I candidati Sindaci dicano come si schierano per il Referendum costituzionale
Intervento di Vito Biolchini, su Vitobiolchini.it
Una settimana al voto cagliaritano. La campagna elettorale è tutta qui, di Renzi e Boschi (più volte annunciati per spaventare gli avversari) nemmeno l’ombra. La ministra però oggi è ad Olbia (a Cagliari dunque non è conveniente venire), mentre si scopre che il presidente del Consiglio arriverà in Sardegna addirittura dopo i ballottaggi del 19 giugno. Se tutto questo qualcosa vuol dire, non dice bene per il centrosinistra cittadino.
La città è sparita da tutti i radar dell’opinione pubblica italiana. Un anno fa i siti specializzati in sondaggi preelettorali monitoravano Cagliari, stavolta no: neanche l’emozione di una “corsa clandestina”, niente di niente.
Molti candidati sul campo, pochi santini nelle strade. La città si trascina all’appuntamento in un clima ben diverso da quello, elettrico, di cinque anni fa. Ora di elettrico c’è solo il sindaco Zedda che ad ogni confronto pubblico mostra un crescente nervosismo nei confronti di tutto e tutti: schema già visto in questi cinque anni di consiliatura, nei quali, sfoggiando un mix di arroganza e scarso self control, ha più volte perso il controllo della situazione ogniqualvolta doveva confrontarsi in ambienti non protetti con i cittadini e le loro legittime rimostranze (clamoroso il battibecco pochi giorni fa con una signora nella sede di Confindustria Sardegna, penosa la performance a Sardegna Uno). Uditorio sconcertato e giornali sempre silenti.ou
La campagna elettorale di Zedda si riduce quindi ad un solo slogan: “vinco al primo turno”. È una specie di profezia che spera di autoavversarsi ma il clima che si respira in città e un concreto buonsenso fanno ragionevolmente immaginare una conclusione diversa. Dalle periferie di ode un mormorio di disapprovazione sempre più forte, mentre nei quartieri con la pancia piena piazzette, giardinetti e marciapiedi sono sempre piaciuti.
Ci sarebbe da sorprendersi di tutto ciò ma neanche più di tanto. In cinque anni il panorama politico italiano è profondamente mutato. A Cagliari nel 2011 la campagna elettorale di Zedda l’aveva fatta Nichi Vendola, segretario di un partito che adesso non esiste più da nessuna parte se non qui e solo per salvare le apparenze (e infatti neanche Vendola ormai fa più politica). Venerdì prossimo sul palco di piazza del Carmine con chi sarà Massimo Zedda? Con Luca Lotti?
Solo i giornali (che non spiegano più niente e non vogliono fare la fatica di raccontare la complessità del reale) si ostinano a parlare di centrodestra e di centrosinistra. La verità è che il nuovo discrimine passa attraverso il concetto di partecipazione e di autogoverno, valori che sono sempre stati associati al campo progressista ma che oggi proprio da questo schieramento (sedicente “di centrosinistra”) vengono clamorosamente disattesi.
Un presidente del Consiglio non votato da nessuno mette mano ad una radicale riforma della Costituzione in chiave autoritaria e centralista: la sinistra a Roma protesta, per convenienza invece a Cagliari tace.
Eppure il referendum di ottobre sarà il vero spartiacque della vita italiana del prossimo decennio. Se vince il sì, si aprirà una stagione in cui la partecipazione dei cittadini alle scelte della politica e la loro capacità di influenzare le istituzioni verrà drasticamente ridotta.
E ancor peggio andrà alla Sardegna, che vedrà ridursi progressivamente il proprio raggio di azione politica. Sottorappresentata nelle istituzioni, minacciata da un centralismo che non ha neanche più pudore di manifestarsi neanche nei modi più beceri (all’ordine del giorno di Renzi c’è la riduzione dei comuni e una riforma che mira ad abolire le specialità delle regioni), la nostra isola rischia di essere ridotta ad una mera “entità geografica”.
Eppure in Sardegna l’assessore alle Riforme ha già sottoscritto l’appello per il sì, senza che questo abbia minimamente suscitato le proteste della sinistra e degli indipendentisti che sostengono la giunta Pigliaru, forze politiche che chiaramente da qui a pochi mesi finiranno in una trappola mortale.
Visto il disastro del Pd sardo, per sopravvivere questo esecutivo regionale non può che allinearsi il più possibile al governo Renzi. Pigliaru lo ha già fatto con il referendum sulle trivelle, l’assessore Demuro ha già detto come la pensa su quello di ottobre, e da adesso in poi sarà tutto un tripudio di innocui penultimatum lanciati da Pigliaru sulle questioni più incandescenti (chimica, trasporti, energia), alternati a smodati ringraziamenti per novità che non cambiano nulla o quasi (dalla vertenza entrate alle risorse per i trasporti che, come affermato oggi dall’assessore Deiana in una intervista all’Unione Sarda, “fossero arrivati subito, saremmo riusciti a sistemare già un po’ di cose”).
Possiamo quindi anche parlare di programmi e di progetti per la città, ma se passa il sì al referendum cambia tutto, cambia il contesto politico nel quale quei programmi e quei progetti dovranno essere calati. Ecco perché sarebbe opportuno sapere qual è la posizione dei candidati sindaci a Cagliari sul referendum di ottobre (tanto più che nel progetto renziano il nostro primo cittadino dovrebbe diventare anche senatore).
Perché nel momento in cui destra e sinistra si sfaldano ed emerge un nuovo modo di fare politica, poco rispettoso delle minoranze e del confronto democratico garantito dalla nostra Costituzione, un modo che vuole imporsi e che rischia di essere modello per tutte le amministrazioni locali, è su questo che dobbiamo confrontarci.
Questa tornata amministrativa sarà il primo momento in cui potersi opporre concretamente al disegno renziano che mira ad una politica centralista e non partecipata. Ed è a chi dirà no al referendum che io a Cagliari darò innanzitutto il mio sostegno.
Pp
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