune di Cagliari e al suo ufficio tecnico competerebbe il compito di predisporre un progetto per la realizzazione del basamento della statua all’interno della cittadella, di stabilire le modalità della rimozione e del trasporto e le modalità con cui far realizzare la nuova statua, oltre alle nuove targhe per la strada. E anche la progettazione e la realizzazione della nuova statua potrebbe essere un’occasione per i tanti artisti sardi di mettersi in mostra e magari farne dono alla città.
Ripropongo ancora una volta la medesima domanda: davvero si può pensare che dietro questa petizione ci sia furore iconoclasta?
Quel che posso assicurare è che fin dall’inizio di questo percorso l’intento dei promotori è stato quello di “costruire” un significato nuovo, partendo da una migliore conoscenza del nostro passato, iniziativa che non ha e non vuole avere colorazioni partitiche ma si rivolge a tutti coloro che indistintamente hanno interesse a recuperare il senso della storia di questa città e di questa terra.
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* Giuseppe Melis Giordano è professore di marketing presso l’Università di Cagliari
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