Lettera di Gianni Loy a Francesco Pigliaru per le sue scelte nel referendum contro le trivelle: “L’impressione è che tu abbia espresso una legittima scelta personale piuttosto che una istanza democratica istituzionale, o la rappresentazione di una coalizione di partiti, o un diffuso sentimento popolare, come siamo portati a pensare che avvenga per il massimo rappresentante dell’esecutivo democratico di una regione/nazione. Sarà un segno dei tempi!”
E se le coste sarde fossero state a rischio?
Lettera aperta al presidente della Regione Autonoma della Sardegna
di Gianni Loy
Caro Francesco,
Immagino che avrai letto la dichiarazione rilasciata dal presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, in merito all’imminente referendum sulle trivellazioni. Il presidente, nel riconoscere che ogni cittadino è libero di votare nel modo che ritiene più giusto, ha però affermato che “Si deve votare”. Partecipare al voto, ha spiegato, “fa parte della carta d’identità del buon cittadino”.
Il tuo messaggio su facebook, quello che ha scatenato un piccolo putiferio, lascia intendere il tuo auspicio per una sconfitta del si e quindi, implicitamente la tua adesione al fronte del no. Diversamene da tanti che hanno immediatamente criticato la tua scelta, vorrei dirti, prima di ogni cosa, che la rispetto. Non la condivido, assieme a tanti altri, come ovviamente tu, altrettanto legittimamente, non condividi la decisone dei promotori, ti sembra una cosa “infinitamente più piccola” rispetto al problema della utilizzazione dei combustibili fossili rispetto ai quali, del resto, anche tu auspichi una transizione energetica rapida.
Si potrebbe concludere, secondo le regole dell’antica cavalleria, diamoci la mano e che vinca il migliore.
Ciò non sarà possibile, né che vinca il migliore, né che vinca la democrazia, perché la scelta delle armi non è corretta, dico eticamente, e non formalmente, anche se, come ricordava Stefano Rodotà proprio qualche giorno fa, dell’etica, anche di quella incisa nella Costituzione italiana, e che quindi costituisce una espressa norma di comportamento, sembra non interessare più.
Per i fautori del no, infatti, l’asticella è stata fissata ad un’altezza quasi irrisoria, è sufficiente una percentuale di astenuti pari alla differenza tra quanti normalmente esercitano il proprio diritto di voto ed il 50% degli aventi diritto. Un’inezia.
Certo, il presidente della Corte Costituzionale ricorda che partecipare al voto fa parte della carta d’identità del buon cittadino, ma il pragmatismo ha per lo più buon gioco sulla morale.
Non so se abbia ragione Vito Biolchini, che vedrebbe, anche in questa tua scelta, un tuo atteggiarti a rappresentante degli interessi del Governo italiano piuttosto che, come piacerebbe a molti, a leader dell’autonomismo istituzionale dell’isola.
Certo è che la distanza tra la scelta delle istituzioni democratiche della Sardegna di promuovere e di sostenere il referendum “antitrivelle”, e la tua opposta scelta di campo, che non affronta l’aspetto del confronto istituzionale, come se la cosa neppure ti interessasse, lascia perplessi. Non credo possa essere giustificata dalla evoluzione delle maggioranze democratiche in Sardegna, visto che, tradizionalmente, nelle scelte aventi implicazioni ambientali (ricordiamo la questione del nucleare) si fa riferimento ad un interesse generale dell’isola e non delle singole opzioni politiche.
L’impressione è che tu abbia espresso una legittima scelta personale piuttosto che una istanza democratica istituzionale, o la rappresentazione di una coalizione di partiti, o un diffuso sentimento popolare, come siamo portati a pensare che avvenga per il massimo rappresentante dell’esecutivo democratico di una regione/nazione. Sarà un segno dei tempi!
Per quanto riguarda la correttezza, non ho dubbi. Sono certo che rinuncerai senza tentennamenti alla scorciatoia dell’astensionismo e ti recherai a votare, perché è evidente che alla tua carta d’identità di buon cittadino ci tieni. Non comprendo le illazioni di certa stampa circa il tuo dubbio tra l’astensione ed il no. La dichiarazione su facebook, del resto, non le giustifica.
