La proposta sulle pensioni dell’Inps di Tito Boeri
La proposta Boeri? È quel che ci saremmo aspettati da Renzi
Reddito minimo finanziato dalle pensioni d’oro, flessibilità in uscita, meno privilegi. Così si cambia verso al Paese: perché allora il governo fa le barricate?
di Francesco Cancellato
6 Novembre 2015 – 10:09 su Linkiesta
Una proposta di legge in sedici punti, presentata ieri dall’Inps. O, se vogliamo dirla tutta, dal suo presidente, l’economista Tito Boeri, che da anni manifesta la necessità di cambiare il sistema di previdenza e protezione sociale per renderlo universale, tagliando gli sprechi e i privilegi che si nascondono dietro il paravento dei diritti acquisiti.
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Sorprendentemente, il governo ha alzato le barricate, di fronte a questa proposta. Prima per bocca del ministro del lavoro Poletti, poi di quello dell’interno Alfano. Infine, dalla chiosa del premier Renzi che ha chiuso gioco partita e incontro con un lapidario: «Non toccherò le pensioni di chi guadagna duemila euro». Ok, quello di scambiare una parte per il tutto e di farne l’argomento che chiude la discussione è uno dei giochini retorici preferiti del presidente del Consiglio. Guardiamola bene, però, questa proposta in sedici punti.
Boeri, primo punto, vorrebbe istituire un reddito minimo di 500 euro per gli over 55 senza lavoro, grazie a prelievi da 250 mila pensioni d’oro e da 4 mila vitalizi per cariche elettive. Un brodino, se si pensa che un sostegno universale al reddito, in Italia, manca dal 1992 – anno in cui ci fu richiesto dalla allora Cee. Per coprire il costo di questo “brodino” viene chiesto un sacrificio al 10% dei contribuenti – a quel 10% che ha pensioni ben più alte dei contributi versati, peraltro – e a chi, eletto come rappresentante degli elettori – percepisce un’indennità a vita. Domanda: cosa c’è che non va, in questa proposta?
Boeri vorrebbe istituire un reddito minimo di 500 euro per gli over 55 senza lavoro, grazie a prelievi da 250 mila pensioni d’oro e da 4 mila vitalizi per cariche elettive. Domanda: cosa c’è che non va, in questa proposta?
Seconda proposta: la rimodulazione delle prestazioni assistenziali – pensioni sociali, incrementi rispetto alla pensione minima – a chi è sopra a una determinata soglia secondo i parametri del reddito equivalente, il famigerato Isee con cui qualunque famiglia deve fare i conti quando deve pagare, ad esempio, la retta di un asilo nido. In parole povere: se io, genitore trentenne, devo pagare un servizio, questo è commisurato sulla base di un reddito famigliare che comprende il mio patrimonio, dal conto in banca alle case. Cosa che non avviene, oggi, per un pensionato che magari prende il minimo, ma ha un patrimonio e delle rendite tali da non rendere necessaria un’integrazione. Anche qui, la stessa domanda: dove sta il problema?
Terzo punto: tali integrazioni – alla pensione minima e all’invalidità, ad esempio – vengono tolte a chi risiede in paesi extra Ue: «Si noti – si legge nel documento Inps – che nella panoramica internazionale il nostro paese è l’unico a contribuire a spese assistenziali di altri paesi, pur non essendo dotato di una rete di assistenza di base per chi vive e risiede all’interno dei confini nazionali». 200 milioni di euro, il risparmio garantito da questa piccola norma. E anche in questo caso, non si capisce perché non vada bene. Tranne al pensionato che si sta bevendo un daiquiri su una spiaggia del Guatemala, s’intende.
L’articolo 12 tratta un altro punto cruciale del nostro sistema previdenziale: si pone infatti l’obiettivo di «armonizzare i trattamenti in essere tra generazioni». Lo fa attraverso il ricalcolo delle pensioni che appartengono alle cosiddette “gestioni speciali”, confluite nell’Inps con bilanci in profondo rosso, e con assegni erogati che sono di molto superiori ai contributi versati (qui tutto l’elenco dei privilegi, che Inps ha messo online con l’operazione “Porte Aperte”) E, insieme, attraverso la cosiddetta “flessibilità in uscita”. In altre parole, si tolgono “privilegi acquisiti” per permettere a chi vuole andare in pensione prima, di andarci senza che la pensione gli venga decurtata di più del 10%. In questo modo, si liberano posti di lavoro per i più giovani – magari pure nella pubblica amministrazione, il cui turnover è fermo e la cui età media sta crescendo sempre più – senza che i prepensionamenti gravino sul sistema pensionistico nel suo complesso e quindi sulle pensioni di domani. Anche qui: siamo ciechi noi, che non vediamo nulla di sbagliato?
