Urbi ed Orbi
- Un marziano a Roma.
- Il Sindaco giubilato. Norma Rangeri su il manifesto .
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giorni.
- Ferrovie in Sardegna fra realtà, selfie e propaganda. Red su Democraziaoggi, 9 Ottobre 2015
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Il Sindaco giubilato
di Norma Rangeri
il manifesto, edizione del 9.10.2015
A Roma i marziani durano poco. E questa volta non serve la fantasia di Flaiano per capire cosa accadrà. Alla fine, come nel celebre racconto, l’extraterrestre dovrà tornare a casa, e magari a pensare alla salute. Il sindaco marziano, diversamente dal personaggio letterario accolto con curiosità e simpatia, è rimasto subito sullo stomaco a larga parte del Pd. Non a caso è stato il suo stesso partito a dimissionarlo, con la “mozione di sfiducia” dei tre assessori indicati dal presidente del consiglio, Renzi. La pressione è stata fortissima, e Marino ieri si è dovuto arrendere, lasciando la guida del Campidoglio. Chissà se gli è venuta in mente la famosa battuta recitata da Vittorio Gassman: «M’hanno rimasto solo…».
Si possono mettere in fila le continue gaffes e le bucce di banana — ultima la più fastidiosa: gli scontrini — che hanno offerto l’ex sindaco come una ciliegina sulla torta al vasto schieramento che aveva iniziato a cucinarlo a fuoco lento da tempo.
Basta rivedere lo “spettacolo” offerto da Roma negli ultimi anni: da una parte i poteri economici e politici (ammesso che una tale distinzione abbia ancora senso), dall’altro un personaggio un po’ narciso, maldestro. Perché è indubbio che il sindaco Marino ci abbia messo del suo fin dall’inizio, quando 28 mesi fa osò sfidare l’apparato del Pd romano, quello di mafia capitale. Perciò dovrebbero vergognarsi un po’ le persone e le forze politiche che mettono Marino nel calderone del più grande scandalo avvenuto a Roma negli ultimi anni. E dovrebbero riflettere anche tutti quelli che ieri sera festeggiavano l’annuncio delle dimissioni.
Va ricordato che alle primarie vinse contro i candidati ufficiali del partito, Paolo Gentiloni e Davide Sassoli, annunciando il programma («Ora dobbiamo liberare il Campidoglio da una politica oscura»). Ereditava infatti una città affogata nei debiti e ridotta a succursale di mafie, malaffare, corruzione.
E così iniziava la sua battaglia colpendo personaggi e lobby che i suoi predecessori neppure osavano nominare. Chiude la discarica di Malagrotta mettendo i fari addosso al business dei rifiuti; mette mano allo snodo urbanistico dei Fori Imperiali scontrandosi con la potente lobby dei commercianti; sbaracca il gotha dell’Acea, l’azienda di gestione delle risorse idriche e dell’energia, pestando i piedi a imprenditori e finanzieri; rimette in discussione tutta la gestione dell’Atac. Solo per ricordare le più importanti questioni, senza citare quelle meno appariscenti come togliere il monopolio alla potente famiglia di Tredicine, monopolisti degli ambulanti in tutto il centro storico, contrastare l’abusivismo commerciale…
Tutto prima che scoppiasse il bubbone di mafia-Capitale, e siccome nessuno è profeta in patria il sindaco ci guadagnò una dura campagna mediatica dei grandi gruppi editoriali della città.
La verità è che Marino era stato dimesso a mezzo stampa già da tempo, molto prima delle vicende degli scontrini (più che spese pazze, spese confuse), usati per fargli pagare il conto non del ristorante ma dei grandi affari in cui ha messo il naso.
Oltretutto l’ex sindaco non solo si è mosso con la delicatezza di un elefante nei palazzi romani, perché non ha avuto riguardi nemmeno per i sacri portoni vaticani. Lo avevano appena incoronato che già si pronunciava a favore della fecondazione assistita (eterologa per giunta), che già allestiva cerimonie ufficiali e in pompa magna per le coppie gay, mettendosi in prima fila al gay-Pride.
Un vero marziano nella città Santa.
Non stupisce la vita difficile della sua giunta, rimpastata più volte e sempre sull’orlo di una crisi di governo. Con il partito di riferimento spianato dalle inchieste giudiziarie, con una destra pronta a sventolare le bandiere nere sul Campidoglio, con un’opposizione a 5Stelle presente nelle periferie.
L’anomala avventura portava dentro di sé il virus di una fine prematura.
Adesso la città viene consegnata a prefetti e commissari per la prossima manna del Giubileo. I tecnici prenderanno il governo della capitale, distribuiranno pani e pesci, cercheranno di riavvicinare le due sponde del Tevere per preparare il terreno alle elezioni di primavera. Magari per il candidato del partito della nazione. Un esito, tuttavia, assai improbabile.