In conclusione, tuttavia, mi resta una piccola curiosità. Tra le considerazioni che sembrano aver orientato la tua decisione osservi che “comunque la Sardegna non è mai stata a rischio”. Colgo l’idea, ma mi domando, e se invece anche le coste sarde fossero state a rischio, saresti andato comunque a votare per il no?
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Sardegna. Nella ricerca di una nuova classe dirigente che abbia le antiche virtuose caratteristiche
di Aladin (11 marzo 2016)
«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (più politica che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.
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(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.
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Fra Talmud e trivelle
di Raffaele Deidda
Racconta una storiella yiddish di due giovani, Chalom e Immanouel, che sono intenti a studiare il Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo. Chalom si alza e dice all’altro: “Che dici, ci fumiamo una sigaretta?” Immanouel è dubbioso, vorrebbe ma si domanda se sia corretto fumare mentre si studia il Talmud. “Secondo me lo è, ma se tu hai questo dubbio andiamo dal rabbino e poniamogli il quesito”, dice Chalom. Si recano in sinagoga e lo studente dubbioso domanda: “Rabbino, mentre si studia il Talmud si può fumare?”
“Giammai! Sarebbe un gran sacrilegio” risponde il rabbino. “Visto? Avevo ragione io” dice Immanouel all’uscita dalla sinagoga. “Mmmh…secondo me hai posto il quesito in maniera sbagliata… Torniamo dal rabbino e riformuliamogli la domanda”, propone Chalom. Di nuovo in sinagoga, è stavolta Chalom che domanda: “Scusi rabbino, ma si può studiare il Talmud mentre si fuma?” “Certamente si! Ogni momento è utile per studiare il Talmud”, risponde il rabbino.
Cosa c’entra il referendum sulle trivelle del 17 aprile che riguarda il rinnovo delle concessioni di estrazione di idrocarburi entro il limite delle 12 miglia dalla costa? Poco, ma il paradosso yiddish sembra adattarsi alle singolari dinamiche sarde relative alla vicenda trivelle, se si considera la genesi del referendum che queste hanno prodotto e le recenti esternazioni di politici regionali che quel referendum ora ritengono inutile se non dannoso. Dopo che il Consiglio regionale della Sardegna, insieme a quello di altre 8 regioni, lo ha promosso ai sensi dell’art. 75 della Costituzione.
Si legge nel documento della Regione Sardegna a firma del Presidente del Consiglio regionale: “L’esito positivo del referendum impedirebbe al Parlamento o al Governo di reintrodurre la norma che consente ai procedimenti in corso di concludersi e di rimuovere il limite, applicabile ovunque, della ricerca e dell’estrazione entro le dodici miglia marine: l’obiettivo proposto è esattamente quello di far sì che il divieto di estrarre idrocarburi, entro le acque territoriali, sia assoluto. Diversamente – e cioè qualora non si arrivasse ad un pronunciamento popolare di segno positivo – la rimozione del divieto sarebbe in ogni momento possibile”.
La posizione della Regione Sardegna e del suo Consiglio regionale è molto chiara. Perché, allora, il presidente della Giunta Pigliaru ritiene invece che “Non sia un referendum tra chi è a favore delle trivelle e chi è contro: nessuno vuole un governo centrale capace di imporre una proliferazione di trivellazioni nelle 12 miglia, contro la volontà dei territori coinvolti” e aggiunge: “Credo che non sia ragionevole cancellare da un giorno all’altro l’uso di combustibili fossili. Di conseguenza, credo che sia ragionevole consentire che i pochi impianti oggi attivi possano continuare l’estrazione fino all’esaurimento dei giacimenti”?
Da quale rabbino si è recato il presidente della Sardegna per avere l’autorevole indicazione sul quesito “Dopo che la Regione ha promosso il referendum anti trivelle si può dire che il referendum è inutile, suggerendo ai cittadini di non andare a votare?”. Dal rabbino potrebbe esserci andato insieme al segretario regionale del Pd, visto che anch’egli ritiene che il referendum sia “Doppiamente inutile per la Sardegna, dove non ci sono piattaforme marine per l’estrazione di petrolio e gas” e che “Questo quesito è talmente mal posto che ci sta il si e ci stà il no e ci sta anche se non si va a votare”.