Se io, genitore trentenne, devo pagare un servizio, questo mi è commisurato sulla base di un reddito famigliare che comprende il mio patrimonio, dal conto in banca alle case. Cosa che non avviene, oggi, per un pensionato che magari prende il minimo, ma ha rendite tali da non rendere necessaria un’integrazione
Rimangono infine l’articolo 14, che unifica le pensioni in un unico assegno, semplificando la vita dei pensionati e all’Inps. Oggi ogni 3 pensionati ci sono 4 pensioni in pagamento. Significa che un contribuente su tre, in media, ha due pensioni, due assegni, due gestioni diverse. Una norma, peraltro, che va a vantaggio di chi ha «la sfortuna di avere contribuito “un giorno di troppo” per poter beneficiare del regime di cumulo delle prestazioni». E, allo stesso tempo «vuole promuovere una maggiore efficienza nell’allocazione del nostro capitale umano». La normativa sul ricongiungimento delle pensioni penalizza infatti i lavoratori più mobili, quelli che presumibilmente avevano cambiato impiego cercando di mettere a frutto i propri talenti e le proprie vocazioni. O, se preferite, chi vive nel mondo in cui il posto fisso non esiste più. Per dirla in una parola, i giovani. Anche qui: cosa c’è che non va?
All’articolo 15 c’è la proposta di far pagare i contributi anche a chi lavora dopo essere andato in pensione: «Non si va in pensione, si prende la pensione», dice il documento di Boeri. E l’articolo 16, armonizza le pensioni dei sindacalisti con distacco (o aspettativa) dal settore pubblico al trattamento riservato agli altri lavoratori. In parole povere, toglie loro un inaccettabile privilegio.
Forse un problema, in effetti, questa proposta di Boeri ce l’ha: è esattamente il tipo di proposta che ci saremmo aspettati da Renzi. Quello che nel 2012 voleva #rottamare le rendite di posizione e nel 2013 voleva #cambiareverso a ciò che non andava. Quello che oggi, a quanto pare, ha cambiato idea.
Il documento con la proposta integrale dell’Inps lo trovate QUILa proposta Boeri? È quel che ci saremmo aspettati da Renzi
Reddito minimo finanziato dalle pensioni d’oro, flessibilità in uscita, meno privilegi. Così si cambia verso al Paese: perché allora il governo fa le barricate?
di Francesco Cancellato
Pierre Teyssot/AFP/Getty Images
6 Novembre 2015 – 10:09
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Una proposta di legge in sedici punti, presentata ieri dall’Inps. O, se vogliamo dirla tutta, dal suo presidente, l’economista Tito Boeri, che da anni manifesta la necessità di cambiare il sistema di previdenza e protezione sociale per renderlo universale, tagliando gli sprechi e i privilegi che si nascondono dietro il paravento dei diritti acquisiti.
Sorprendentemente, il governo ha alzato le barricate, di fronte a questa proposta. Prima per bocca del ministro del lavoro Poletti, poi di quello dell’interno Alfano. Infine, dalla chiosa del premier Renzi che ha chiuso gioco partita e incontro con un lapidario: «Non toccherò le pensioni di chi guadagna duemila euro». Ok, quello di scambiare una parte per il tutto e di farne l’argomento che chiude la discussione è uno dei giochini retorici preferiti del presidente del Consiglio. Guardiamola bene, però, questa proposta in sedici punti.
Boeri, primo punto, vorrebbe istituire un reddito minimo di 500 euro per gli over 55 senza lavoro, grazie a prelievi da 250 mila pensioni d’oro e da 4 mila vitalizi per cariche elettive. Un brodino, se si pensa che un sostegno universale al reddito, in Italia, manca dal 1992 – anno in cui ci fu richiesto dalla allora Cee. Per coprire il costo di questo “brodino” viene chiesto un sacrificio al 10% dei contribuenti – a quel 10% che ha pensioni ben più alte dei contributi versati, peraltro – e a chi, eletto come rappresentante degli elettori – percepisce un’indennità a vita. Domanda: cosa c’è che non va, in questa proposta?
Boeri vorrebbe istituire un reddito minimo di 500 euro per gli over 55 senza lavoro, grazie a prelievi da 250 mila pensioni d’oro e da 4 mila vitalizi per cariche elettive. Domanda: cosa c’è che non va, in questa proposta?
