IMPEGNATI PER IL SI
Che mi stia venendo la sindrome di Plutarco, quello delle vite parallele? L’altro giorno ho raffrontato Luigi De Magistris, tutto sostanza, a Zedda, tutto fotografia. Oggi, dopo le loro rispettive esternazioni sul referendum NOtriv e dintorni, mi è venuta l’idea di comparare Pigliaru ad Emiliano, l’ex sindaco di Bari, oggi Presidente della Regione Puglia.
Di Pigliaru mi ha colpito la genuflessione a Renzi. Come chiamarla diversamente? La Sardegna è una delle Regioni promotrici del referendum, e tu, il Presidente,… remi contro? Senza il rispetto neppure del galateo istituzionale, che consiglierebbe al Presidente di non contrastare la volontà del Consiglio regionale, che ha deliberato la richiesta della consultazione abrogatrice. No, per Pigliaru ciò che conta è ostentare allineamento al Capo piuttosto che consonanza con l’Assemblea sarda. Pensa di salvarsi l’anima, manifestando ossequio per tutte le opinioni, ma sostanzialmente accoglie l’invito all’astensione del capo del governo, e lo propaganda per far mancare il quorum di validità. Fa il paio con Zedda, che corre a Roma per fare la bella statuina di contorno a Renzi, mentre De Magistris rifiuta d’incontrarlo a Napoli perché non ci sta a far commissariare il suo territorio nel risanamento di Bagnoli.
Avete visto Pigliaru inginocchiato, sentite invece come cambia la musica con Emiliano. La campagna astensionista sul referendum sulle trivelle, dice, su La Stampa, il presidente pugliese, ”mi provoca un grande dolore. Lo stesso governo che nella riforma costituzionale ha abbassato il quorum sul referendum fa campagna per far mancare il quorum“. E soggiunge: nella base del Pd c’è “immensa tristezza per aver sposato la parte peggiore del Paese contro la nostra storia. Renzi aveva giurato di rottamare le lobby, invece vive e lotta insieme a loro. E’ gravissimo: noi non siamo il partito dei petrolieri“. Ma non basta: “Tutti hanno capito che questi pozzi non hanno impatto né sull’approvvigionamento energetico né sull’occupazione” ma intanto “noi abbiamo già vinto, su cinque dei sei quesiti il governo è stato costretto alla retromarcia“. Del resto, secondo Emiliano il referendum si poteva evitare “se il governo avesse parlato con noi“: “Io e Pittella ci presentammo al ministero chiedendo udienza. Né il premier né il ministro ci hanno mai ricevuti. Sbattuti fuori come migranti alle frontiere“.
E sull’inchiesta di Potenza su petrolio e rifiuti, che dice il presidente della Puglia? “Ci siamo accorti che il processo legislativo dello sblocca-Italia è stato inquinato. Anche se il premier è innocente perché le lobby agivano sul ministero, casualmente lui la pensava allo stesso modo“.
Che ne dite? Vi sembra sdraiato come il nostro buon Francesco?
Ma c’è dell’altro! Sul referendum di domenica: «L’aria è molto migliorata in pochi giorni, ma non mi nascondo che il quorum sarebbe un’irruzione della provvidenza nella storia. Fondamentale sarà votare presto al mattino, in modo da spingere gli sfiduciati a un atto di responsabilità». Così grida Michele Emiliano, governatore pugliese dal palco del concertone di Bari, cinquemila persone in piazza per il sì contro le trivelle.
Sardi di tutte le fedi, di tutte le parrocchie e di tutte le tendenze, mi rivolgo a voi! Vi chiedo: vi sembra che l’aspirazione indipendentista, sovranista o, più semplicemente, autonomista dei sardi stia avanzando con Zedda e Pigliaru? O pensate che così in basso nella subalternità al governo non si sia mai scesi neppure ai tempi della DC? E ancora: vi pare che la Sardegna, terra emersa da milioni di anni, con Pigliaru e Zedda si stia elevando o stia riprecipitando negli abissi?
Non si può neanche dire “ai posteri l’ardua sentenza!” perché la risposta, ahinoi!, è tristemente nel vento, solare.
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Ecco ora l’intervista di Emiliano a G. Salvaggiulo su La Stampa.
Che cosa pensa della campagna astensionista del Pd?
«Per la nostra tradizione civile, mi provoca un grande dolore. Lo stesso governo che nella riforma costituzionale ha abbassato il quorum sul referendum fa campagna per far mancare il quorum».
Ci saranno conseguenze?
«Danni incalcolabili per la politica che può essere considerata opportunista».
Qual è l’umore della base Pd?
