Sardegna. Nella ricerca di una nuova classe dirigente che abbia le antiche virtuose caratteristiche

sardegna dibattito-si-fa-carico-181x300Bastià Pirisi, politico e commediografo antifascista, pacifista e separatista
di Francesco Casula
Bastià (Sebastiano) PirisiBastià (Sebastiano) Pirisi, è un intellettuale, scrittore e politico sardo di rilievo ma del tutto dimenticato e sconosciuto ai più. Nel primo dopoguerra aderì al Partito sardo d’azione e dopo la marcia su Roma rimase schierato su posizioni antifasciste. Si trasferì poi nella capitale dove si laureò e iniziò a lavorare. Con il consolidarsi del fascismo si tenne estraneo alla vita politica. Prima della fine della seconda guerra mondiale costituì un comitato clandestino invitando Emilio Lussu a mettersi a capo di un insurrezione per portare la Sardegna alla indipendenza statuale.
Nel 1944 uscì dalla clandestinità e nel 1946 fondò la Lega sarda, di cui era organo il periodico Voce della Sardegna. Il Movimento si ispirava al separatismo siciliano, ma sebbene l’aspirazione a una Sardegna indipendente fosse diffusa anche nel Psd’Az, la Lega partecipa alle elezioni della Costituente del 2 giugno 1946 (con l’incoraggiamento del leader siciliano Finocchiaro Aprile e dello stesso Camillo Bellieni) ma ottiene solo 10486 voti, partecipa altresì alle successive elezioni amministrative con risultati modesti spegnendo così, almeno temporaneamente, la fiammata indipendentista. Il mancato riscontro elettorale portò la Lega alla scomparsa.
Molti i suoi scritti politici, pubblicati soprattutto su l’Unione sarda e su Voce di Sardegna. Ma la sua opera più sorprendente è la commedia in lingua sarda S’Istranzu avventuradu- Cumedia ind’unu actu che, nel 1969 per la sezione Prosa drammatica, vincerà il Premio Ozieri con questa motivazione: “La Commedia, che presenta un fatto vero accaduto in Sardegna nell’ultima guerra, mostra scioltezza ed efficacia nel dialogo, padronanza nello svolgimento della sceneggiatura e notevole incisività nei caratteri dei personaggi. Indovinata la rievocazione di costume e d’ambiente, tipica della gente sarda di quel tempo. Notevole la purezza e la proprietà di linguaggio aderente alla più schietta parlata logudorese”.
La commedia narra la vicenda di un Tenente di complemento dell’Aviazione americana che, in piena guerra (siamo nel 1943), si paracaduta da un aereo militare vicino a Capo Caccia (Alghero). Ecco come l’Autore descrive il fatto:Bidimus bolende comente unu lampu in altu meda, un areoplanu deretu a su chelu supra Monte Olidone, totu inghiriadu de neuleddas biancas che nie…Induna induna, accò qui distinghimos subta sas alas unu telu tundu falende lentamente, mentras qui s’areoplanu, l’haimus già supra a nois derettu a iscumparrere ad sa ‘olta de Cabu Cazza…Ei tando sas batterias giambant su tiru e si la leant cum su telu…«cussu est unu pararutas!»narat su padronu…«Abbaidade! …No lu idides s’homine trattesu dae sas funes?» Sas batterias zessant su fogu…s’homine agganzadu sighit a falare, ma su entu de levante lu trazat supra sos iscollios…(Vediamo che vola velocissimo nel cielo un aereo sopra il Monte Olidone, interamente circondato da nuvolette bianche come la neve…Improvvisamente ecco che distinguiamo sotto le sue ali un telo tondo che scende lentamente mentre abbiamo già sopra di noi l’aereo che diretto verso Capo Caccia, scompare. Allora le batterie (contraeree) cambiano tiro e se la prendono con il telo…«quello è un paracadutista!» dice il padrone…«Guardate!..non lo vedete l’uomo trattenuto dalle funi?» Le batterie cessano il fuoco…l’uomo agganciato continua a scendere, ma il vento di levante lo trascina sopra gli scogli…).
Il suo destino sembrava segnato: essere divorato dai pesci. O comunque fucilato dai tedeschi come spia. Si salva invece e ospitato e nascosto da Don Vittorio Serra, conte di Roccamanna e dai suoi amici, ritornerà sanu e liberu a domo sua, in America … pro abbrazzare muzere e fizu.
La vicenda del tenente americano, per l’Autore è solo un pretesto per “confezionare” una Commedia politica, con la Sardegna (ma soprattutto Cagliari) a più riprese bombardata dagli Anglo-americani, con una guerra più volte definita nel testo come malaitta (maledetta). Emerge con chiarezza il Sebastiano Pirisi pacifista e antifascista, sardista e separatista. Denuncia infatti una guerra maledetta che ha molti padri: il re (a cui la corona di imperatore l’hat frazigadu su carveddu!), Mussolini (cuddu ciacciarone de teracazzu), Hitler (s’anticristu fuidu dae s’inferru).Alla figlia Donna Juannica (Donna Giovannina) che sostiene: ”La guerra, a quanto mi hanno assicurato, a Roma, l’ha voluta il popolo italiano, quasi per intero”, Don Vittorio Serra, uno dei personaggi più importanti, in cui non è difficile riconoscere l’Autore stesso, replica infatti :”Quello che io non riesco a comprendere è come mai il nostro Re ha dato mano libera a quel parolaio, servaccio dell’anticristo fuggito dall’inferno…A meno che la corona di imperatore non gli abbia infracidito il cervello!…
