Il sardo nella messa, in tutta la messa e in tutte le varianti: presto e bene, presto è bene

cesdi Gianni Loy
Il comunicato del Coordinamento pro su sardu ufitziale mi lascia sconcertato. Dissento profondamente, nei toni e nel contenuto. Soprattutto non mi fa presagire niente di buono per il futuro di questa (nostra?) lingua.
In primo luogo, pensare che la Chiesa debba farsi parte, addirittura in qualità di apripista, di un lungo, profondo e difficile processo di evoluzione della lingua sarda, quale quello in atto, significa essere totalmente fuori dalla realtà. La Chiesa utilizza le lingue, anche per la liturgia, in funzione della loro diffusione e condivisione tra i fedeli. Sino all’altro giorno era addirittura il latino la lingua, a vocazione universale, utilizzata nella liturgia.
Il Concilio Vaticano II ha rivoluzionato il sistema proprio per superare quel distacco che impediva la piena partecipazione ai riti liturgici consentendo l’utilizzo delle lingue locali correntemente utilizzate dai fedeli. La decisione sulla scelta degli idiomi, da utilizzare nella liturgia, in sostanza, attiene alla sensibilità dei vescovi in relazione alla loro funzione pastorale. La Chiesa, o meglio molti dei suoi rappresentanti, hanno sbagliato, una volta, quando si sono prestati ad accompagnare un movimento, culturale e politico, che pretendeva di sradicare l’uso della lingua materna, in Sardegna, per imporre l’uso dell’italiano, la lingua nuova che avrebbe dovuto unificare anche culturalmente il paese dopo averlo unificato politicamente.
Chiedere oggi ai vescovi di prestarsi ad essere strumento della affermazione di una lingua in fieri, significa, mutatis mutandis, proprio ripetere lo stesso errore storico che tanto critichiamo.
Non dobbiamo prenderci in giro! Il “sardo comune” cui fa riferimento il Comitato è costituito da “norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale… che costituisca un punto di mediazione tra le parlate più comuni e diffuse”. - segue -
Ma la “Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II”, Liturgiam authenticam, dell’aprile 2001 condiziona l’utilizzo delle lingue locali nella liturgia, proprio al fatto che si tratti di parlate comuni e diffuse, e non sperimentali. Precisa, addirittura, che non richiede neppure che abbiano una storia ed una letteratura (cosa che il sardo, peraltro, possiede anche in campo liturgico) ma non può prescindere dal fatto che siano effettivamente parlate.
Anzi, a volerla dire tutta, l’Istruzione del 2001, afferma che fuori da questa ipotesi, e quindi per le varianti sperimentali di cui parliamo, l’autorizzazione è “strettamente riservata alla Santa Sede” che la concede “soltanto per speciali circostanze”. Cioè non vi è alcuna possibilità, oggi, che la Chiesa possa accettare di utilizzare per la liturgia una lingua comunque sperimentale .
Chiedete che la Chiesa modifichi la Costituzione Liturgiam authenticam, o la Istruzione del 2001? O chiedete che l’Arcivescovo di Cagliari, si trasformi in pasdaran della Limba Comuna, disobbedisca alla Santa Sede ed issi sul campanile della cattedrale di Casteddu (o Castedhu?) quella “lingua bandiera, strumento per potenziare la idoneità collettiva” di cui parla la delibera regionale regionale del 2006?
Non vi sembri paradossale, sono assolutamente convinto della necessità di giungere ad una lingua comune, ma non credo che l’obiettivo possa essere raggiunto attraverso le scorciatoie, neppure quelle che passerebbero dalle sacrestie. C’è una strada maestra, che è quella politica, ed è su quel terreno che si vince o si perde la battaglia.
Tutto il resto, est vanagloria.
Nei giorni scorsi, l’arcivescovo di Cagliari, un piemontese che, probabilmente, non sa neppure pronunciare la parola cixiri, ha espresso la propria disponibilità, genuina e priva di fronzoli, a riprendere il processo di utilizzo del sardo nella liturgia, secondo i canoni che a noi tutti provengono dalla storia e dalla cultura sarda, nella tradizione liturgica dei secoli passati e giunta sino ad oggi anche nelle pratiche religiose diffusesi negli ultimi anni nella Chiesa sarda (tra cui la S. Messa in sardo – pur priva del canone – in occasione del passato 28 aprile in cattedrale).
Ha ricordato che gran parte delle traduzioni sono già pronte, naturalmente, come sta nella storia e nella tradizione, non dimenticatelo, nella variante logudorese e campidanese, che hanno conosciuto catechismo, liturgia e messa in sardo. Vi ricordo, tra i tanti, l’imponente opera di Antoni Canu, del 1895 “Sa Santa Missa in dialettu sardu”.
Ciò che determina maggiormente il mio dissenso, e mi spaventa, è che di fronte alla possibilità di ottenere, sicuramente ed in tempi rapidi, la possibilità di celebrare la Messa in logudorese e in campidanese, nel filone della storia, voi praticamente affermiate (perché questa sarebbe l’inevitabile alternativa): se la Messa in Sardo non sarà celebrata in Limba Comune meglio niente: mezus nudda!
Si: questo mi spaventa!

Gianni Loy

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