Ci sta tutto, insomma. Ci sta che il referendum è stato voluto da nove regioni governate dal Pd di Renzi. Ci sta che per compiacere Renzi, che non vuole che il referendum abbia successo, i più alti livelli del Pd sardo invitino, implicitamente, alla diserzione anzichè favorire la partecipazione popolare. Se in Sardegna non ci sono piattaforme di perforazione in mare, i sardi non dovrebbero forse interessarsi dell’ambiente e dello sviluppo energetico del paese? Non dovrebbero scegliere come vogliono lasciare il territorio ai propri figli? Certo a leggere il Piano Energetico Regionale della giunta Pigliaru c’è solo da avere paura.
Come sono vere e sconsolanti le parole di Franco Meloni in questa rivista: “Ci vedevamo protagonisti e propositori di scelte che, e non era un battito d’ali di lievi farfalle, potevano riguardare un orizzonte lontano. Sicuramente più di dodici miglia. Discutevamo su regole per fare le scelte giuste, e quindi durevoli nel tempo, pensando a chi sarebbe arrivato dopo”. E ora? Ora sembra che il rabbino Matteus Renziah potrebbe aver sentenziato ai suoi supini e non giovanissimi discepoli: “Tutto è consentito pur di non mettere in discussione le sacre strategie del governo, andate e convincete il vostro popolo sull’inutilità di questo referendum”.
Quel popolo, però, il 17 aprile voterà convintamente SI. Nella consapevolezza che per estrarre pochi barili di petrolio non si possono mettere in pericolo le coste, il turismo, la fauna e la pesca sostenibile. Consentendo alle compagnie petrolifere di lucrare sulle estrazioni, pagando le royalties più basse al mondo.
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By sardegnasoprattutto/ 11 aprile 2016/ Società & Politica/
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Il 17 Aprile voterò SI
di Franco Meloni*
Anche se sembrano distanti secoli, pochi anni fa ho attraversato un periodo di razionale ottimismo. La Sardegna assumeva un ruolo nuovo nella stanca e mal definita geografia della politica europea. Come sollevati sulle spalle di giganti, guardavamo la realtà con gli occhi di chi voleva e poteva cambiarla. Dall’alto delle torri, le nostre basiliche, ci vedevamo protagonisti e propositori di scelte che, e non era un battito d’ali di lievi farfalle, potevano riguardare un orizzonte lontano.
Sicuramente più di dodici miglia. Discutevamo su regole per fare le scelte giuste, e quindi durevoli nel tempo, pensando a chi sarebbe arrivato dopo. E sapevamo che gli errori si sarebbero pagati, con tragici interessi. Ci sentivamo partecipi di umanità lontane, se la distanza ha ancora senso, e la campana suonava vicino a noi. Si discuteva di energia. E si metteva a confronto quella ottenuta disgregando atomi e quella che utilizzava forze antiche che guardavano il Sole e il Vento, o le Maree o quelle che potevano essere usate per diminuire il peso della fatica. Il petrolio era ignorato.
Come Fisico* ho mille ragioni per non metterlo tra le fonti utilizzabili. Prima tra queste il tipo di motore che lo usa. Sporco, inquinante, alienante, pericoloso e poco efficace. In sintesi: abbondantemente superato. Seconda: la complessità politica del suo utilizzo. Troppe guerre si sono fatte per averne il controllo e troppo dolore è costata la sua conquista. Ci ha terrorizzato quando il prezzo superava i cento dollari e ora ci crea inspiegabile affanno – ma si sa, l’economia è una scienza triste e mal definita – il suo essere troppo a buon mercato, se mi si passa questo termine volgare.
Se abbiamo bisogno di una grande e impegnativa sfida per utilizzare al meglio il dono di Prometeo, cerchiamo di controllare il fuoco che fa ardere le stelle. Abbiamo capito da pochissimi anni il perché non sono fori nel cielo e siamo riusciti per ora, purtroppo, solo e riprodurre il processo distruttivo. Da piccolo, raramente, al mare mi sporcavo di nero vischioso e quasi indelebile. Qualche petroliera che non aveva ripassato i codici di buon rapporto con il Dio Mare lavava cisterne maleodoranti rilasciando grumi di petrolio. Il rimedio era semplice: batuffolo di cotone con olio, anche non extravergine.