E certo responsabili sono anche gli Italiani, maccos che loa (completamente pazzi). Sugli Italiani Sebastiano Pirisi – sempre per bocca del Conte Serra – è durissimo. Li accusa di bieco opportunismo, di trasformismo, di mancanza di coerenza. “L’italiano? – si chiede il Conte che conosce bene la storia e ha letto Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa – …che custodisce nel baule cento bandiere, una diversa dall’altra, sempre pronto a esibirne una dal balcone, di volta in volta, a seconda dell’occasione che si presenta?”
Ma comunque i Sardi cosa c’entrano con le pazzie degli Italiani? Infinis, eo mi pregunto ite neghe nd’haimis nois Sardos de totos sos degoglios de su continente, qui hant provocadu tantu male ad s’humanidade? (Infine io mi domando – dice ancora il Conte – che colpa ne abbiamo noi sardi di tutti i massacri del continente, che tanto male hanno provocato all’umanità”?
Come Sardi aspettiamo ancora una risposta, a questo interrogativo del Conte di Roccamanna, ovvero del sardo-separatista Sebastiano Pirisi.
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Giovanni Maria Angioy Memoriale 2«Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa, e che gli antichi non hanno avuto torto a rappresentarcela come un paese celebre per la sua grandezza, per la sua popolazione e per l’abbondanza della sua produzione.»
In un recente convegno sulle tematiche dello sviluppo della Sardegna, un relatore, al termine del suo intervento, ha proiettato una slide con la frase sopra riportata, chiedendo al pubblico (oltre duecento persone, età media intorno ai 40/50 anni, appartenente al modo delle professioni e dell’economia urbana) chi ne fosse l’autore, svelandone solo la qualificazione: “Si tratta di un personaggio politico”. Silenzio dei presenti, rotto solo da una voce: “Mario Melis?”. No, risponde il relatore. Ulteriore silenzio. Poi un’altra voce, forse della sola persona tra i presenti in grado di rispondere con esattezza: “Giovanni Maria Angioy”. Ebbene sì, proprio lui, il patriota sardo vissuto tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, (morto esule e in miseria a Parigi, precisamente il 22 febbraio 1808), nella fase della sua vita in cui inutilmente chiese alla Francia di occupare militarmente la Sardegna, che, secondo i suoi auspici, avrebbe dovuto godere dell’indipendenza, sia pur sotto il protettorato francese (1).
Mario Melis 1E’ significativo che l’unico uomo politico contemporaneo individuato come possibile autore di una così bella frase, decisamente critica nei confronti della classe dirigente dell’Isola (e quindi autocritica) e tuttavia colma di sviluppi positivi nella misura in cui si potesse superare tale pesante criticità, sia stato Mario Melis,, leader politico sardista di lungo corso, il quale fu anche presidente della Regione a capo di una compagine di centro-sinistra nel 1982 e di nuovo dal 1984 al 1989. Evidentemente la sua figura di statista resiste positivamente nel ricordo di molti sardi. E questo è bene perché Mario Melis tuttora rappresenta un buon esempio per le caratteristiche che deve possedere un personaggio politico nei posti guida della nostra Regione: onestà, competenza (più politica che tecnica), senso delle Istituzioni, passione e impegno per i diritti del popolo sardo. Caratteristiche che deve possedere non solo il vertice politico, ma ciascuno dei rappresentanti del popolo nelle Istituzioni. Aggiungerei che tali caratteristiche dovrebbero essere comuni a tutti gli esponenti della classe dirigente nella sua accezione più ampia, che insieme con la classe politica comprende quella del mondo del lavoro e dell’impresa, così come della società civile e religiosa.
Oggi al riguardo non siamo messi proprio bene. Dobbiamo provvedere. Come? Procedendo al rinnovo dell’attuale classe dirigente in tutti i settori della vita sociale, dando spazio appunto all’onestà, alla capacità tecnica e politica, al senso delle organizzazioni che si rappresentano, alla passione e all’impegno rispetto alle missioni da compiere.
Compito arduo ma imprescindibile.

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(1) Sappiamo come andò a finire la storia: i francesi si guardarono bene dall’intervenire, perlomeno in Sardegna – contrariamente a quanto fecero in Piemonte – per la quale tennero fede all’Armistizio di Cherasco (28 aprile 1796) e al successivo Trattato di Parigi (15 maggio 1796) che, sia pure con termini pesantissimi per i sabaudi, consentì loro di mantenere costantemente e definitivamente il potere sull’Isola.

2 Responses to Sardegna. Nella ricerca di una nuova classe dirigente che abbia le antiche virtuose caratteristiche

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