Seconda proposta: la rimodulazione delle prestazioni assistenziali – pensioni sociali, incrementi rispetto alla pensione minima – a chi è sopra a una determinata soglia secondo i parametri del reddito equivalente, il famigerato Isee con cui qualunque famiglia deve fare i conti quando deve pagare, ad esempio, la retta di un asilo nido. In parole povere: se io, genitore trentenne, devo pagare un servizio, questo è commisurato sulla base di un reddito famigliare che comprende il mio patrimonio, dal conto in banca alle case. Cosa che non avviene, oggi, per un pensionato che magari prende il minimo, ma ha un patrimonio e delle rendite tali da non rendere necessaria un’integrazione. Anche qui, la stessa domanda: dove sta il problema?
Terzo punto: tali integrazioni – alla pensione minima e all’invalidità, ad esempio – vengono tolte a chi risiede in paesi extra Ue: «Si noti – si legge nel documento Inps – che nella panoramica internazionale il nostro paese è l’unico a contribuire a spese assistenziali di altri paesi, pur non essendo dotato di una rete di assistenza di base per chi vive e risiede all’interno dei confini nazionali». 200 milioni di euro, il risparmio garantito da questa piccola norma. E anche in questo caso, non si capisce perché non vada bene. Tranne al pensionato che si sta bevendo un daiquiri su una spiaggia del Guatemala, s’intende.
L’articolo 12 tratta un altro punto cruciale del nostro sistema previdenziale: si pone infatti l’obiettivo di «armonizzare i trattamenti in essere tra generazioni». Lo fa attraverso il ricalcolo delle pensioni che appartengono alle cosiddette “gestioni speciali”, confluite nell’Inps con bilanci in profondo rosso, e con assegni erogati che sono di molto superiori ai contributi versati (qui tutto l’elenco dei privilegi, che Inps ha messo online con l’operazione “Porte Aperte”) E, insieme, attraverso la cosiddetta “flessibilità in uscita”. In altre parole, si tolgono “privilegi acquisiti” per permettere a chi vuole andare in pensione prima, di andarci senza che la pensione gli venga decurtata di più del 10%. In questo modo, si liberano posti di lavoro per i più giovani – magari pure nella pubblica amministrazione, il cui turnover è fermo e la cui età media sta crescendo sempre più – senza che i prepensionamenti gravino sul sistema pensionistico nel suo complesso e quindi sulle pensioni di domani. Anche qui: siamo ciechi noi, che non vediamo nulla di sbagliato?
Se io, genitore trentenne, devo pagare un servizio, questo mi è commisurato sulla base di un reddito famigliare che comprende il mio patrimonio, dal conto in banca alle case. Cosa che non avviene, oggi, per un pensionato che magari prende il minimo, ma ha rendite tali da non rendere necessaria un’integrazione
Rimangono infine l’articolo 14, che unifica le pensioni in un unico assegno, semplificando la vita dei pensionati e all’Inps. Oggi ogni 3 pensionati ci sono 4 pensioni in pagamento. Significa che un contribuente su tre, in media, ha due pensioni, due assegni, due gestioni diverse. Una norma, peraltro, che va a vantaggio di chi ha «la sfortuna di avere contribuito “un giorno di troppo” per poter beneficiare del regime di cumulo delle prestazioni». E, allo stesso tempo «vuole promuovere una maggiore efficienza nell’allocazione del nostro capitale umano». La normativa sul ricongiungimento delle pensioni penalizza infatti i lavoratori più mobili, quelli che presumibilmente avevano cambiato impiego cercando di mettere a frutto i propri talenti e le proprie vocazioni. O, se preferite, chi vive nel mondo in cui il posto fisso non esiste più. Per dirla in una parola, i giovani. Anche qui: cosa c’è che non va?
All’articolo 15 c’è la proposta di far pagare i contributi anche a chi lavora dopo essere andato in pensione: «Non si va in pensione, si prende la pensione», dice il documento di Boeri. E l’articolo 16, armonizza le pensioni dei sindacalisti con distacco (o aspettativa) dal settore pubblico al trattamento riservato agli altri lavoratori. In parole povere, toglie loro un inaccettabile privilegio.
Forse un problema, in effetti, questa proposta di Boeri ce l’ha: è esattamente il tipo di proposta che ci saremmo aspettati da Renzi. Quello che nel 2012 voleva #rottamare le rendite di posizione e nel 2013 voleva #cambiareverso a ciò che non andava. Quello che oggi, a quanto pare, ha cambiato idea.
Il documento con la proposta integrale dell’Inps lo trovate QUI
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