Cagliari verso le elezioni di giugno
La Cagliari di Zedda e Pigliaru laboratorio del Partito della Nazione. Basterà per vincere?
di Vito Biolchini, by vitobiolchini.it
Vi ricordate cinque anni fa? Alla vigilia della presentazione delle liste per le elezioni comunali, Cagliari era letteralmente in ebollizione. Le primarie del centrosinistra avevano favorito il dibattito sui problemi della città, la stessa situazione politica italiana (con Berlusconi agonizzante al governo) ridava forza alle opposizioni (brillava l’astro di Nichi Vendola, vi ricordate?). Alla Regione governava Ugo Cappellacci e le elezioni nel capoluogo erano attese come un segnale nei confronti del governo di viale Trento. C’era voglia di fare politica, c’era mobilitazione.
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Oggi il Pd governa in Italia, in Sardegna e a Cagliari, e nel capoluogo il dibattito in vista delle prossime elezioni comunali è praticamente inesistente. La città attende senza grandi entusiasmi il voto del 5 giugno, pochissime le iniziative elettorali, per non parlare di quelle politiche. Eppure i temi di cui discutere non mancano. Ma la città, che cinque anni fa vedeva tanti sostenere con genuino entusiasmo la candidatura di Massimo Zedda, ora sembra quasi non volerne più sapere di mobilitarsi.
Stanchezza, disillusione, la consapevolezza che tra le tante promesse mancate da parte dell’amministrazione di centrosinistra la più grande è stata proprio quella relativa alla partecipazione. Quindi, perché impegnarsi?
Tutto questo fa il gioco di Zedda, che non vede l’ora di tacere sui fallimenti del suo governo: dalla raccolta dei rifiuti (con l’annuncio del porta a porta rimandato di anno in anno) allo spopolamento, dai servizi sociali che non sono cambiati rispetto agli anni del centrodestra alla cultura (flop epocale, con la beffa finale della Manifattura regalata a Sardegna Ricerche nel silenzio assoluto del Comune), dall’assenza di politiche sull’accoglienza (perché non è stato istituito uno Sprar?) all’urbanistica (perché non è stato ancora adeguato il Puc al Ppr?). E ci fermiamo qui.
Ma il silenzio è funzionale anche al progetto politico italiano che vede Cagliari quale uno dei suoi più interessanti laboratori, cioè il Partito della Nazione.
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Dopo la vittoria degli astensionisti al referendum per le trivelle anche la politica sarda è entrata in una nuova fase, che culminerà con il referendum di ottobre. Il presidente della Regione Pigliaru ha capito che l’unico modo per andare avanti e mascherare il suo sostanziale fallimento politico ad appena due anni dalla sua elezione è quello legarsi al carro di Renzi, assumendone anche gli atteggiamenti decisi, se non proprio autoritari. Per cosa credete che Sel abbia nei giorni scorsi aperto la crisi? Forse per i nobili motivi addotti nel comunicato (non firmato) in cui si parlava nientemeno che di “poveri”? La verità è che si sta aprendo una nuova stagione di nomine e Pigliaru sta facendo di testa sua. E siccome la sinistra sarda concepisce la politica innanzitutto come occupazione del potere, se resta fuori dal gioco delle poltrone è morta e da qui la durissima presa di posizione.
Pigliaru però va avanti “alla Renzi”: più di prima accentra, spadroneggia, risponde in maniera quasi arrogante, decide in solitudine (clamoroso il caso della Asl unica, una stupidaggine non a caso partorita dalle fervide menti dei Riformatori). Lui comanda e non lo ferma nessuno. Chi potrebbe, peraltro? La debolezza del Pd sardo guidato da Renato Soru è tale che Pigliaru, diventato presidente quasi per caso e con il voto del venti per cento dell’intero corpo elettorale sardo, può anche fare la voce grossa.
D’altra parte, la sinistra in Italia e in Sardegna non esiste più. I compagni di Sel sono all’ultimo giro di giostra, poi ognuno per la sua strada. Chi riuscirà a salire sul carro del vincitore finirà giocoforza nel Pd, gli altri dentro la deprimente Sinistra Italiana. Ma che la sinistra politica sia ormai morta è un dato di fatto. Ora c’è spazio solo per i posizionamenti interessati e gli opportunismi di potere, di cui i compagni sardi si stanno confermando maestri.
Per cui a Cagliari è meglio lasciar fare al Pd e tutti gli altri a traino: nella speranza di poter salire sull’ultimo treno e nella speranza (vana) di non essere, da qui al referendum di ottobre, stritolati dal Pd.
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Partito della Nazione, dunque. A Roma con il Pd che fa a meno della sinistra e imbarca pezzi di centrodestra, a Cagliari con il Pd che zittisce la sinistra cittadina (ormai in coma) e imbarca il Partito Sardo d’Azione, da anni organico al centrodestra e capace di operazioni di trasformismo di inuguagliabile grandezza: gli stessi quattro mori che oggi sono al fianco del Pd e di Sel, appena un anno fa nella vicina Quartu si presentarono alleati con Forza Italia e Noi con Salvini.
Quindi a Cagliari parlare di centrodestra e centrosinistra non ha alcun senso. Imbarcando un pezzo significativo dell’opposizione a Francesco Pigliaru in consiglio regionale, lo schieramento che sostiene Zedda dichiara la sua originalità e contestualmente la sua debolezza: senza il Psd’Az, contenitore di esponenti del centrodestra in fuga dal disastro berlusconiano, il Pd a Cagliari avrebbe visto da vicino lo spettro della sconfitta.
Perché i sardisti hanno puntato non sul cavallo vincente ma sullo schieramento egemone. Infatti, se anche Zedda dovesse perdere, loro porterebbero a casa un risultato lusinghiero (vedrete che saranno la seconda forza della coalizione), risultato che aprirebbe loro le porte della traballante maggioranza alla Regione (il loro vero obiettivo). E lo stesso ragionamento varrebbe, a maggior ragione, in caso di vittoria.
Quindi mentre Pigliaru e Soru ora fanno a gara a chi è più renziano, il sindaco Zedda opportunisticamente tace e pezzi di centrodestra cittadino mascherati da Psd’Az scelgono di andare con il Pd per cercare di recuperare quel potere da cui sono lontani da tempo.
Per cui alla fine il risultato delle elezioni cagliaritane si giocherà su due domande cruciali: saranno più gli elettori di destra che sosterranno Zedda o quelli di sinistra che non lo voteranno più? Perché è chiaro che il sindaco può anche riconfermarsi, ma con una base elettorale profondamente diversa da quella che lo portò alla vittoria cinque anni fa.
E poi c’è la seconda domanda: in caso di ballottaggio Zedda-Massidda, gli elettori del Movimento Cinquestelle si asterranno o proveranno a dare un dispiacere al Pd?
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