Zona franca urbana e zona franca doganale portuale di Cagliari. Piano, piano, piano… mentre la città declina
Cagliari Città Capitale: “La zona franca urbana crea opportunità di sviluppo per la città”.
Una grande partecipazione della cittadinanza e del mondo dell’associazionismo all’incontro sulla zona franca urbana organizzato ieri sera nella Sala Search del Comune di Cagliari dalla coalizione civico indipendentista Cagliari Città Capitale. Numerosi gli interventi degli esperti coordinati dalla giornalista Alessandra Addari, a partire dall’introduzione di Roberto Mirasola di Cagliari Città Capitale che ha sottolineato come “Il punto franco doganale rappresenta una delle opportunità innovative di sviluppo per la creazione di benessere e lavoro per la nostra Città”.
Pietro Maurandi, storico del pensiero economico dell’Università di Cagliari, ha fatto un excursus storico della vicenda della zona franca partendo dall’economista ottocentesco Giuseppe Todde, passando per il dibattito costituente relativo allo Statuto sardo, per approdare ai nostri giorni. Concretamente a tutt’oggi non si è fatto nulla, salvo la previsione normativa di sei punti franchi doganali nei diversi porti sardi, peraltro tuttora inattuati. Perché? Eppure, svanite le illusioni di attivare la zona franca integrale in tutto il territorio della Sardegna, appunto restavano da realizzare le zone franche doganali portuali, a partire da quella di Cagliari.
Fortemente critico con la giunta Pigliaru il direttore di Aladin News Franco Meloni, alla domanda sul perché non si sia ancora fatta la zona franca urbana risponde: “Perché purtroppo abbiamo degli incompetenti al potere e questi professori al governo della regione stanno creando il deserto”. Per Marco Sini c’è necessità di maggiore concretezza sinergia con tutti i soggetti coinvolti: “Dobbiamo puntare sulla zona franca possibile, non su quella che desideriamo nei nostri sogni, ma su quella realizzabile, quella della zona franca del porto di Cagliari con annessa zona industriale”.
L’economista Gianfranco Sabattini dell’Università di Cagliari punta il dito contro le strumentalizzazioni politiche e gli interessi economici: “Dal 2000 fino ai giorni nostri accadde di tutto all’interno di Cagliari Free Zone, perché l’unico interesse della politica era quella di spartirsi le quote di partecipazione. Per questo motivo dobbiamo smetterla di fare propaganda sulla zona franca. Dobbiamo parlare di regimi di esenzione configurati come zone franche orientate al consumo”. Per Mario Carboni interviene evidenziando come l’Unione Europea non deve dare nessuna approvazione per creazione della zona franca doganale: “l’UE deve dare invece un’approvazione in quanto aiuto di stato permesso per particolari motivi per la zona franca fiscale”.
Per Enrico Lobina, candidato sindaco della coalizione di Cagliari Città Capitale “Il silenzio dell’amministrazione comunale è vergognoso e incomprensibile anche alla luce di un ordine del giorno approvato in Consiglio Comunale” – conclude Lobina – “Il declino economico di questa Città non si è arrestato. Non è vero che un comune come Cagliari non può fare nulla sui temi dello sviluppo e dell’occupazione e noi con la zona franca urbana abbiamo l’opportunità di farlo”.
Prima delle conclusioni di Lobina, nel dibattito sono intervenuti Gaetano Lauta, Nicola Di Cesare, Mario Carboni, a cui sono seguite brevi repliche di Pietro Maurandi, Gianfranco Sabattini e Marco Sini.
(Fonte: Comunicato stampa, a cura di Roberto Loddo CCC)
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- Approfondimenti: REGOLAMENTO (UE) N. 952/2013 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 9 ottobre 2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione
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Una bella lezione sul concetto di competenza*
La competenza è una caratteristica intrinseca di un individuo che conduce a una prestazione (performance) efficace o superiore alla media. Una competenza, secondo Lyle e Signe Spencer (1995), è composta da cinque elementi:
a) le motivazioni, cioè le spinte interiori che inducono un individuo ad agire;
b) i tratti, cioè le caratteristiche fisiche e una generale disposizione a comportarsi o a reagire in un certo modo ad una determinata situazione;
c) le immagini di sé (atteggiamenti, valori, concetto di sé);
d) la conoscenza di discipline o di argomenti specifici;
e) le capacità/abilità (skill) di eseguire un determinato compito collettivo o fisico.
