Governo della Regione. Si può fare di più, molto di più. La Sardegna ne ha bisogno. DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO
Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Vito Biolchini che ha scritto l’articolo che sotto riproduciamo per il sito on line da lui gestito. Nella circostanza ci sembra importante riprendere un intervento di Salvatore Cubeddu e un connesso commento di Benedetto Sechi su Sardegna Soprattutto che sulla proposta di riforma degli enti locali esprimono un punto di vista parzialmente diverso da quello di Biolchini.
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Enti locali, sanità, industria… Ma la giunta Pigliaru quanto può reggere ancora?
di Vito Biolchini, su vitobiolchini.it
Avete visto i giornali di oggi? Io sì; e sinceramente a questo punto mi chiedo quanto ancora possa reggere la giunta Pigliaru. La spaccatura sulla riforma degli enti locali non sembra più essere ricomponibile. Il presidente e l’assessore agli enti locali Cristiano Erriu hanno detto più volte a chiare lettere che non concederanno al nord Sardegna lo status di area metropolitana e questo è il detonatore che rischia di far esplodere la situazione.
Se la crisi che è in corso non fosse seria potremmo anche riderci su. L’intellettualità sassarese in questi mesi ha infatti dato il peggio di sé, mettendo a nudo tutti i suoi limiti di visione e alimentando le inverosimili pretese di una classe politica a dir poco terrorizzata dall’ipotesi di avere sempre meno potere da gestire.
A colpire non è tanto il timore (comprensibile) che l’istituzione dell’area metropolitana cagliaritana possa accentuare gli squilibri interni all’isola, quanto la ridicola pretesa di spiegare, dati alla mano, che il nord Sardegna ha più titoli della zona del capoluogo di vedersi riconoscere “metropoli”. Il risultato è che pessima intellettualità, pessima politica e pessimo giornalismo hanno stretto un patto d’acciaio che ora, per assurdo, sta stritolando una delle giunte più sassaricentriche della storia dell’autonomia.
Sulla riforma degli enti locali (che, a sentire gli esperti, presenta ben altre criticità che non quella provocata dalla creazione dell’area metropolitana di Cagliari) Pigliaru non ha lasciato margini di manovra. Per cui non ci sono storie: o passa così com’è o il presidente è costretto a dimettersi. E io oggi scommetterei più sulla seconda ipotesi.
Anche perché il segretario regionale del Pd Renato Soru non sembra essere in grado di gestire la situazione esplosiva che si sta venendo a creare. La sua capacità di mediare gli interessi (politici) e ricucire gli strappi è notoriamente nulla.
Contro Pigliaru giocano anche altri fattori. Le tensioni scatenatesi intorno alla riforma degli enti locali vanno di pari passo con quelle suscitate dalla riforma della rete ospedaliera, in una vicenda cui l’ipocrisia dei piccoli baronati locali è pari solo al potere di interdizione che questi riescono ad esercitare sulla Regione. Pigliaru però non ha la coscienza pulita: il nuovo buco nei conti della sanità gli impedisce di salire in cattedra e di bacchettare tutti come suo solito.
Enti locali e sanità a parte, tutto il resto è un disastro. E basta leggere i giornali per rendersene conto.
Trasporti: il fallimento del bando sulla destagionalizzazione ha portato Ryanair alla decisione di abbandonare Alghero con gravissime ripercussioni per tutto il sistema.
Lavoro: il progetto Garanzia Giovani si sta rivelando per quello che è: un fallimento annunciato.
Industria: per fortuna (si fa per dire) che alla guida dell’assessorato c’è una sassarese, altrimenti perfino l’Eni sarebbe stata accusata di cagliaricentrismo per la sua decisione (da me più volte auspicata) di abbandonare il progetto della Green Economy.
Energia: Terna progetta di chiudere le centrali sarde, i parlamentari sardi si mobilitano in massa ma la Regione all’incontro col ministero sembra perdere la voce.
Altro? Vogliamo parlare di cultura? Se avete un amico operatore culturale, chiedete a lui che valutazione dà dell’azione di questa giunta.
E l’agricoltura? Come sta andando l’agricoltura?