Perché questo non è solo il caso Marino: è la crisi di un partito romano profondamente inquinato e logorato.
(urbi et orbi)
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Ferrovie in Sardegna fra realtà, selfie e propaganda
Red su Democraziaoggi
In un articolo del marzo scorso su il Fatto quotidiano Paola Saliani, giurista, esperta di tecnica legislativa, si occupa dello stato delle ferrovie in Sardegna e traccia un quadro a dir poco desolante. Sentite cosa dice.
“L’indice infrastrutturale delle ferrovie in Sardegna è in assoluto il più basso in Italia. Una situazione grave e deficitaria di cui si parla da anni alla quale si risponde con l’assurda decisione di escludere, di fatto, la Sardegna dagli investimenti previsti dal nuovo Contratto di Programma Rfi/Ministero sul trasporto ferroviario.
Proprio così, perché l’ultimo decreto ministeriale di approvazione del contratto 2012-2016 – Parte investimenti sottoscritto tra la Società Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) Spa e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti assegna risorse pressoché nulle per sviluppare e innalzare i livelli di sicurezza delle reti sarde.
Eppure il portafoglio investimenti affidati a Rfi è ben ricco e può contare sulla bellezza di 235 miliardi e 475 milioni di euro complessivi: una montagna di soldi la cui la Sardegna è stata fatta fuori in modo scandaloso.
Le spiegazioni fornite dal rappresentante del governo in Parlamento sulla vicenda – che ha ovviamente scatenato l’ira di tutti i parlamentari sardi – non sono neanche commentabili ove si tenga a mente che, proprio in forza del contratto citato, la Sardegna presenta un fabbisogno accertato per investimenti di oltre 700 milioni di euro a fronte dei quali non è previsto alcun effettivo stanziamento di risorse.
Ci sono solo 27 milioni di euro per la velocizzazione della linea Oristano-Sassari-Olbia che, con tutta evidenza, non sono niente rispetto a quanto si poteva fare: il nulla del nulla se si pensa che, solo per la realizzazione del Tav (Nuova Linea Torino Lione), sono stati previsti più di 5 miliardi e mezzo di investimenti (5.676 milioni di euro per l’esattezza), di cui 854 milioni di euro per studi e indagini geognostiche e 4.822 milioni per la realizzazione dell’opera.
Vero che l’alta velocità costa tantissimo, vero che il Tav fa parte delle opere strategiche e della Reti di trasporto transeuropee, ma per fare studi e indagini su quest’opera, in termini assoluti, il nostro Paese spenderà molto di più di ciò che serve per rilanciare il trasporto ferroviario di un’intera Regione, con l’aggravante che quel che occorre neppure si vede. Può sembrare assurdo, ma questa è la realtà. Il sogno di un progetto più forte dei bisogni di mobilità di un milione e 662 mila persone.
Come il governo abbia permesso una cosa del genere non si comprende e non si può dire che l’allarme non sia stato lanciato da istituzioni regionali e nazionali.
Il Parlamento è pieno di atti depositati che parlano, da tempo, delle criticità infrastrutturali della Sardegna, oltre che di altri problemi relativi alla crisi economica e occupazionale di questa Regione. Perché la Sardegna, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Inps e dall’Istat, conta circa 350.000 persone al di sotto della soglia di povertà relativa, 138.588 pensionati in situazione di povertà, 119.000 disoccupati, 130.000 sfiduciati e circa 16.000 lavoratori in mobilità.
Rispetto a questo quadro, dove non è garantito neanche il minimo indispensabile per migliorare la mobilità e la qualità della vita degli studenti e dei lavoratori dell’isola, il governo dovrebbe prendersi al più presto delle serie responsabilità affinché il nuovo piano di investimento della rete ferroviaria italiana possa essere modificato incrementando le risorse da destinare alla Sardegna”.
Fin qui l’articolo di Paola Saliani. Vien da chiedersi, in presenza di tutto questo, come sia stato possibile acquistare dei treni veloci, senza avere una rete che ne consenta l’impiego o che permetta lo sviluppo delle loro potenzialità. E ancor più, come è possibile che i professori Pigliaru e Deiana si siano fatti un selfie sul treno veloce, ingenerando la convinzione di uno scatto imminente dei collegamenti ferroviari nell’isola, che invece, a tutto voler concedere, si potrà avere, fra anni, rinnovando radicalmente la rete? Sconcerta vedere uomini di scienza, votati alla verità, scadere nella propaganda tipica dei politici di piccolo cabotaggio. Allo stesso modo sconcerta sentirli dire che il problema della continuità territoriale non esiste: “c’è solo un problema nel sistema telematico del prenotazioni”, parola di Deiana. Che bello! Un problemino di facile soluzione. Grazie assessore!
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