Gli ultimi elementi, cioè le conoscenze e le capacità (o abilità) sono soltanto la parte emersa e visibile dell’iceberg “competenza”, mentre invece gli altri elementi sono nascosti nell’intimo dell’individuo e pertanto sono più difficili da sviluppare (formazione), da osservare e da valutare. Ancora, secondo i due studiosi, alcuni elementi sono riferibili a caratteristiche strettamente individuali (motivazioni, tratti, autostima) mentre altri sono riferibili al lavoro (conoscenze e capacità). La competenza, inoltre, deve essere manifestata in una situazione concreta per essere riconosciuta socialmente e certificata come tale. La caratteristica innovativa principale del concetto di competenza risiede nella centralità rivestita dall’individuo, alla sua soggettività, al suo essere produttore e consumatore di conoscenza. La competenza, inoltre, è dinamica (nel senso che varia nel tempo), multidimensionale (si costituisce di diverse componenti: cognitiva, relazionale ecc.) e fortemente legata al contesto in cui si è sviluppata o in cui si manifesta. Generalmente le competenze vengono suddivise in tre grandi aree:
- competenze di base (informatica di base, lingua straniera, economia ecc.);
- competenze tecnico-professionali (saperi e tecniche che appartengono ad una specifica area professionale);
- competenze trasversali (per esempio, abilità di diagnosi, di comunicazione, di decisione, di risoluzione dei problemi ecc.).
La definizione di competenza è strettamente legata alla definizione di apprendimento, e ne condivide il carattere di complessità e dinamicità: in effetti se l’apprendimento può essere definito come un processo di trasformazione delle conoscenze e dei comportamenti, la competenza può essere considerata come capacità di mettersi in relazione attiva rispetto ad una situazione complessa e potenzialmente in continua evoluzione. Quindi l’apprendimento produce competenza, ma quest’ultima ha bisogno di un costante apprendimento.
Pur esistendo diverse modalità descrittive della spirale (del cerchio o del percorso, gli schemi sono svariati) dello sviluppo delle competenze, si preferisce qui utilizzare uno schema semplice delle componenti che concorrono al concetto di competenza.
Un’abilità (skill) può essere definita come la capacità di risolvere un problema, scegliendo una soluzione fra diverse opzioni disponibili e riuscendo a compiere la scelta operata, il tutto sintetizzando le conoscenze acquisite e le esperienze maturate. Non si tratta evidentemente di una classificazione univoca, poiché varia l’entità e la complessità dei problemi, per cui si può dire che l’unico elemento sempre valido è che l’abilità permette di attivare una procedura basata sulla capacità di risolvere problemi (problem-solving), quindi legata al concetto del “saper fare”. Alcune abilità sono in genere definite di base perché la loro padronanza costituisce il prerequisito essenziale per l’esecuzione di un compito. Naturalmente bisogna saper distinguere tra abilità di base indispensabili all’inizio di un corso di formazione (per esempio saper leggere), rispetto a quelle necessarie per rivestire un ruolo (saper leggere un resoconto tecnico di un esperimento); nel primo caso il compito è apprendere, nel secondo è giudicare la qualità di un esperimento.
Le conoscenze costituiscono la cassetta degli attrezzi con cui affrontare le situazioni problematiche, ricordando che le moderne cassette contengono non solo gli attrezzi, ma anche i supporti e le istruzioni per utilizzarli al meglio, quindi non semplice conoscenza delle unità informative, ma anche delle tecniche con cui integrarle e sfruttarle al meglio. In questo caso il concetto è quello del “sapere”. Conoscere i diversi tipi di giravite esistenti in termini di affidabilità, efficacia, facilità d’uso è una conoscenza essenziale per l’operaio che deve utilizzarli, collegata quindi alla sua abilità di avvitatore, ma anche per il responsabile amministrativo che pur non usando mai il giravite deve decidere (altra abilità) che partita di viti acquistare per la sua azienda.