«Immensa tristezza per aver sposato la parte peggiore del Paese contro la nostra storia. Renzi aveva giurato di rottamare le lobby, invece vive e lotta insieme a loro. È gravissimo: noi non siamo il partito dei petrolieri».
Se il quorum mancasse, sarebbe un fallimento per voi?
«Noi abbiamo già vinto. Su cinque dei sei quesiti il governo è stato costretto alla retromarcia: abbiamo sventato un piano scellerato con decine di altre piattaforme».
Ma resta un quesito.
«Sì, l’ultimo regalo ai petrolieri fatto dal governo: le concessioni highlander, immortali come i vampiri. Ogni voto sarà un paletto di frassino, intanto facciamo irrompere la luce della verità. Tutti hanno capito che questi pozzi non hanno impatto né sull’approvvigionamento energetico né sull’occupazione. E che senza continueremmo tranquillamente ad accendere i termosifoni e a cucinare la pasta, allo stesso costo».
Il referendum si poteva evitare?
«Facilmente, se il governo avesse parlato con noi. Io e Pittella ci presentammo al ministero chiedendo udienza. Né il premier né il ministro ci hanno mai ricevuti. Sbattuti fuori come migranti alle frontiere».
Perché, secondo lei?
«Era una trappola: mantenere in vita l’ultimo quesito per farci schiantare contro il muro del quorum e umiliarci. Il governo si è voluto vaccinare contro un movimento istituzionale e popolare, ma ha fallito: nonostante i tentativi di oblio, il referendum esiste per milioni di italiani, altro che zero virgola. E anche senza quorum, sarà l’inizio e non la fine della battaglia».
Ovvero?
«La moratoria su tutte le trivelle nel Mediterraneo, proposta dal ministro francese dell’Ambiente Ségolène Royal. La differenza tra lei e Galletti è abissale e avvilente, per noi italiani. Persino Cesa l’ha bacchettato annunciando che l’Udc sostiene il sì».
Un fronte ambientalista?
«Io non sono un ambientalista e rifiuto l’ossessione ambientalista. Ma ragiono con buon senso, odio gli indifferenti citando Gramsci, e considero l’enciclica papale “Laudato si’” il miglior documento politico del nostro tempo. Altro che il comitato “ottimisti e razionali”, con cui governo e petrolieri si sono inseriti contro il referendum, infarcito di gente che non ne ha mai azzeccata una».
Qual è la cifra della battaglia che comincia col referendum?
«Beni pubblici di tutti contro interessi privati di pochi. I petrolieri sono quattro gatti socialmente irrilevanti e pieni di debiti con le banche, salvati dal governo con puntualità degna del Big Ben. Il giorno dopo il referendum cominceremo a lavorare in Regione a due leggi: una sul dibattito pubblico per le grandi opere, l’altra per regolamentare le lobby. Oggi la Puglia, domani l’Italia».
Ma il governo lavora per superare la logica dei veti locali e semplificare le decisioni.
«E’ la logica dello sblocca-Italia, per cui le lobby parlano con i ministri, i presidenti di Regioni con milioni di abitanti vengono sbattuti fuori dalla porta e la crisi dei partiti si risolve invitando la gente a non votare. La mia è quella dello sblocca-democrazia. Esattamente il contrario. Sarà materia anche del prossimo congresso del Pd. Io sosterrò chi avrà la linea dello sblocca-democrazia».
La filosofia dello sblocca-Italia è la cifra del renzismo?
«Se lo è, Renzi deve andare alle elezioni e chiedere i voti su questo perché oggi governa grazie ai voti presi dal Pd difendendo i diritti dei territori e ascoltando i loro rappresentanti. Leggi contro la democrazia, il nostro popolo non può proprio accettarle».
Il legame tra inchiesta di Potenze e referendum è emotivo?
«No. Ci siamo accorti che il processo legislativo dello sblocca-Italia è stato inquinato. Anche se il premier è innocente perché le lobby agivano sul ministero, casualmente lui la pensava allo stesso modo».
Che pensa della riapertura del dibattito sulle intercettazioni?
«E’ il momento peggiore per farlo. Questione di buon gusto. Solo Berlusconi avrebbe fatto altrettanto. Escludo che l’Italia accetterà di farsi imbavagliare, chiunque ci provi».
È stata violata la privacy?
«Se un ministro mischia questioni personali e pubbliche, non può lamentarsi».
Renzi è in difficoltà?
«S’è infilato in un tunnel da cui non può uscire per orgoglio. Ma secondo me ha capito di aver sbagliato».
Come vede l’elezione di Davigo?
«Benissimo. Splendida persona, splendido magistrato. Mi onoro di essere suo collega».
