SARDEGNA dibattito a partire dal “cagliaricentrismo”

la barcaccia regionale affondaI sardi rifiutano la cultura urbana?
di Nicolò Migheli

By sardegnasoprattutto/ 30 gennaio 2016/ Società & Politica/

“Ma quale Cagliaricentrismo! Il problema sono i sardi che rifiutano la cultura urbana.” Lo scrive Vito Biolchini nel suo sito, portando un ulteriore mattone alla polemica che da anni anima le scelte territoriali in Sardegna. Cagliari, capoluogo, nell’ultimo cinquantennio avrebbe sottratto capitale umano e finanziamenti al resto dell’isola. “Il problema della Sardegna non è dunque Cagliari ma il pervicace rifiuto di parte della nostra classe intellettuale e dirigente nei confronti della cultura urbana, osteggiata come se fosse causa principale del nostro sottosviluppo. La Sardegna avrebbe invece bisogno di più cultura urbana diffusa, non di tanti paesoni senza identità.” Sottolinea Biolchini.

Aldilà delle considerazioni su come cinquant’anni di politiche abbiano operato affinché migliaia di persone lasciassero le aree rurali per trasferirsi nelle coste e nelle città, il nucleo centrale del ragionamento resta l’affermazione del rifiuto della cultura urbana. Intanto bisognerebbe essere d’accordo cosa quella espressione significhi. Sappiamo che non vi è né giudizio né definizione unanime. Perché senza volerlo, Vito riprende una classificazione del termine cultura vissuta in senso positivo o negativo.

Negativa sarebbe la ruralità, positivo invece l’ammassarsi nelle città. Ragionamento che riprende lo scontro secolare tra città e campagna, tra il civile e l’agreste. Se volessimo considerare la definizione di cultura, così come usata convenzionalmente nelle scienze sociali, la definiremmo come insieme dei modi di pensare, sentire e agire, appresi e condivisi da molte persone.
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Émile Durkheim sosteneva che essa permette la costituzione degli individui in una collettività. Tali collettività possono avere ambiti territoriali diversi, dal piccolo paese al globale. Oggi inoltre abbiamo community professionali o di interesse, presenti nel web che spesso sono transnazionali; accessibili a chiunque possieda uno smart phone. Distanza o vivere in un piccolo paese, in questo senso, non costituiscono un limite. L’informazione è accessibile, lo scambio culturale diretto può essere supplito con le tecnologie informatiche.

La stessa ruralità per come oggi viene vissuta dai giovani che ritornano a lavorare in campagna, è frutto della cultura contemporanea in cui l’ecologismo non è un valore secondario. Il ritorno alla terra, oltre al bisogno del lavoro, è l’estrinsecazione di modelli culturali urbani internazionali. La coniugazione di pratiche antiche con metodologie moderne. Ragion per cui, lo stesso concetto di cultura urbana, riferito alle città, oggi resta di difficile definizione se non in un insieme di opportunità teoriche che la vicinanza tra le persone renderebbe possibili. Opportunità che si stanno rarefacendo ogni giorno che passa a causa della crisi economica. Spesso con effetti paradossali, ad esempio le presentazioni dei libri o certi convegni sono più partecipati nei paesi che non in ambito urbano.

Una ricerca sullo spopolamento della Fondazione Sardinia, mise in luce che oltre all’assenza di lavoro, l’allontanamento dai piccoli paesi era dato dalla rarefazione dei servizi. Se gli interventi pubblici statali e regionali continuano nella linea seguita in questi anni, sempre più scuole, uffici postali, bancari, presidi sanitari verranno tolti dai piccoli comuni perché considerati non redditizi; innescando così spirali perverse e la fuga definitiva degli abitanti. La stessa riforma regionale degli Enti Locali è segnata dal limite della economicità ed efficienza considerate come valore assoluto.

Di conseguenza l’ammassarsi nelle città diverrà una conseguenza voluta, così come lo è stato precedentemente. Sommovimento di persone che alla fine viene considerato positivamente, perché solo così si potrà raggiungere quella massa critica così cara agli economisti. È vero il contrario, non c’è nessun rifiuto, anzi le nostre èlite sono succube del mito della cultura urbana. Di quella del secolo scorso però. Tutto ciò sarà un bene per la Sardegna ridotta a pochi poli abitati e a territori vuoti consegnati al degrado? Per il 2050 si prevede che il 75% degli abitanti della Terra vivrà in megalopoli.

La distopia di Blade Runner è in corso di realizzazione. Per la Sardegna abbiamo in mente un modello simile? Oppure bisogna agire fin da oggi per bloccare ed invertire i processi. Un primo segno potrebbe già darlo la Regione distribuendo i propri uffici nel resto del territorio isolano. Con le nuove tecnologie è possibile lavorare a distanza e restare in contatto anche se non si condivide l’ufficio. L’altra misura sarebbe quella di invertire il processo di chiusura dei servizi. Forse è chiedere troppo.

Bisognerebbe avere un’idea di Sardegna che vada oltre l’immediato e sia proiettata in un futuro che superi le scadenze elettorali. Paradossalmente c’è bisogno di più ruralità, visto che la campagna a differenza della città, ha sempre ragionato con il tempo degli alberi.
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Ma quale Cagliaricentrismo! Il problema sono i sardi che rifiutano la cultura urbana
Aria di casa nostradi Vito Biolchini
28/01/2016 alle 14:23 21
Cagliaricentrismo
by vitobiolchini.it

Non c’è niente da fare, l’idiozia del Cagliaricentrismo dilaga. È un morbo devastante che non ha rimedio, sparso da una pessima politica e da un pessimo giornalismo che, come al solito, si spalleggiano a vicenda.

