Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (9)


ape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il nono raccontino (per la cronaca 2° classificato), dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21, il sesto del 23, il settimo del 24, l’ottavo del 25.
savendrace2Giuseppe Pau
Rione Sant’Avendrace: come sei cambiato
(Ricordi nella mente di un bambino)
“Rosa de nomini, rosa de bellesa”. Questo dicevano gli adulti del paese, uomini e donne, ed era tutto ciò che sapeva di sua madre. Non poteva ricordarla, Luiginu, era rimasto orfano della mamma quando aveva solo due anni. Non aveva superato gli stenti e sofferenze nell’allevare il piccolo senza avere notizie del marito che era stato inviato al fronte nella Grande Guerra. Il padre, reduce, apparentemente burbero, quel tanto che bastava a dargli la dignità del potere patriarcale, si era risposato.
La seconda moglie gli diede due figli: Francesco e Ignazio, poi rimase di nuovo vedovo. Tre figli da accudire, parcheggiati temporaneamente da parenti pieni di compassione, serviva una donna in casa e dopo poco si risposò ancora. Una donna di grande cuore che si accollava la cura di un vedovo e di tre figli non suoi. Poi nacquero altri figli. Luiginu, il più grande, all’età di sei anni non lo mandarono a scuola ma fu avviato a fare l’aiuto servo pastore in cambio di un po’ di latte che serviva per i fratelli più piccoli. A fine anno, se si fosse comportato bene, avrebbe avuto in dono un agnellino a scelta: femmina se intendeva preservarlo, unito alle altre pecore, per la creazione futura di un piccolo gregge in proprio, oppure maschio se destinato al sacrificio per allietare la tavola delle feste natalizie. La scelta cadeva sempre sulla seconda soluzione. – segue -
Per Luiginu le giornate erano tutte uguali. Un pezzo di civraxiu, una giacca da adulto che gli faceva quasi da cappotto, un ombrellaccio dalle stecche squinternate
e via in campagna a pascolar le pecore fino a sera quando le riportava all’ovile. A casa, una minestra per cena e un giaciglio per riposare le membra stanche. Il giorno dopo si ricominciava. Ovile, campagna, ovile, casa. Ogni giorno, sole, pioggia, vento, freddo, a custodir le pecore, a sorvegliare che qualcuna non si disperdesse o entrasse nei terreni padronali a danneggiare colture private. Intanto Luiginu cresceva e continuava il suo lavoro che ormai era diventato una piccola risorsa indispensabile per la famiglia: il poco aiuta, il niente storpia.
Da quelle colline il suo sguardo spaziava per tutto l’orizzonte ma soprattutto verso la città, Cagliari, della quale, nelle giornate limpide, poteva distinguere bene i contorni delle torri e dei palazzi alti. Pure il pensiero spaziava e fantasticava sulla vita che poteva svolgersi nella città, sicuramente ben diversa dalla sua misera, triste e monotona esistenza.
Il padre, bracciante agricolo, all’occasione zappatore, mietitore, vendemmiatore e quant’altro poteva servire nel lavoro dei campi. Il sabato sera e la domenica mattina
trasformava la stanza d’ingresso della casa in bottega da barbiere, ove i compaesani venivano per il taglio dei capelli e della barba. Il lavoro poteva fruttare qualche centesimo ma più spesso un po’ di ceci, fagioli o lenticchie da cucinare per il sostentamento della famiglia. Per imposizione del padre anche Luiginu, ormai
ragazzetto, doveva sottoporsi periodicamente all’opera paterna del taglio dei capelli.
Nei mesi caldi, malgrado il suo disappunto, si trattava sempre di un taglio radicale che, a parere del genitore, gli sarebbe servito per rinforzare il bulbo e favorirne la crescita. Lui soffriva a vedersi deturpato della chioma ma non poteva osare a contestare il volere del padre-padrone.
Aveva imparato a mungere, a lavorare il latte per la produzione della ricotta e dei formaggi, ad assistere le pecore nel momento della nascita degli agnelli, a riconoscere le erbe mangerecce per l’uomo da accompagnare al pane durante la giornata e tanto altro ancora della cultura pastorale ma nei giorni di solitudine nella campagna tra i belati delle pecore e l’abbaiar dei due cani che accompagnavano il gregge, la mente sveglia del ragazzetto pensava a cosa sarebbe stata la sua vita futura in quel contesto. Piano, piano, maturava l’idea della ribellione e quindi del cambiamento.
Volgeva ancora il suo sguardo verso la città, lontana ma non troppo, e lì la vita avrebbe potuto dargli ben altre possibilità. Non sapeva ancora quali ma sicuramente
sarebbero state diverse dalla monotonia e dalle sofferenze sin qui vissute e sopportate in continuo conflitto tra rassegnazione e ribellione.
Una mattina di febbraio la grande decisione. Mancava qualche mese al compimento dei quattordici anni e lo attendeva ancora una giornata al freddo con le pecore
ed il solito mezzo civraxiu nella sacchetta.
