La Sardegna che vogliamo ricostruire ha bisogno di una classe dirigente di sardi onesti e capaci
La qualità delle istituzioni è la qualità delle persone che le costituiscono. Sono pertanto da costruire nuovi adeguati meccanismi di selezione del personale pubblico a livello politico e amministrativo.
di Franco Meloni (editoriale su Aladinews del 23 luglio 2013)
La qualità delle istituzioni pubbliche, intesa come capacità di soddisfare i bisogni espressi o impliciti dei cittadini, è uno dei fondamentali fattori di equilibrio e progresso della società. La qualità dipende essenzialmente dalle persone che costituiscono le diverse organizzazioni e che consentono di perseguire in modo adeguato gli obbiettivi delle loro missioni. Quanto a qualità del personale pubblico, politico e amministrativo, in Sardegna, come pure in Italia, non siamo affatto messi bene e le conseguenze negative si conoscono! In questo intervento mi occupo esclusivamente di personale politico, con qualche considerazione anche sul personale amministrativo di vertice, quello soggetto allo spoils system , che ne consente la sostituzione su basi discrezionali da parte degli amministratori, ad ogni rinnovo elettorale. Dunque, in generale il giudizio sulla qualità dell’attuale classe politica non è positivo e non da ora. Assistiamo infatti da almeno un trentennio a un suo progressivo scadimento; fenomeno che possiamo datare, con un certa approssimazione, dalla fine degli anni 80, in coincidenza e correlazione con la crisi delle ideologie e dei partiti che ad esse si ispiravano. I partiti fino a quel tempo produttori di programmi e dotati di personale politico qualificato in grado di attuarli, ma anche capaci di catturare una certa parte delle idee formatesi al loro esterno, sono andati progressivamente perdendo queste capacità, riducendosi sempre più a “macchine elettorali”, con personale politico nominato dalle segreterie centrali (la legge porcellum costituisce al riguardo un esempio eclatante) e in prevalenza sulla base di lealtà verso i capi dei quali garantire la permanenza al potere. Il berlusconismo costituisce una chiara esemplificazione di quanto affermato, anche se non esaurisce il fenomeno nella sua totalità. Nel richiamato passato invece la selezione della classe politica avveniva, nella generalità dei casi, in modo rigoroso, con metodi abbastanza comuni a tutti i partiti quantunque portatori di diverse ideologie e rappresentanti di diversi interessi. Limitando l’esempio ai grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana selezionava i propri rappresentanti attraverso l’Azione Cattolica, le Acli, la cooperazione e il sindacalismo cattolico, così come il Partito Comunista e il Partito Socialista selezionavano fondamentalmente attraverso i sindacati, l’associazionismo e la cooperazione di sinistra. Un ruolo importante nella formazione dei dirigenti e rappresentanti nelle istituzioni lo avevano poi le scuole di partito. In generale il cursus honorum, cioè la carriera del politico, veniva costruita nel passaggio dalle istituzioni minori a quelle di maggior livello: dal ricoprire le cariche di consigliere o assessore comunale o provinciale a quelle di consigliere o assessore regionale, fino agli incarichi parlamentari e di governo. Chi arrivava alle alte sfere era dunque ben rodato; poteva certo capitare qualche smagliatura, cioè che passasse una ridotta percentuale di inidonei al ruolo ricoperto. Oggi le proporzioni si sono decisamente rovesciate. Tutto questo lo paghiamo – e molto caro – rispetto alla qualità della gestione pubblica, costituendo la concausa della decadenza del paese. La descrizione fatta è schematica e non dà conto di consistenti eccezioni, ma corrisponde sostanzialmente alla situazione attuale. A questo punto se non vogliamo cadere nel baratro dobbiamo necessariamente invertire la rotta. E come? Innanzitutto modificando le leggi elettorali, come il vituperato porcellum, che va abolito, aprendole alla partecipazione e consentendo un’effettiva scelta da parte dei cittadini dei propri rappresentanti. A mio parere occorre riconsiderare positivamente i sistemi proporzionali, che consentono una maggiore rappresentanza dei cittadini e, tutto sommato, un più alto tasso di governabilità. Al riguardo la recente legge elettorale sarda è un pessimo esempio, in quanto restringe le opportunità democratiche.
