Fermate il mondo: voglio scendere!

Disperaz2

Scelte tragiche
di Nicolò Migheli

Questo è un tempo in cui non c’è tregua per i problemi. Sembra di vivere con la sindrome del colapasta: non si ha né la forza né la possibilità di tappare tutti fori. Tutto ci cade addosso e sembriamo ipnotizzati, incapaci di agire. E’ il risultato del sommarsi di più crisi. Quella internazionale, quella ormai storica della Sardegna ed infine quella di un certo ceto politico incapace di un colpo d’ala. Nel frattempo, l’irrisolto, il procrastinato presentano il conto insieme. E’ quello che sta avvenendo con l’ILVA di Taranto, così come nel Sulcis. Sono entrati in conflitto due valori non negoziabili, da una parte il diritto al lavoro e dall’altra quello della salute della popolazione e dei territori, ponendo chi deve decidere in condizione difficilissima.

In letteratura si definisce Tragic choice, scelta tragica, quando: “nasce dal conflitto tra valori che si affermano in modo assoluto, nel senso che non ammettono compromessi.”(Calabresi – Bobbit 1978) e dove l’efficienza non è più il criterio principale per gli investimenti. Un pendolo che corre tra una soluzione compatibile con certi valori ed incompatibile con altri e viceversa. Mentre prima, le scelte tragiche raramente si presentavano insieme, ora stanno crescendo in dismisura con il rischio che tutto il sistema collassi. Non è solo l’obsolescenza di impianti industriali pensati in tempi di lassismo ambientale in cui il lavoro era unico valore; saranno I cambiamenti climatici, l’invecchiamento demografico e la costante diminuzione dei bilanci pubblici ad imporre ai decisori azioni che non vorrebbero compiere. Gli effetti sull’equilibrio psichico degli attori più sensibili

Festinger li chiama “dissonanza cognitiva.” Scelte che sono in intimo contrasto con le proprie convinzioni. Sembrerebbe un destino immutabile. Il pensiero neoliberista rimuove la decisione tragica, lascia che sia il mercato, che con la sua supposta razionalità operi per il meglio. Il demiurgo però non si cura degli effetti che il proprio agire ha sulle popolazioni e territori, vive con il valore unico del massimo profitto; usa la scelta tragica come arma di ricatto, scaricando le proprie responsabilità sulle collettività, chiedendo finanziamenti continui con il ricatto dei licenziamenti senza andare al nodo del problema. In Italia è condizione quotidiana che la classe politica non è riuscita a contrastare. Nella storia repubblicana, ogni qualvolta si debbono prendere decisioni sgradite si invocano i tecnici, pur sapendo che alla fine non saranno neutrali.

Un anno di governo Monti lo dimostra. Lo si fa perché in questo modo si pensa di poter salvare il proprio consenso elettorale. In realtà agendo così la politica nega se se stessa e la sua responsabilità. Un evidente tradimento della delega. E’ la conseguenza di un orizzonte che si chiude nella sopravvivenza degli attori nelle istituzioni. L’arco di tempo considerato non va mai oltre la legislatura. Non vi è progetto a lungo termine dove si possa agire affinché la scelta tragica non si presenti o venga minimizzata. In questi giorni Monti ha lanciato un allarme sulla futura insostenibilità del sistema sanitario pubblico. Ponendo ancora una volta una scelta tragica tra due valori assoluti, la salute e il bilancio dello stato. Non si conosce realmente il perché di un simile allarme, anche se è intuibile.

Il neo liberismo, di cui Monti è un esponente, vorrebbe uno stato minimo e tutti i servizi essenziali, compresa istruzione e sanità delegate al privato. Nonostante sia dimostrato, che ad esempio negli USA dove la sanità è privata, l’incidenza della spesa è del quindici per cento del Pil, pur lasciando senza assistenza quaranta milioni di cittadini. Il programma Obamacare, è stato messo in essere per questo. In Italia con il sistema pubblico la spesa è del sette per cento del Pil. Monti però si fa forte su di un dato inconfutabile: il progressivo invecchiamento della popolazione che pone l’Italia tra i primi paesi al mondo. Invece di operare con una razionalizzazione della spesa si agisce con il taglio lineare, rendendo così il sistema ulteriormente inefficiente. Il paradosso è che la longevità italiana è frutto di un sistema sanitario efficiente. Quello privato lo garantisce solo a chi può pagarselo. Negli USA, ad esempio, le assicurazioni non coprono tutto.

A chi ha un problema serio come un tumore, le assicurazioni danno solo un ciclo di chemioterapia. Il secondo, se fosse necessario, dovrà pagarselo il paziente e il costo si aggira intorno ai cinquantamila dollari. In Italia siamo giunti a questo perché per decenni è mancata una politica di incentivo alla natalità. In Francia è ben diverso: sistema pubblico pensionistico, dell’ istruzione e della sanità, pur avendo bisogni di razionalizzazione, sono sostenibili perché ci sono molti giovani e il ricambio è garantito. Per la sanità, come per le pensioni, si sa che sono gli anziani quelli che costano, ma se esiste un sistema dove i giovani lavorano, versano i contributi, il sistema rimane in attivo.

Ancora una volta qui da noi ci troviamo davanti al tradimento delle èlite, dove l’impegno politico è sempre più vissuto come soluzione della propria esistenza e non come servizio. A ripeterlo si cade ormai nella retorica banale. Purtroppo è così. Abbiamo solo la speranza che la crisi agisca come collante delle coesione sociale e che anche la politica ritorni ad essere di servizio alla comunità. Tanto ci resta e non è poco.

——-

L’articolo è stato pubblicato su Sardegnademocratica

La nuova titolazione (Fermate il mondo: voglio scendere!) è di Aladin

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>