Verso il referendum. Difendiamo i nostri diritti difendendo la nostra Costituzione. Una battaglia che entra necessariamente nella campagna elettorale comunale
Cagliari 2016: una primavera costituzionale?
di Roberto Mirasola*
Il 2015 ha visto protagonista parte della società civile cagliaritana preoccupata dalla brutta piega intrapresa dalla riforma Costituzionale. Ad aprile il fronte associativo democratico ritenendo di dover esprimere il proprio dissenso ha organizzato un convegno dal titolo inequivocabile: “La nuova legge elettorale: libertà o potere assoluto?”. E’ importante sottolineare che tra le associazioni che hanno aderito all’iniziativa vi erano, tra le altre associazioni, l’Anpi e l’Unione Autonoma Partigiani Sardi, consapevoli del momento difficile che stiamo vivendo sul fronte costituzionale. Oggi la nostra Costituzione è sotto attacco, è messo in discussione il principio stesso della rappresentanza istituzionale e speriamo non si vada oltre rivedendo anche le libertà costituzionali, sulla scia di quanto accaduto in Francia.
E’ rincuorante constatare che ci siano persone che danno battaglia e resistono utilizzando gli strumenti a loro consoni, come ad esempio la pubblicazione di articoli nei vari blog, questo al contempo dovrebbe far riflettere sulla totale assenza di luoghi aperti in cui dibattere.
Alcuni intellettuali hanno percepito l’importanza della tornata elettorale delle amministrative di Cagliari 2016 e proprio le loro osservazioni, subiscono pesanti critiche. Critiche, che non entrando nel merito delle osservazioni fatte, lasciano quindi il tempo che trovano, e dimostrano oltremodo la pochezza della classe politica locale.
Tanti sono convinti dell’esistenza di un centro sinistra custode e paladino della Costituzione. Siamo sicuri che esista? Siamo sicuri che in Sardegna e nella roccaforte cagliaritana esistano i paladini della Costituzione? Molti sono altresì convinti che il sindaco, essendo un amministratore, debba occuparsi della normale amministrazione e dunque a lui non spettino le tematiche più squisitamente politiche. Del resto la risposta più frequente in questi anni è stata: “si avete ragione, ma non è di nostra competenza”. Questo vuol dire che possiamo occuparci di lavori pubblici, di piste ciclabili ma sulla Costituzione possiamo anche soprassedere, tanto non abbiamo voce in capitolo. E’ vero che un sindaco non ha competenze in merito, però quanto sarebbe bello se di tanto in tanto prendesse decise e dure posizioni sulle tante istanze presenti oggi nella società Cagliaritana. Non dimentichiamo che il Sindaco giura sulla carta Costituzionale, ha quindi un ruolo non soltanto amministrativo ma anche politico. Se cosi non fosse non si comprenderebbe l’ascesa di Renzi che dalle rive dell’Arno è arrivato a palazzo Chigi senza passare per il Parlamento.
Bisogna però dire a onor del vero, che tali posizioni sono strumentali a chi ha interessi particolari e vuole ancora raccontarci e imbrigliarci nella storiellina del centrosinistra a salvaguardia della Costituzione e del popolo.
A palazzo Bacaredda, si ha ben chiaro il quadro politico. Si sa bene per dove passa la rielezione dell’attuale sindaco.
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Si è consci che il partito della Nazione non può permettersi uno spirito critico che possa solo pensare di discutere il disegno renziano. Avendo piena cognizione di questi ragionamenti, ci si è guardati bene dal discutere l’ordine del giorno presentato in data 21 ottobre 2015 da Sardegna Sovrana nella persona del consigliere Enrico Lobina. In tale ordine del giorno si sollevavano le preoccupazioni relative all’abolizione del Senato elettivo, alla modifica in senso centralista del rapporto Stato-Regioni in barba al sistema delle Autonomie previste dalla carta Costituzionale, l’introduzione della clausola di salvaguardia, ed infine la nuova legge elettorale. Avendo ben chiara la pericolosità del tema proposto si è pensato bene di astenersi, tranne alcune anime sensibili. Ecco questa è la situazione attuale.
Ora qualcuno potrebbe mai pensare che il governo centrale non mostri particolare interesse per le prossime amministrative cagliaritane o ancora che l’amministrazione attuale possa in un sussulto d’orgoglio mettere in discussione l’attuale tracotanza governativa, ma siamo sicuri che al premier Renzi non interessino i risultati delle elezioni comunali di Cagliari 2016 o che l’attuale (per ora) candidato sindaco possa un domani tenere testa a muso duro sulle decisioni calate dall’alto?
Teniamo sempre bene a mente in quali condizioni si trova la Sardegna, e quindi anche Cagliari, interroghiamoci sulle reali condizioni socio-economiche oggi vigenti, e andiamoci a leggere i dati Istat relativi al reddito delle famiglie nonché i tassi di disoccupazione per chiederci se non ci sia bisogno di un cambio di passo. Cambiamento che deve necessariamente introdurre un nuovo modello di sviluppo incentrato sulle energie rinnovabili, sull’industria agroalimentare, sulla tutela della piccola e media impresa, sul turismo, sulla centralità dell’agricoltura, sulla necessità delle bonifiche sui territori martoriati e via dicendo.