Poi occorre ripristinare la democrazia nei partiti, modificandone la forma attuale, sperimentando inedite configurazioni, che solo i giovani possono assicurare, nella misura in cui sia consentito loro di avere ruoli dirigenti negli stessi partiti, auspicando alleanze generazionali ed equilibri di genere. Quest’ultima circostanza comporta un percorso più lungo e difficile, che tuttavia è possibile praticare da subito. Una parte consistente del rinnovamento passa attraverso l’adozione di adeguati meccanismi di scelta dei rappresentanti nelle istituzioni. Al riguardo ciò che maggiormente può garantire la qualità della classe politica è la possibilità effettiva di esercitare sulla stessa il controllo popolare, in attuazione di principi di trasparenza e partecipazione e con l’utilizzo degli strumenti della democrazia digitale, opportunamente facilitati e generalizzati. Ecco perchè i candidati agli incarichi istituzionali devono essere espressi attraverso serie consultazioni che trovano esplicitazione, non esclusiva, nelle cosidette primarie. Consultazioni aperte e pubbliche quindi per tutte le cariche e per tutti i livelli. Ma non basta: occorrono modalità precise e condivise per raccogliere le candidature e per far conoscere i programmi delle formazioni politiche, dando dimostrazione della adeguatezza dei diversi candidati a ricoprire gli incarichi pubblici. Queste azioni vanno sostenute con il concorso della spesa pubblica, e non sono in alcun modo ascrivibili allo spreco, in quanto contribuiscono ad allargare gli spazi della democrazia.
Calandomi nel concreto, con riferimento alle istituzioni del nostro territorio, regione in primis, per quanto riguarda gli alti incarichi, da assessore a dirigente soggetto allo spoils system, occorre verificare e discutere pubblicamente i curriculum dei candidati, valutando le esperienze effettuate e il loro potenziale innovativo. Che fare allora? Una proposta interessante potrebbe essere quella di prevedere obbligatoriamente (meglio se per legge o regolamento) e comunque da subito, che ciascun candidato a posto di alta responsabilità venga preventivamente sottoposto a valutazione da parte di un’apposita competente commissione, la quale discuta con il medesimo candidato la sua esperienza e con lui si confronti sull’adeguatezza delle qualità tecniche, professionali e relazionali rispetto all’incarico da ricoprire. Le sedute di tali audizioni dovrebbero essere pubbliche e rese accessibili ai cittadini attraverso la televisione e i siti internet istituzionali. Negli Stati Uniti tale procedura è prevista per gli alti incarichi conferiti dal Presidente, che diventano efficaci solo dopo il nulla osta dell’apposita commissione senatoriale. E’ un modello che ha funzionato e funziona. Il Presidente può proporre per alti incarichi pubblici chi vuole, anche suo fratello, ma lo deve sottoporre ad un severo vaglio pubblico, con le modalità accennate. Se la commissione non si convince della bontà della proposta, la stessa viene accantonata con la bocciatura del candidato. Una siffatta procedura applicata, mutatis mutandis, alla casistica italiana farebbe rinunciare molti candidati nel giro di pochi minuti dal colloquio valutativo. Altri invece passerebbero a testa alta, con beneficio della res publica.
Su questi argomenti il dibattito è aperto, ma non si possono ritardare decisioni che devono far prevalere comportamenti virtuosi. Le forze politiche sarde, anche come esercizio di sovranismo, si muovano per quanto sanno fare in questa direzione, assumendo le migliori pratiche in vigore nell’ambito europeo ed internazionale. Tutto ciò costituisce un terreno di confronto non secondario anche nella costruzione dei programmi elettorali sardo ed europeo, che devono contemplare le modalità di gestione virtuosa della cosa pubblica. Anche in questo caso dobbiamo superare un certo provincialismo nella ricerca del meglio, ed è pertinente il richiamo al concetto: la Sardegna e l’Europa si salvano insieme.