Nella notte ne parlò solo con Francesco, suo fratello, e di buon mattino, ancora buio, si avviò a piedi verso l’agognata meta. Non prese neppure il pane, era necessario
per i fratelli, era certo che avrebbe trovato qualcosa da mangiare all’arrivo in città.
A Francesco cedeva pure il suo letto perché questi finora aveva dormito in un giaciglio, sa stoja, insieme a Ignazio, l’altro fratello.
Non poteva calcolare quante ore erano trascorse in cammino verso la meta, forse quattro, forse più ma era ormai mattino inoltrato quando sorpassata la fila dei carri
in attesa di superare il casello daziario posto alla confluenza delle due strade statali, si sentì finalmente arrivato nella città, intirizzito, affamato e con tutti i suoi problemi e le sue aspirazioni. Da dove iniziare? Cominciò a vagare per le stradine del rione di S. Avendrace in cerca di qualcosa senza sapere ancora cosa. Saranno stati il tepore ed il profumo di pane caldo che uscivano dalla porta a convincerlo ad entrare in una panetteria per chiedere se avevano bisogno di un lavorante. Il titolare della ditta, Sig. Dessalvi, lo scrutò e capì subito di avere di fronte un ragazzino diverso dai soliti piccioccheddus in cerca di un pezzo di pane e lo intervistò. Come ti chiami, da dove vieni, cosa hai fatto finora e cosa vuoi fare. “Voglio imparare un mestiere e lavorare” fu la risposta all’ultima domanda. Intanto gli aveva dato un panino caldo che il ragazzino, timoroso, malgrado la fame lo teneva in mano e stentava a portarlo alla bocca. “Mangia”, gli disse il buon Dessalvi che vedeva in questo sparuto ragazzino affamato, scarno ma fisicamente forte, un po’ della sua trascorsa infanzia.
Gli serviva un ragazzo per aiutare nei lavori della panetteria e, all’occorrenza, per le consegne del pane alle botteghe e al domicilio dei signori. Luiginu trovò quindi subito un lavoro ed anche un alloggio provvisorio perché il titolare gli permise di dormire all’interno della panetteria così che all’inizio della lavorazione per la produzione del pane, alle due/tre della notte, sarebbe stato già sul posto di lavoro.
Provvedeva a tenere puliti i locali, la madia e il bancone di lavoro, preparava le fascine per l’accensione del forno a legna, portava l’acqua, il lievito ed il sale per l’impasto ed intanto osservava, imparava e memorizzava. La professione gli piaceva, aveva tante variabili specialistiche: saper riconoscere quando la pasta era ben lievitata, quando il forno aveva raggiunto la giusta temperatura per poter infornare e giudicare quando il pane era cotto per poter essere sfornato. E poi, soprattutto, Si stava in compagnia di altre persone e in un ambiente caldo. I locali della panetteria erano dotati pure di un piccolo vano doccia con l’acqua proveniente dai serbatoi opportunamente sistemati sulle fiancate del forno per cui si manteneva calda.
A Luigino non mancava l’occasione di usufruirne per una bella doccia ristorastrice.
Le giornate erano ben diverse da quelle trascorse in solitudine ed al freddo a custodire le pecore.
La sera poteva godere di qualche ora di libertà e incominciò ad esplorare prima i dintorni nel rione di Sant’Avendrace, poi, un po’ per volta le altre parti della città.
La nuova vita gli piaceva e decise che lì sarebbe stato il suo futuro.
Il sig. Dessalvi e la moglie Signora Sabina non avevano figli e lo presero a ben volere: il ragazzino era pulito, rispettoso ed ubbidiente per cui, spesso, lo facevano venire in casa con la scusa di qualche lavoretto da fare e lo trattenevano per mangiare insieme a loro e Gino (così avevano deciso di chiamarlo) accettava volentieri anche se, in cuor suo, preferiva la propria indipendenza e pensava di dover fare, a breve, una capatina in paese per dare sue notizie ai familiari e comunicare il suo nuovo status sociale.
Prima però doveva procurarsi un paio di scarpe e indumenti nuovi: un pantalone, una camicia una giacca. Signora Sabina lo aiutò in questo e così, una domenica mattina,
finito presto il lavoro, si preparò per il rientro in paese e la visita in famiglia.
Stavolta fece il viaggio con il treno ed effettuò a piedi solo quei pochi chilometri
che separavano il suo paese d’origine dalla stazioncina delle ferrovie. Fu un evento!
Si presentò vestito come un ‘signorino’ e venne accolto come il figliol prodigo.
Tutti in famiglia si dettero da fare per preparare qualcosa di speciale per il pranzo, ma qualcosa l’aveva portata anche Luiginu. Una cosa fra tutte, oltre ad un pacco di pasticceria della città, aveva portato e consegnato a mamma Natalia una busta di
michette, soffici pagnottelle di farina bianca che erano il vanto della produzione del Panificio “Dessalvi”.
Quando tutto fu pronto ci si sedette a tavola e mentre si mangiava continuavano
le domande dei familiari. Luigi rispondeva compito e sicuro di sé sotto lo sguardo
del padre che pur volendosi dimostrare severo lasciava trasparire una intima ed orgogliosa
soddisfazione nel vedere il proprio primogenito crescere ma soprattutto capace di saper affrontare in piena autonomia decisionale le problematiche della
vita. La sera Luigi ripartì per Cagliari con la promessa che sarebbe ritornato presto.