Insomma, la situazione è questa. Politicamente non molto dissimile da quella vissuta negli anni del centrodestra di Ugo Cappellacci. Anche allora la Sardegna non riusciva (perché non voleva) a far sentire le proprie ragioni al governo italiano. Pigliaru, dopo un anno di apprendistato, ci ha provato ad incanalare il confronto nel giusto binario. Il dossier sull’insularità, presentato lo scorso mese di maggio al presidente del Consiglio Renzi, doveva ricevere una risposta a settembre. Siamo praticamente a dicembre e ancora tutto tace.
Come se non bastasse, quel dossier appare oggi assolutamente insufficiente e inadatto a rappresentare tutte le nostre necessità, giacché le vertenze che dovrebbero essere trattate in un tavolo col governo sono molte di più di quelle indicate da Pigliaru.
Insomma, dal punto di vista politico questa legislatura non ha più molto da dire. C’è solo da capire se riuscirà a trascinarsi fino alla sua scadenza naturale o se cadrà fragorosamente abbattuta dal fuoco amico sul fronte degli enti locali. Il 2016 sarà anno di elezioni: voteremo anche per la Regione? In tal caso la Sardegna arriverebbe all’appuntamento senza uno straccio di progetto, di idea, di nulla, con il Pd a pezzi, la sinistra spaccata, il progetto sovranista mai nato e gli indipendentisti in rotta dopo le ultime regionali.
E questa assenza di progetto è ciò che mi spaventa di più; persino più del ridicolo che ci verrebbe addosso dall’istituzione di un’area metropolitana di Sassari.
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Qualcosa si muove: no alla riforma degli enti locali iniziata dalla Regione sarda [di Salvatore Cubeddu]
By sardegnasoprattutto / 22 novembre 2015/ Società & Politica / One Comment
Venerdì prossimo si riuniranno a Nuoro, per iniziativa del sindaco e del Movimento “Insieme per le Autonomie”, sindaci e amministratori locali della Sardegna (esclusa l’area cagliaritana) per contestare e decidere iniziative di contrasto alla ventilata riforma regionale che, senza nessuna visione strategica del futuro dell’Isola, si adegua al vento italico che muove nella direzione dell’abolizione delle autonomie.
L’ipotesi di procedere comunque all’approvazione di questa riforma, nel mentre va formandosi la città metropolitana a Cagliari, renderebbe vane sia le argomentazioni che le iniziative contrastive promosse negli ultimi mesi ad iniziare da Sassari. La decisione porta a compimento istituzionale il modello di sottosviluppo degli ultimi settant’anni, la concentrazione (funzioni, enti e risorse) burocratica ed amministrativa che accompagna quella demografica, ammassata in una realtà geograficamente estrema, a svantaggio di tutte le altre aree dell’Isola, per la quale si confermerebbe un inarrestabile declino.
Per quale motivo, ci si chiede in tanti, la Sardegna intera dovrebbe difendere e sviluppare le proprie istituzioni autonome se esse giovano ad una sola conurbazione urbana? L’effetto depressivo di una tale ‘sconfitta’ avrebbe delle conseguenze devastanti.A Sassari hanno cominciato col chiedersi:
a) che cosa ci perderebbe Cagliari se anche Sassari diventasse città metropolitana (Mario Segni)?
b) Quello che finora è stato un processo determinato dal sottosviluppo lo si vuol far diventare un progetto: Cagliari città ‘metropoli’ con tutti ai suoi piedi ? (Arturo Parisi).
Ma questo processo non si risolve con la sola creazione di un nuovo polo, come l’eventuale formazione intorno a Sassari della città metropolitana, ma all’interno di considerazioni più vaste e profonde, con l’assegnazione di una funzione alle altre città e considerando principale le questioni dello spopolamento dei paesi e della disoccupazione. Una simile crisi, cui si accompagnasse una situazione di conflitto generale, non può essere descritta perché lontana da ogni immaginazione possibile. La Sardegna verrebbe del tutto ‘invasa’ dagli interessi esterni. “Non siete in grado di governarvi”, concluderebbero, non disinteressati.
Si potrebbe forse prendere tempo con Roma, confermando le quattro province e sperimentando il difficile comporsi dell’unione dei comuni? Perché dovrebbe divenire agevole, e stupire del possibile insuccesso, il mettere insieme i piccoli comuni quando le nostre élites cittadine si fanno la guerra, sia all’interno che tra di loro? Quindi: la Regione non dovrebbe avere e neppure imporre alcuna fretta e, invece, andrebbe avviata un’intelligente pratica di sperimentazione.
