Il presente ha un cuore antico. Vale anche per Cagliari
Una rivoluzione urbana per Cagliari*
di Francesco Cocco
Credo siano maturi i tempi per pensare realisticamente ad un programma che miri a rendere il capoluogo sardo una città più efficiente, ordinata e civile. E’ questo un obiettivo al quale pensare in una prospettiva non campanilistica perché riguarda tutta l’Isola.
Per comprendere su quali linee occorre muoversi, bisogna risalire alla città a cavallo tra ottocento e novecento, quando si attua una vera rivoluzione antropologica. Nasce una borghesia mercantile ed industriale. E’ la Cagliari di Salvatore Rossi, impegnato negli interventi edilizi, in un embrionale industria tessile e nella fondazione di istituti di credito. E’ la Cagliari dove s’impiantano le prime aziende metallurgiche: le fonderie dei Chicca-Savolini, dei Doglio che consentono di soddisfare ampiamente il mercato sardo. In questo periodo nasce l’industria molitoria con la filiera dei pastifici che producono sia per il mercato isolano che per l’esportazione. Sono le industrie molitorie dei Merello, dei Costa, dei Fagioli.
La borghesia a cavallo tra Ottocento e Novecento si era posta il problema del ruolo della città proiettata verso l’Africa con una forte presenza sarda in Tunisia ed Algeria. E’ significativo che a Cagliari, agli inizi del Novecento, si pubblichi un periodico in lingua araba. Anche la forma urbana della città è nelle preoccupazioni della borghesia cagliaritana. Ottone Bacaredda, al di là di certa vulgata che schematicamente lo pone su posizioni antipopolari, proietta la città verso il mare (nuovo municipio), le dà decoro urbano (la Cagliari monumentale del centro storico), pensa a soluzioni allora avveniristiche (il tunnel sotto Castello).
I moti del maggio 1906 sono il fatto storico che, accanto al conquistato ruolo mercantile ed industriale, sanziona la funzione-guida della città agli inizi del Novecento. Essa è diventata un centro urbano con una significativa presenza operaia, soprattutto nel settore metalmeccanico con oltre 500 addetti. Al censimento del 1911, oltre il 25% della popolazione attiva risulta addetto ad attività industriali. Stiamo parlando di una popolazione complessiva di 40.000 abitanti.
Nel Secondo dopoguerra muta profondamente lo spirito della borghesia cagliaritana. Sbaglieremmo a pensare semplicisticamente che il degrado della classe economica e politica cagliaritana cambi per un fatto meramente di ordine politico e culturale. Certo c’è anche questo, ma soprattutto agisce il nascere della grande industria che azzera lentamente i possibili e talvolta floridi mercati regionali. - segue -
Le nuove strutture produttive appartengono a poteri pubblici o a soggetti privati forti ( Rovelli, Moratti, ENI, tanto per citarne alcuni) che sono estranei alla città ed introducono elementi di dominio esterno e quindi di oggettivo corrompimento. Si pensi a quanto a suo tempo agì in negativo sulle istituzioni autonomistiche la presenza nel panorama sardo di Nino Rovelli. L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna erano sotto il suo diretto controllo.
Tutto questo non faceva che accentuare la crisi della città iniziata alla fine degli anni Quaranta. Una crisi collegata alla perdita del vecchio ruolo. Quando poi la città divenne il capoluogo amministrativo della regione, questo fatto finì per accentuare l’avversione di non piccola parte dei Sardi verso la nuova sede di un potere sempre più costruito con logiche centralistiche, su cui è andato modellandosi l’apparato amministrativo regionale.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra, si sviluppò nella Consulta regionale un appassionato dibattito su quale città dovesse essere il “nuovo capoluogo della Regione”. Oggi si parla molto di frequente di “Cagliari capitale”. Qualcuno con molta fantasia ma poco senso della realtà lancia lo slogan “Cagliari capitale del Mediterraneo”. Qualche altro, prendendo atto che nel Mediterraneo ci sono capitali vere ed altre in grado di esercitare un tale ruolo, parla di “una delle tante capitali” del Mediterraneo.
Essere capitale vuol dire esercitare un ruolo che sappia guardare oltre i propri orizzonti territoriali. Cagliari potrà essere una capitale nel Mediterraneo se saprà esercitare funzioni che vanno oltre i propri confini strettamente regionali. Se saprà guardare davanti a sé.
Cagliari ha esercitato nei secoli passati un ruolo mediterraneo in funzione militare. Si tratta di rovesciare il rapporto, e di darle una nuova funzione mediterranea facendone un baluardo di pace. Quindi da baluardo di guerra a baluardo di pace.
Dobbiamo aver chiaro che un tale ruolo appartiene non solo alla città ma più complessivamente alla regione nella sua totalità. In tale ottica Cagliari si pone come capitale in quanto strumento di più ampie potenzialità regionali. A mo’ d’esempio indico possibili linee d’intervento.
- 1) Viene naturale pensare ad una città con una vocazione mediterranea nell’organizzazione degli studi. Non sono mancati in passato interventi con un tale respiro. In tale ottica era la partecipazione regionale al “Collegio dei mondi uniti” con una borsa di studio finalizzata all’acquisizione di specifiche esperienze.
- 2) Si pensi a quanto in prospettiva può venirci dall’emigrazione nord-africana, ed in particolare magrebina, per la creazione di un tessuto di comuni intraprese economiche.
- 3) Vi sono poi le potenzialità di una politica dei trasporti per ben finalizzate linee aeree e navali. La città è il naturale approdo delle autostrade del mare che collegheranno l’Africa Occidentale a Genova, a Marsiglia, a Tolone.
- 4) Cagliari ha ormai le tecnologie per porsi come snodo di sistemi di collegamento informatico tra Europa e Africa del Nord. Di qui anche un aumento delle possibilità per divenire sede di una banca del Mediterraneo occidentale.
Sono spunti di un progetto programmatico. Per approfondirlo e dargli gambe, che consentano di marciare nella dialettica politica ed istituzionale, occorre che la politica riprenda a pensare con quella progettualità che l’ha caratterizzata in passato.
Alla fine degli anni ‘80 era all’attenzione il progetto per la creazione dell’area metropolitana. Non è andato avanti per il neo-centralismo delle forze di governo della amministrazione civica. Questo ha impedito di mettere insieme tutte le potenzialità dell’area urbana e non ha salvaguardato i valori delle singole municipalità. Esse possono concorrere, ciascuna con la propria identità, a creare un ricco e variegato soggetto non solo amministrativo ma più complessivamente storico-culturale.
Cagliari non può marciare staccata dal complessivo contesto regionale. Di qui la necessità di un rinnovato rapporto col territorio isolano. Dobbiamo comprendere che l’impegno per il ruolo di Cagliari s’identifica con la battaglia per la funzione complessiva della Sardegna. Ed è battaglia che non può essere combattuta da gruppi ristretti, e meno ancora da singoli protagonisti della vita politica ed istituzionale. Occorre ritrovare il senso della coralità dell’impegno politico e sociale, nella convinzione che la salvezza non viene da singole personalità ma da un’ampia partecipazione di popolo.
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* Nonostante datato (una prima versione è stata pubblicata su Democraziaoggi il 23 maggio 2011), l’articolo mantiene intatta la propria validità
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