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Tutta la Sardegna in Serie A
di Raffaele Deidda*
Battendo il Bari per 3-0 il Cagliari ha riconquistato un posto nel massimo campionato di calcio. Impossibile per qualsiasi sardo, anche per chi non segue il calcio, non gioirne. Legittimi i titoli della stampa locale: “I rossoblù e la Sardegna del calcio ritornano in paradiso.” La Sardegna del calcio, per l’appunto. Meno accettabili i titoli: “In serie A torna tutta la Sardegna”. Richiamano il Karl Marx di “la religione è l’oppio dei popoli”. Forse lo è anche il calcio. Anche i sardi, come altri italiani, rinunciano a riflettere sulla propria vita e sui problemi, per rivolgere i pensieri alla squadra del cuore. Si appassionano più alle disavventure dei beniamini del pallone che a quelle di amici e parenti disoccupati o cassintegrati. Parafrasando ancora Marx il calcio appare, come la religione, ”lo spirito di una condizione priva di spirito.”
Per Lucio Garofalo: “Oggi i calciatori costituiscono le divinità terrene di un culto secolarizzato, i totem sacri e inviolabili per vaste moltitudini di persone, ormai espropriate di autentici valori spirituali. Il calcio è diventato il culto pagano per antonomasia in un’epoca senza divinità, né idoli, senza riferimenti culturali e principi etici, senza passioni estetiche, artistiche o politiche in grado di impreziosire la vita degli individui, strozzati da una brutale alienazione economica. In tal senso il calcio è diventato una valvola di sfogo, una via di scampo dal soffocante grigiore del vivere quotidiano. Il calcio è una sorta di acquavite spirituale in cui le masse annegano le angosce, i dolori e le inquietudini che le affliggono, come un tempo faceva la religione”.
Riflessione che scatena la reazione di chi il calcio lo ama pur essendo, da cittadino consapevole, attento ai temi della società e della politica. Di chi, da tifoso, si rifiuta di apparire contrario ai principi dell’uguaglianza e interessato ad una forma di competizione non rispondente ai criteri della solidarietà. Quando però si afferma che in Serie A è tornata tutta la Sardegna il pensiero va a Paul Valéry che in “Regards sur le monde actuel” rimarca che “La politique fut d’abord l’art d’empêcher les gens de se mêler dans ce qui le regarde.” (La politica fu fin dal principio l’artifizio di impedire che le persone si occupino di ciò che le riguarda).
Quale miglior artifizio politico che affermare che la Sardegna, con la vittoria del Cagliari, è tornata tutta vincitrice? Di cosa? Forse della moralità della classe politica, con il vicepresidente del Consiglio regionale arrestato con l’accusa di aver pilotato appalti pubblici, con consiglieri regionali indagati e rinviati a giudizio per peculato, con un neo-consigliere regionale appena scarcerato dopo la detenzione per traffico internazionale di droga, che dopo aver giurato ha dichiarato: “Voglio aiutare questa regione”.
Si pensava che al top delle dichiarazioni “oppiacee” ci fossero quelle del sindaco Pd di Lodi: “Ho truccato gli appalti ma l’ho fatto per il bene dei cittadini”, ma essendo la Sardegna tutta in serie A il primato, a proposito di stupefacenti, va sicuramente alla dichiarazione solenne dell’ex sindaco di Buddusò. E’ una Sardegna che vede anche il segretario regionale del Pd condannato per evasione fiscale.
Aspetti etico-giudiziari a parte, quali altre Serie A vanta l’isola? Certamente non l’aumento costante delle persone in difficoltà economica perché senza reddito o disoccupate. Oppure occupati e pensionati che non hanno un introito sufficiente per poter sostenere tutte le spese. Certamente non la soluzione delle vertenze industriali con i lavoratori a protestare sulla ciminiera di Ottana e sul silo dell’Alcoa a Portovesme, nello stabilimento Eurallumina, a Porto Torres, nelle sede di Meridiana a Olbia.