Ora si può fare un’operazione analoga. Scaviamo fossi con trivelle di dimensioni umane per piantare olivi e magari qualche vigna. I mandorli in fiore sono tra le immagini più belle in campagna. E la cosa ci riguarderebbe sicuramente mantenendoci in pace con le generazioni future.
PS. Se non fossi stato chiaro, il 17 Aprile voterò SI.
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By sardegnasoprattutto/ 10 aprile 2016/ Città & Campagna/
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Per Pigliaru solo l’allineamento è ragionevole…
11 Aprile 2016
Per Pigliaru tutto ciò che è conservatore, accentratore, governativo è ragionevole, tutto ciò che si muove, che contrasta il governo, che è finanche moderatamente autonomista, è inutile e precipitoso. Pensa che basti il fair play, le buone maniere, il professato rispetto delle opinioni altrui, per giustificare l’allineamento proprio. Ora e sempre allineamento, vien da dire se di mezzo c’è Pigliaru e c’è Renzi. Questa la weltanschauung, la chiave di tutta la politica del buon Francesco nostrano.
Possibile che Pigliaru non capisca quello che tutti capiamo, e cioè che il referendum NO-Triv ha – come tutte le consultazione popolari – una valenza duplice: il suo effetto giuridico stretto e il suo valore di atto d’indirizzo, che non è solo un fatto simbolico, anche se i simboli hanno un senso talora più grande delle cose reali. Cio che conta è - come dice Asor Rosa - la vera posta in gioco.
Ciò che è buffo è che il presidente pretende di interpretare anche il pensiero altrui. E così chi vota Sì al referendum del 17, ossia è contro le trivelle, … “non è contro le trivelle” ma vuole “una cosa infinitamente più piccola“, e cioè vuole solo che i pochi impianti esistenti non possano “continuare a produrre fino a esaurimento dei giacimenti“. E se il governo, forte di un esito negativo del referendum, ne proponesse l’estensione? Il Prof. ci dà la sua ragionevole posizione, nel rispetto delle posizioni di tutti, s’intende: l’importante è che “nessun impianto sia localizzato nelle acque sarde“. Del rimanente mare nostrum chi se ne… E poi, la Sardegna è in una botte di ferro, succeda quel che succeda alle altre Regioni, traquilli, “la Sardegna non è mai stata a rischio perché nella legge in questione è stata introdotta una norma di salvaguardia per le regioni a statuto speciale“.
Pigliaru così anticipa anche il suo voto al referendum costituzionale: le manomissioni della Carta in chiave autocratica e centralista vanno approvate, ci suggerisce anticipatamente il Prof. (rispettando, sia ben chiaro, le nostre opinioni), perché la modifica del titolo V della Costituzione riguarda solo le Regioni ordinarie. Che esse vengano private di competenze legislative per la potestà centrale di intromettersi in nome del sovrastante imperium statale, che l’interesse nazionale giustifichi l’annullamento unilaterale di ogni legge regionale, che in alcune materie, come energia, localizzazione rifiuti speciali ed altro, lo Stato possa decidere senza neppure consultare Regioni ed enti locali, poco importa; c’è un’Isola felice immune da tutti questi possibili mali. Questi sono e saranno solo altrui!
Per il serafico Francesco non conta neppure che la Sardegna, grazie al Consiglio regionale, sia tra le promotrici del referendum contro le trivelle. Allineamento sempre e comunque al trombettire di Pontassieve! Questa per Pigliaru è l’unica cosa che conta, l’unica ragionevole, la sola utile.
Certo si tratta di cose infinitamente più gravi, ma si parva licet componere magnis, se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi, al Prof. possiamo ricordare la bella (e tragica) poesia di B. Brecht “Prima vennero…” sul ritenere inutile opporsi al male ai danni degli altri, in questo caso alle altre Regioni. Prima vengono fagocitate le regioni ordinarie, il giorno che toccherà alla Sardegna non ci sarà nessuno a protestare.
Sarà pura propaganda, ma perfino Capellacci, almeno a parole, è meglio. Il colmo per un Prof.!
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