L’anno prossimo si presenterà alle urne la coalizione Cagliari Città Capitale che ritiene ci debba essere un patto di buon governo fra le varie forze riformiste oggi rimaste, capaci mettere al centro del loro programma il benessere delle persone.
* su il manifesto sardo.
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Il referendum plebiscito … nel populismo di Renzi
articolo di
Massimo Villone – Il Manifesto 30.12.2015, ripreso il 3 gennaio 2016 da Democraziaoggi
Il Referendum plebiscito è, secondo Renzi, il banco di prova della stagione del populismo referendario… Il premier vanta il «capolavoro parlamentare», celebra l’uomo solo al comando e tace le fragilità di un sistema drogato dal maggioritario. Ne parla in questo editoriale Massimo Villone, autorevole costituzionalista napoletano, giò presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato.
Se Renzi facesse di mestiere il bancario, venderebbe ai risparmiatori ignari i titoli spazzatura che hanno affondato quattro banche, note — grazie a papà Boschi — a tutti gli italiani. Nessuno meglio di lui porge argomenti privi di pregio, mentre tace o occulta censure e rischi. Così è stato per le riforme nel discorso di fine anno. Toni trionfalistici, in specie per l’Italicum, vero «capolavoro parlamentare».
E certo di capolavoro si tratta, se tale è il bavaglio alle opposizioni, l’uso spregiudicato in chiave di dittatura di maggioranza di norme e regolamenti, le ripetute minacce di “tutti a casa” nell’ipotesi di un fallimento, e persino qualche schiaffo alle presidenze delle assemblee, ancorché timide e prone ai voleri governativi.
Cosa è mancato nel discorso del premier? Tutto il resto. Una minima serietà avrebbe richiesto qualche argomento sul dissenso, e in specie sulla censura di evidenti assonanze tra l’Italicum e il sistema dichiarato illegittimo con la sentenza 1/2014 della Corte costituzionale. Ovvero sull’accusa di concentrazione del potere e riduzione degli spazi di democrazia nella Costituzione che si prefigura, o ancora di sinergia perversa con le altre riforme, dalla legge elettorale alla pubblica amministrazione, alla scuola, alla Rai.
Cosa abbiamo, invece? L’annuncio ufficiale di una personale strategia plebiscitaria del premier. Il primo atto sarà nell’ottobre 2016 il referendum sulla revisione della Costituzione. Renzi ci informa che l’oggetto non sarà il contenuto della riforma e la qualità della democrazia che da essa viene, ma la conclusione della sua esperienza politica, e dunque crisi e nuove elezioni in caso di sconfitta. E certo sa che seguiranno nel 2017 altri referendum, abrogativi: scuola, Jobs Act, Italicum. È facile pensare che li veda come una ininterrotta stagione di populismo referendario, utile a consolidare il rapporto plebiscitario tra lui e gli elettori.
È già funzionale a questo l’autocelebrazione: con l’Italicum non finiremo come la Spagna, e saremo in Europa un paese campione per stabilità. Meno male che tra i paesi leader dell’Unione non lo segue proprio nessuno. Se affinità elettiva vediamo, è con qualche giovane democrazia – si fa per dire — dell’Est europeo. Per la Spagna, Renzi non dovrebbe chiedersi quale e quanta instabilità verrà dalla necessità di coalizioni. Piuttosto, la domanda è: quale stabilità verrebbe mai garantita se uno solo dei contendenti fosse stato alloggiato nelle stanze del potere grazie ad artifici elettorali, ad esclusione di tutti gli altri? Come si governa un paese che ha espresso un dissenso largamente maggioritario verso chi occupa pro tempore le poltrone dell’esecutivo?
Questo è il nostro problema con l’Italicum. Un sistema già tripolare – e forse quadripolare, se la sinistra ritroverà identità, coesione, leadership — costretto dall’imbuto del ballottaggio nella semplificazione forzosa dell’uomo e del partito soli al comando. Il punto non è la stabilità, ma la duratura capacità di governo. Che si misura giorno per giorno nei cinque anni che seguono la sera del voto. E non viene da un parlamento non rappresentativo, dall’ascolto estemporaneo, dai blog e mailing list di governo, e ancor meno dalle comparsate televisive.
Con Renzi una novità c’è davvero. Dai partiti a vocazione maggioritaria, un tempo popolarissimi anche presso una certa sinistra, passiamo oggi ai governi a vocazione minoritaria. Governi volutamente minoritari, perché fondati su uno scambio consapevole tra consensi reali che in un modello proporzionale condurrebbero a esiti di coalizione, e numeri parlamentari posticci e gonfiati da artifici maggioritari che non danno legittimazione sostanziale e forza politica a chi governa.
Il totem della vittoria artificialmente certa la sera del voto si accompagna di fatto al fatale declino dei consensi nel corso del mandato. È un lento morire, per le insoddisfazioni inevitabili e cumulative sulle politiche del governo. I sondaggi di popolarità decrescente lo segnalano in ogni paese.