Non è da serie A neppure il tasso di disoccupazione giovanile della Sardegna: il 56,4%, il più alto in Europa nel 2015. Se di primato politico della Sardegna si vuole parlare, questo è riconducibile solo alla composizione della Giunta regionale. Con sei assessori su dodici, più il presidente, professori ordinari delle Università di Cagliari e di Sassari, è forse la Giunta regionale più accademica d’Italia.
Molto competente, sostiene il Presidente della Regione. Con alcuni assessori che hanno ricoperto importanti incarichi istituzionali nel precedente governo di centrodestra e altri che sono stati consulenti di assessori dello stesso. I risultati di tanta competenza? Quelli sopra riportati, ai quali vanno aggiunti i “successi” nel settore del trasporto ferroviario e della continuità territoriale aerea.
Con il “treno veloce” che va a rilento, soggetto a continui guasti che causano disagi per i viaggiatori e l’irrisolta questione Ryanair, che crea danni ingenti agli operatori economici isolani. Però consoliamoci, il Cagliari è tornato in Serie A. Con la Sardegna tutta.
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* By sardegnasoprattutto/ 8 maggio 2016 / Culture/
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Quale classe dirigente per la Sardegna che vorremo
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di Aladin
«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (più politica che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.
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(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.
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In Sardegna crisi di sistema. La politica debole che non decide
di Maria Francesca Chiappe
(Da L’Unione Sarda – L’opinione, del 6 maggio 2016, ripreso da SardegnaSoprattutto).
Non può essere una questione di imbarazzo. Il gelo del Consiglio regionale per il giuramento di un consigliere appena scarcerato non può essere la cifra di una politica che in questo modo si rivela debolissima. Una classe dirigente autorevole non avrebbe neanche bisogno di discutere perché in nome del rispetto delle Istituzioni l’indagato si farebbe da parte.
Invece no: l’accusato non si ritira, il partito non fa nulla, il Consiglio si imbarazza e tutti aspettano la sentenza. Eppure non si tratta di una disputa tra garantisti e giustizialisti bensì di una politica che arretra a favore della magistratura, delegando ai giudici la selezione dei suoi dirigenti e, di fatto, sfuggendo alle sue responsabilità.
Anche la scelta del segretario regionale Pd si inserisce in questo quadro: davanti all’accusa di evasione fiscale avrebbe dovuto fare subito un passo indietro per non coinvolgere il suo partito e l’istituzione che rappresenta. Perché la politica che decide di non decidere in realtà sceglie di non scegliere la sua classe dirigente.
Inevitabilmente quella selezione la faranno i giudici, rafforzando sempre più il loro potere a scapito degli altri due. E quando l’equilibrio democratico si rompe aumenta il rischio di distorsioni, come l’arresto sopra le righe del sindaco di Lodi.
Bisogna invece cominciare con l’ammettere che in Sardegna esiste una crisi di sistema svelata dalle inchieste sugli appalti che coinvolgono amministratori locali, professionisti, imprenditori, politici di prima linea, incluso il vice presidente dell’Assemblea regionale che ha diviso la cella con l’ex sindaco di Buddusò neo consigliere regionale.
Intanto in un altro carcere il vice sindaco di Villagrande studia come difendersi dall’accusa di rapina. Sullo sfondo ci sono gli attentati ai sindaci, persone oneste che resistono alle pressioni e disoneste che con le pallottole pagano il prezzo della corruzione. Il quadro è allarmante. Ed è forse tempo di chiedersi se lo sviluppo debba essere affidato a lavori pubblici senza controllo e, forse, di considerare le zone interne periferie urbane degradate dov’è ormai sbarcata anche la ferocia del femminicidio.
Alla faccia dei codici non scritti.
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