La fase che viviamo ha “un rilievo storico”, si afferma giustamente a Sassari. Dopo 37 anni dalla fine della cosiddetta rinascita e della prima autonomia (1978), un Consiglio regionale affaticato, ed un governo regionale dai tratti evidentemente ‘tecnici’, è chiamato ad affrontare il cuore dei problemi che riguardano il futuro della Sardegna: il lavoro dei Sardi tramite le loro risorse, la sopravvivenza della distribuzione del suo popolo in tutto il territorio senza concentrazioni depauperanti, le sedi della permanenza e della continuità della democrazia espresse nelle istituzioni.
Che cosa sta succedendo dunque, e che cosa potrà succedere nei prossimi giorni a livello istituzionale? Ci si riferisce al rapporto con lo Stato, alle relazioni tra i partiti politici, agli effetti sulla pubblica opinione di Cagliari / delle altre città sarde / dei paesi tutti in presenza e in conseguenza della manifestazione che verrà promossa a Cagliari sotto la sede del Consiglio regionale da parte dei consigli comunali di tanti comuni della Sardegna, per protestare contro l’accentramento a Cagliari di tutte o della gran parte delle istituzioni statali e regionali dell’Isola.
L’interesse su queste riforme istituzionali è indotto dalla legge Del Rio e non da vere necessità dei sardi, i quali individuano, invece, come prioritari il problema della disoccupazione e dei possibili inserimenti nei lavori pubblici di migliaia di cassintegrati congiuntamente al destino demografico dei comuni minori dell’Isola. La legge dello Stato costringe, quindi, le istituzioni sarde ad indossare un abito non adatto per il loro fisico e per la loro mente.
Se in piazza, convocati dalle istituzioni locali autoconvocatesi del Nord-Sardegna, fossero presenti da un minimo di 600 consiglieri (la totalità dei presenti in 50 consigli comunali) fino a 4.236 e più (la totalità dei componenti di 353 consigli comunali) non cambierà nulla? Il Consiglio regionale potrà far finta di niente?
In conclusione: se le scelte operate dalla Giunta regionale vanno a provocare divisioni e sconcerto, invece che risolvere i problemi, possono continuare gli atti che minano la nostra evoluzione autonomistica e il nostro progresso economico e civile? In questo caso non rimarrebbe che riempire, da parte della società, il vuoto politico presente che si dimostra ogni giorno più dannoso.
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Benedetto Sechi 23 novembre 2015 at 10:13
… non facciamoci cucire addosso un vestito che ci va stretto. Gli stilisti, i disegnatori stanno a Roma, ma i sarti sono sardi. Per una volta vogliamo dimostrare che siamo capaci di fare riforme che mettono al primo posto la coesione e gli interessi della Sardegna? Ieri un convegno a Sennariolo sullo spopolamento delle zone interne, relatore lo stesso assessore paladino di una riforma che sposterebbe, nell’area del cagliaritano, risorse, sviluppo e, conseguentemente, flussi migratori interni ed esterni, quando si dice la doppiezza. Ma perché non scegliere, come ha fatto il Friuli Venezia Giulia di non fare alcuna area metropolitana? Lo scopo li è di non favorire Udine, invece di Trieste, proponendo, in alternativa, interventi di sviluppo armonico tra tutte le aree, considerando la particolare posizione geografica del FVG. Lo si chieda alla signora Serracchiani, già vice Renzi, il perché? La Sardegna, come la Corsica, non hanno una particolare posizione geografica? Non è necessario essere mosche cocchiere, si può benissimo fare i cavalli di razza, è sufficiente sforzarsi un pochino. Bene quindi la moratoria sulla riforma, si faccia una “Costituente” o la si chiami altrimenti, purché si approdi ad una scelta condivisa che ponga la Sardegna al centro dello sviluppo mediterraneo. Insomma i furbetti locali, che pensano di speculare sul momento confusionale dell’Italia, per tirare la coperta da un lato, debbono essere smascherati, ne va del futuro di questa isola per i prossimi cinquant’anni.
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