percorsi urbani

PICASSO CHITARRE

LINEA OTTO
(un racconto di Cinzia Piras)

 

 

Salgono sulla linea 8 un uomo e una donna, avranno ciascuno cinquant’anni o forse di più. Cambio percorso questa mattina, un po’ per errore, sovrappensiero, in una giornata ancora piacevolmente tiepida di metà ottobre. Un po’ per invertire la rotta, trovare una via più breve che mi porti in ufficio, o forse più lunga, per osservare la città da una nuova prospettiva. È bella, come sempre, soprattutto sotto questo strano sole, giallo e brillante, che nasconde impercettibili le nuvole scure, in lontananza, presagio di un acquazzone, di quelli forti, che smuovono e addolciscono la terra arida e dura. Di quelli che regalano il vero profumo d’autunno, profumo di buoni propositi, di novità, di entusiasmo prima della scuola dopo una noiosissima estate. Profumo di zaino, pastelli e quaderni nuovi, da tenere ordinati, e ben custoditi, come sapevo fare da bambina. Anche il percorso del bus è cambiato, cambiano molte cose in pochi anni, anche i percorsi degli autobus, e le persone.


Si siedono accanto a me, i due, l’uno di fronte all’altro, in quei posti a sedere scomodi e invadenti, dove ti trovi faccia faccia con gli sconosciuti magari uomini, alti, con lunghe gambe che inevitabilmente incrociano le tue, infrangendo qualsiasi “distanza di sicurezza”, quei posti scartati dalle vecchie perché vedere il mondo al contrario nausea molti fra i suoi abitanti. Lui, per un attimo siede di fronte a me, sul lato del finestrino, poi con un balzo occupa l’altro sedile per incrociare lei, che siede invece al mio fianco. Lui, giubbino giallo antivento, capelli grigi, lisci con la riga su un lato ha l’aria da cadetto, da primo della classe, l’aria ingenua, dolce, rassicurante. Di lei non conosco il volto, vedo il suo profilo, capelli lunghi, neri, sciatti, mani mature ma graziose al contrario del suoi gesti, meccanici e per nulla aggraziati. Lui le prende le mani con decisione, le stringe forte e sorride con dolcezza, la guarda senza la minima interruzione, la guarda così intensamente che i suoi occhi avrebbero potuto raccontargli una vita intera senza pronunciare nemmeno una parola. Silenzio. Solo uno sguardo, interminabile, e sempre più profondo. Improvvisamente siamo soli (ma in realatà il pullman è quasi pieno) e il tempo sembra essersi fermato. Sento i loro battiti vibrare, picchiare forte, e l’aria è completamente intrisa di sentimenti puri, autentici, spogliati di qualsiasi materialità. Séguita a non parlare, lui, le accarezza le mani con straordinaria tenerezza, lentamente, muovendo i pollici la sfiora, e dalle mani di tanto in tanto passa alle cosce di lei, timido e insieme audace, passionale, con un sorriso furbo, di chi sa di osare, provocare. A tratti è goffo, impacciato, eppure le sue mani sono calde. Lei, ritrosa, pudica, allontana quelle carezze forse troppo intime in pubblico, per poi cedere e accettarle fingendo di opporre resistenza. Magari sono amanti e lui non vuole più nascondersi, magari giocano agli innamorati, incontrati per caso in un autobus, una mattina d’autunno. Le manda i bacini, sempre lui, sempre in silenzio, strizzando gli occhi, mentre lei emette un urletto, da adolescente frivola, tappandosi la bocca con la mano e vergognandosi un po’ per essersi lasciata andare, forse si sente ridicola ma lusingata, appagata come nessuna. Lui certamente la ama, la ama più di qualsiasi cosa al mondo, la adora, la desidera, tiene fra le mani l’oggetto più prezioso, più fragile e se ne prende cura. Lei è il suo mondo e non c’è nient’altro là fuori, solo lui e lei, connessi indissolubilmente in una trama fitta e impermeabile. Lui fa cenno con la mano: la chiamerà presto dice il classico gesto della telefonata. Ridono, complici. Non capisco il perché, ma non importa. E’ ora di scendere, prenotano la fermata, spezzando così quell’incantesimo nel quale sono totalmente immersa e d’improvviso avverto di nuovo il mondo intorno; dopotutto sono solo un ospite in quell’universo privato in cui sono entrata senza invito e senza bussare alla porta. Prima di scendere lui, ancora in silenzio, senza aver mai distolto lo sguardo dai suoi occhi, incrocia le mani sul petto indicandola poi col dito. “Noi, per sempre insieme”. Nessuna parola avrebbe parlato abbastanza. Scendono dall’autobus e li seguo con lo sguardo, per qualche secondo ancora, rubo un altro attimo delle loro vite. Li osservo più attentamente, gesticolano e muovono la bocca in modo inconfondibile. Sono sordi.
Lui inabile innamorato, lei diversamente amabile. Un amore muto, questo, un amore disabile.

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