Un tempo, nella prima repubblica dei tanti governicchi, sarebbe stato contrastato con un rimpasto, in un parlamento ampiamente rappresentativo e ad opera di partiti saldamente radicati. Ma oggi è l’assioma di partenza che lo impedisce. Come si fa a cambiare il volto di un esecutivo che si vuole gratificato direttamente dal voto popolare e da un megapremio di maggioranza?
Certo il tema non è a misura di tweet, e quindi sfugge alla dimensione politica del premier. Ma rende plausibile una sua affermazione: che il turno a Palazzo Chigi sarà il suo ultimo mandato pubblico. Riteniamo probabile che gli italiani lo collocheranno a riposo senza onori. Ma dobbiamo evitare – anche con i referendum — che nel frattempo faccia troppi danni. Ed è ferale il dubbio che sia più saggio di lui Berlusconi, che – come Renzi ricorda — si lamentava di dover governare in coalizione, ma poi ha votato contro l’Italicum. Magari alla fine ha capito.
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COMUNE DI CAGLIARI
Ordine del giorno sulla proposta di riforma costituzionale approvata in Senato
Premesso che
• che il Senato della Repubblica, il 13 ottobre 2015, ha approvato con modificazioni, nuovamente in sede di prima deliberazione, il disegno di legge costituzionale d’iniziativa del Governo, già approvato, in sede di prima deliberazione, dal Senato e modificato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2015;
• il ddl introduce importanti riforme istituzionali;
• l’abolizione del Senato elettivo a favore di un Senato rappresentativo delle autonomie locali, così come configurato, rappresenterà proporzionalmente i diversi territori che formano lo Stato, a differenza di altri ordinamenti che, per istituzioni rappresentative quali il Senato, sono costituite in modo differente;
• Il Parlamento, a seguito della sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del “Porcellum” (sistema elettorale), è politicamente delegittimato a discutere di riforme costituzionali di tale natura e portata;
• la presenza di una compagine di governo la cui maggioranza non è stata votata dagli elettori mina la credibilità di una riforma istituzionale che per sua natura è competenza squisitamente parlamentare e non d’iniziativa del governo;
• molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato in parlamento spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo ora al voto finale con una maggioranza e occasionale, che non esisterebbe senza il premio di maggioranza dichiarato illegittimo.
• Il ddl modifica in senso centralista il rapporto Stato-Regioni. In particolare, in tema di “ambiente ed ecosistemi” e “produzione, trasporto e distribuzione nazionali di energia” la competenza ritorna in capo allo Stato centrale;
• Viene inserito, nel ddl, una clausola di sovranità statale estremamente chiara: “su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridico economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”;
• La proposta di riforma non intacca l’art. 81 della Costituzione (pareggio di bilancio), il quale ha mortificato la democrazia in Italia, e strozzato gli enti locali;
Constatato che
• Una lunghissima e nobile tradizione costituzionale, il cui esempio più conosciuto è quello statunitense, prevede che una camera rappresentativa delle realtà locali non venga costituita in base alla popolazione, con un tendenziale, costante e continuo processo che favorisce i territori maggiormente abitati e ricchi, bensì in misura paritaria, così da permettere l’emersione degli interessi delle realtà meno popolate, che spesso sono le più povere.
• L’attuale riforma costituzionale renderebbe completamente ininfluente il peso dei senatori sardi nel nuovo senato, anzi la Sardegna risulta penalizzata rispetto ad altre Regioni speciali;
• L’attuale riforma costituzionale va letta in combinato disposto con la nuova legge elettorale, in quanto pur avendo subito dei correttivi importanti in materia di terzietà ed autonomia sui controlli e del sistema di elezione degli organi di garanzia costituzionale, senza i necessari e opportuni correttivi della legge elettorale trasforma comunque natura, ruolo ed essenza democratica della nostra Repubblica cosi come delineata dai padri costituenti, e la avvicina ad una Repubblica presidenziale;
Tutto ciò premesso e constatato, si considera
• Che la riforma costituzionale cosi concepita tratteggia un diverso assetto dei poteri e della natura della Repubblica democratica fondata sul lavoro e sul sistema delle Autonomie (artt. 1 e 117 Carta) e questo determina esiti nefasti sia per il Regionalismo a partire da quello delle autonomie speciali come quello sardo, e mira rendere sempre meno decisivo il popolo sovrano, fonte unica legittima e legittimante dell’esercizio delegato del potere sia per la Sardegna che per l’Italia;
• Urgente che tutti i Comuni della Sardegna si esprimano sul tema ed in primis il comune Capoluogo di Regione, per il ruolo che ha e che il futuro ordinamento gli assegna
Tutto ciò premesso, constatato e considerato, si impegna:
• Il presidente del Consiglio a far pervenire al presidente della Consiglio regionale, al Presidente della Giunta, al presidente dell’ANCI, al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato l’OdG;
• Il Sindaco ad agire in tutte le sedi opportune per affermare il dettato dell’OdG, e per coinvolgere la cittadinanza sul tema.
Enrico Lobina, consigliere comunale Sardegna Sostenibile e Sovrana (Coalizione Cagliari Città Capitale)
21 ottobre 2015
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