Da sempre in Sardegna la politica, quando è debole e incapace, scarica i propri limiti e le proprie contraddizioni sui territori e le comunità, mettendole contro. È un trucchetto vecchio come il mondo che però da noi funziona sempre, generando disastri di cui non tutti hanno piena consapevolezza.

Il Cagliaricentrismo è diventato così il vero capro espiatorio di questa sciagurata stagione politica. Agitando lo spauracchio di una città egoista, vorace e insaziabile di risorse (ovviamente tutte da sottrarre agli altri territori dell’isola, chiaramente dimenticati dalla politica, perché adesso solo sulla citta capoluogo si riversano latte e miele e la manna cade costantemente dal cielo), i politici non cagliaritani si salvano sempre.

L’ultimo in ordine di tempo è il neo sindaco di Nuoro Andrea Soddu che ieri e oggi ha rilasciato alla Nuova Sardegna alcune dichiarazioni di fuoco contro il “solito cagliaricentrismo” in nome del quale la gestione di tre istituzioni culturali cittadine (il Man, la biblioteca Satta e no sciu itta), è passato sotto il diretto controllo della Regione.

È chiaro che qui lo slittamento linguistico gioca un brutto scherzo: la Regione ha sede a Cagliari ma non è Cagliari, come Soddu e gli altri vorrebbero farci credere. Se c’è un posto a Cagliari in cui i cagliaritani sono in minoranza è proprio negli uffici regionali, strapieni (giustamente) di sardi provenienti da tutta l’isola!

È evidente che alla comunità cagliaritana non importa assolutamente niente (e non potrebbe essere diversamente) delle sorti amministrative di tre benemerite istituzioni culturali nuoresi, ma proprio nulla. E infatti la tanto contestata decisione è stata presa su proposta non di un cagliaritano, ma di un nuorese! Guerre di potere tutte barbaricine, dunque: cosa c’entra Cagliari? Nulla! Ma evocare il Cagliaricentrismo funziona sempre.

È chiaro però che così la Sardegna sarà sempre più divisa. Raccontare con leggerezza di una realtà inesistente alla lunga crea distorsioni pericolosissime. Il potere regionale non è nelle mani dei cagliaritani e basta farsi un giro per gli uffici per rendersene conto. Ancor meno cagliaritano è in questo momento il potere politico (comanda Sassari in lungo e in largo).

Ovviamente portare prove certe di questa mia affermazione non servirebbe a nulla, se non a consolidare il pregiudizio di chi vede nel capoluogo (per me capitale) un mostro da abbattere. Però negli ultimi trent’anni la Sardegna ha avuto dieci diversi presidenti della Regione: solo tre sono stati cagliaritani.

Il problema di Cagliari non sono i valori negativi di egoismo e indifferenza nei confronti del resto dell’isola che secondo alcuni incarna ma che è una città, l’unica, insieme a Sassari, in una regione fatta soprattutto di paesi, paesini, villaggi: questo è il punto.

I cagliaritani non sono né sporchi né brutti né cattivi né sono “cagliaritani” (nell’accezione negativa che molti sardi danno a questo aggettivo): sono semplicemente abitanti di una città, portatori dunque di valori diversi (né migliori e né peggiori) di quelli che appartengono a chi vive in un piccolo centro.

Il problema della Sardegna non è dunque Cagliari ma il pervicace rifiuto di parte della nostra classe intellettuale e dirigente nei confronti della cultura urbana, osteggiata come se fosse causa principale del nostro sottosviluppo. La Sardegna avrebbe invece bisogno di più cultura urbana diffusa, non di tanti paesoni senza identità. Il passaggio da uno status all’altro non è facile, e non perché servano risorse ma perché bisognerebbe avere una coscienza di sé che spesso non si ha. Noi siamo (anche) ciò che vogliamo essere, e la Sardegna stenta a riconoscere nella cultura urbana un punto di forza del suo possibile sviluppo.

Amici che vivete oltre le colonne d’Ercole di Monastir, vi do una notizia: il Cagliaricentrismo non esiste. Cagliari non è la causa dello spopolamento dei piccoli paesi, né della povertà dei vostri territori, né della irrilevanza dei vostri politici. Le cause sono da cercare altrove.

Cagliari è semplicemente una città, è l’unica vera città della Sardegna perché i suoi abitanti vengono da tutta l’isola e qui si trovano bene, sono stati accolti, non sono stati giudicati, hanno fatto carriera, hanno messo su casa.

Cagliari è la città dei sardi. Renderla più forte non significa necessariamente sfavorire altri territori o condannarli alla povertà. I centri urbani sono in tutto il mondo il luogo dell’innovazione, della modernità. Il fatto che nella nostra isola ci sia una città vera con duemila e passa anni di storia è una fortuna per tutti, non certo una disgrazia.

Il guaio è che la politica sarda sta diffondendo un’idea distorta di Cagliari, dei suoi abitanti, del suo sistema di potere, e così facendo ci allontana dalla soluzione dei problemi. Ma forse è proprio quello che vuole.

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