I comportamenti-atteggiamenti rientrano nelle competenze perché la risoluzione delle situazioni problematiche dipende anche da elementi quali la motivazione, la disponibilità personale al rischio, la cooperazione; potrebbero essere definite anche come abilità psico-sociali, basate sulle caratteristiche personali, ma influenzate dalle abilità acquisite e dalle esperienze maturate, secondo il concetto dell’”essere”. Si tratta di un settore in cui solo da poco tempo si è percepita l’importanza nel campo della formazione professionale, e la spinta è giunta proprio dal mondo del lavoro, che ha fatto rapidamente crescere l’importanza delle doti umane nella selezione del personale. Doti sicuramente possedute da ogni allievo anche prima di accedere alla formazione, ma che possono essere affinate per renderle più funzionali alle competenze obiettivo della formazione.
L’esperienza costituisce sempre il punto di partenza e d’arrivo, cioè innesca l’apprendimento e l’attivazione della competenza e ne costituisce l’esito finale, fornendo elementi di conoscenza e raccogliendo/inducendo una serie di comportamenti. Esperienza è, perciò, un “saper fare”. Va rimarcata la diffusa noncuranza delle esperienze degli allievi, a cominciare dall’ambito scolastico, con la tendenza a considerare lo studente un vaso vuoto da riempire, quando invece l’analisi delle esperienze vissute (anche indirettamente) dall’allievo costituisce un ottimo aggancio per dare spessore a conoscenze, abilità e comportamenti che si intendono trasmettere e coltivare. Non deve essere trascurata neppure l’esperienza del formatore, il cui insegnamento ha ben altro impatto, producendo apprendimento, se costantemente collegato ad esperienze concrete.
Vale la pena riportare un altro dei punti chiave del documento istitutivo dell’IFTS:
“concezione e attuazione di nuovi sistemi per promuovere l’integrazione fra formazione d’aula e formazione sul lavoro in accordo fra sistema della formazione di ogni canale e mondo della produzione, nonché valorizzazione e certificazione delle esperienze di apprendimento sul lavoro, inclusi stages, formazione-lavoro, percorsi di alternanza scuola-lavoro, formazione sul lavoro (training-on-the job), corsi aziendali e più in generale delle competenze acquisite in esperienze di lavoro precedenti, parallele o successive all’istruzione formale”.
1. Approfondimento
In un articolo che presenta i risultati di una ricerca condotta per conto dell’ISFOL sulla certificazione delle competenze in impresa, Assunta Viteritti (1998) analizza le interviste realizzate ai responsabili delle risorse umane di 20 grandi imprese e presenta i punti di condivisione degli intervistati sul tema della ricerca. Ecco come l’autrice commenta il primo punto di condivisione:
“Un primo motivo di comune e generale condivisione è dato dal significato attribuito al termine competenza. Questa viene definita solo a partire da un contesto: è sapere in azione, o, come la definisce uno degli intervistati, un verbo più un’azione. La competenza è un sapere pratico, è il patrimonio di cognizioni ed azioni che circolano in impresa. Non è un sapere completamente predefinibile e descrivibile ma si struttura a partire dalle rappresentazioni che gli attori, individuali e organizzativi, sono in grado di generare. La competenza è come una potenzialità agita in stretta connessione con il contesto nel quale è inserita e mai indipendentemente da esso. La competenza si attiva in situazioni di incertezza, di rottura, è competenza negativa (Lanzara, 1993) che si innesta tra le intenzioni e i risultati dell’azione; è un programma di azione in relazione alle interpretazioni degli attori”.
*Luciano Cecconi/Giorgio Asquini
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