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Lettera di Gianni Loy a Francesco Pigliaru per le sue scelte nel referendum contro le trivelle: “L’impressione è che tu abbia espresso una legittima scelta personale piuttosto che una istanza democratica istituzionale, o la rappresentazione di una coalizione di partiti, o un diffuso sentimento popolare, come siamo portati a pensare che avvenga per il massimo rappresentante dell’esecutivo democratico di una regione/nazione. Sarà un segno dei tempi!”
E se le coste sarde fossero state a rischio?
Lettera aperta al presidente della Regione Autonoma della Sardegna
di Gianni Loy
Caro Francesco,
Immagino che avrai letto la dichiarazione rilasciata dal presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, in merito all’imminente referendum sulle trivellazioni. Il presidente, nel riconoscere che ogni cittadino è libero di votare nel modo che ritiene più giusto, ha però affermato che “Si deve votare”. Partecipare al voto, ha spiegato, “fa parte della carta d’identità del buon cittadino”.
Il tuo messaggio su facebook, quello che ha scatenato un piccolo putiferio, lascia intendere il tuo auspicio per una sconfitta del si e quindi, implicitamente la tua adesione al fronte del no. Diversamene da tanti che hanno immediatamente criticato la tua scelta, vorrei dirti, prima di ogni cosa, che la rispetto. Non la condivido, assieme a tanti altri, come ovviamente tu, altrettanto legittimamente, non condividi la decisone dei promotori, ti sembra una cosa “infinitamente più piccola” rispetto al problema della utilizzazione dei combustibili fossili rispetto ai quali, del resto, anche tu auspichi una transizione energetica rapida.
Si potrebbe concludere, secondo le regole dell’antica cavalleria, diamoci la mano e che vinca il migliore.
Ciò non sarà possibile, né che vinca il migliore, né che vinca la democrazia, perché la scelta delle armi non è corretta, dico eticamente, e non formalmente, anche se, come ricordava Stefano Rodotà proprio qualche giorno fa, dell’etica, anche di quella incisa nella Costituzione italiana, e che quindi costituisce una espressa norma di comportamento, sembra non interessare più.
Per i fautori del no, infatti, l’asticella è stata fissata ad un’altezza quasi irrisoria, è sufficiente una percentuale di astenuti pari alla differenza tra quanti normalmente esercitano il proprio diritto di voto ed il 50% degli aventi diritto. Un’inezia.
Certo, il presidente della Corte Costituzionale ricorda che partecipare al voto fa parte della carta d’identità del buon cittadino, ma il pragmatismo ha per lo più buon gioco sulla morale.
Non so se abbia ragione Vito Biolchini, che vedrebbe, anche in questa tua scelta, un tuo atteggiarti a rappresentante degli interessi del Governo italiano piuttosto che, come piacerebbe a molti, a leader dell’autonomismo istituzionale dell’isola.
Certo è che la distanza tra la scelta delle istituzioni democratiche della Sardegna di promuovere e di sostenere il referendum “antitrivelle”, e la tua opposta scelta di campo, che non affronta l’aspetto del confronto istituzionale, come se la cosa neppure ti interessasse, lascia perplessi. Non credo possa essere giustificata dalla evoluzione delle maggioranze democratiche in Sardegna, visto che, tradizionalmente, nelle scelte aventi implicazioni ambientali (ricordiamo la questione del nucleare) si fa riferimento ad un interesse generale dell’isola e non delle singole opzioni politiche.
L’impressione è che tu abbia espresso una legittima scelta personale piuttosto che una istanza democratica istituzionale, o la rappresentazione di una coalizione di partiti, o un diffuso sentimento popolare, come siamo portati a pensare che avvenga per il massimo rappresentante dell’esecutivo democratico di una regione/nazione. Sarà un segno dei tempi!
Per quanto riguarda la correttezza, non ho dubbi. Sono certo che rinuncerai senza tentennamenti alla scorciatoia dell’astensionismo e ti recherai a votare, perché è evidente che alla tua carta d’identità di buon cittadino ci tieni. Non comprendo le illazioni di certa stampa circa il tuo dubbio tra l’astensione ed il no. La dichiarazione su facebook, del resto, non le giustifica.
In conclusione, tuttavia, mi resta una piccola curiosità. Tra le considerazioni che sembrano aver orientato la tua decisione osservi che “comunque la Sardegna non è mai stata a rischio”. Colgo l’idea, ma mi domando, e se invece anche le coste sarde fossero state a rischio, saresti andato comunque a votare per il no?
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Sardegna. Nella ricerca di una nuova classe dirigente che abbia le antiche virtuose caratteristiche
di Aladin (11 marzo 2016)
«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (più politica che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.
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(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.
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