Aveva anche lasciato per le esigenze di casa un po’ di soldi, frutto dei suoi primi guadagni, e di questo ne era pienamente soddisfatto.
Aveva preso l’abitudine di tornare periodicamente in paese e tutte le volte portava sempre qualcosa di utile per la famiglia. Intimamente si sentiva particolarmente legato ai primi due fratelli che sebbene generati da madre diversa, li aveva uniti, in
modo quasi morboso, la sofferenza patita insieme nei primi anni dell’infanzia. Tutto
ciò che Luigino faceva lo faceva anche per loro.
Il suo grande cruccio: non saper né leggere né scrivere per cui il buon Dessalvi
ma in particolar modo la signora Sabina, lo aiutarono anche in questo. Ed ecco che
Gino imparò presto a leggere e cominciò a scarabocchiare qualcosa.
Luigi cresceva e aveva ormai imparato il mestiere per cui era in grado, ogni volta
che ce n’era la necessità, di sostituire sia l’impastatore sia il fornaio. Gli era stata riconosciuta
la qualifica ed aveva ottenuto il libretto sanitario necessario per poter esercitare ufficialmente la professione di panettiere in qualsiasi panificio.
Intanto, sempre nella zona di S. Avendrace, aveva adocchiato una ragazzina di poco più giovane di lui, biondina, delicata, dall’aria continentale, che rientrava nei
canoni del suo ideale di donna e se ne era innamorato. Con l’aiuto di una persona preposta per tali incombenze, le fece avere la dichiarazione scritta, come si usava
allora. La ragazza non era rimasta indifferente agli sguardi ed ai timidi segnali di apprezzamento lanciati da questo giovanotto sempre in ordine e a posto per cui ne
parlò subito in casa. Dopo le informazioni di rito espletate da parte della famiglia di lei sulla serietà delle intenzioni del giovane e l’accettazione, un poco impacciata, da parte della ragazza, poteva considerarsi fidanzato e aveva l’autorizzazione di andarla
a trovare in casa dei genitori, brava gente e buoni lavoratori.
Arrivò il tempo del servizio militare e Luigino, giudicato idoneo, dopo una breve
istruzione di addestramento alle armi, considerate le sue peculiarità lavorative, fu
destinato ad espletare il periodo di leva nel Panificio Militare ubicato nel viale Buon
Cammino ove si producevano le pagnotte destinate alle varie caserme dislocate nelle periferie della città.
Terminato il servizio militare Luigi tornò a lavorare nella panetteria e, ormai professionalmente
apprezzato, si sentiva pronto per il matrimonio. Si dette da fare per
mettere su casa, due stanze e cucina in affitto e lo stretto indispensabile dei mobili
acquistati con pagamento rateale. La ragazzina con la quale si era fidanzato divenne
finalmente sua moglie ed ebbero presto due figli: un maschietto al quale diede il
nome dello zio materno che lo aveva accolto in casa quando era nimasto orfano e,
dopo poco più di due anni, una bambina che volle chiamare come la mamma che
non aveva avuto la fortuna di conoscere.
I viaggi in paese continuavano saltuariamente, soprattutto in occasione delle festività
religiose più importanti. Luigi era orgoglioso della propria famiglia e la parentela
ed i compaesani si complimentavano con lui per il suo Lavoro, per la bella
moglie e i due splendidi bambini.
Iniziò la seconda Guerra Mondiale e ci fu il richiamo alle armi per tutti gli uomini fisicamente validi.
Il fratello Francesco, non sposato, fu destinato alla Campagna di Grecia mentre Luigi
fu dislocato in una guarnigione posta a difesa di un punto strategico al centro della
Sardegna dove già operava una postazione contraerea allora sotto il comando tedesco.
Cagliari fu bombardata e la cittadinanza iniziò lo sfollamento verso i paesi vicini
meno esposti agli eventi bellici. Luigi si adoperò perché la sua famiglia potesse essere
ospitata in un paesino nelle prossimità della caserma nella quale lui prestava
servizio. Fece avere alla moglie tutte le istruzioni per raggiungerlo perché a lui non
fu permesso di andare a prenderla. Fu un viaggio avventuroso effettuato con mezzi
diversi, prima in corriera, poi in treno e di nuovo in corriera perché la stazione di
Cagliari era inagibile per i danni subiti dalle incursioni aeree nemiche. Due giorni
di viaggio con una notte trascorsa in una sala d’aspetto di una stazione intermedia,
ammassata fino all’impossibile con donne e bambini che dormivano sulle panche
di legno ma per lo più accovacciati per terra, appoggiati alle balle della roba che si
era riusciti a portar via da casa: coperte e lenzuola annodate con dentro indumenti
e stoviglie varie. Si restò lì quasi l’intera notte in attesa dell’arrivo del treno che consentisse
la ripresa del viaggio. Lo sbuffare della locomotiva a vapore fu quasi una
liberazione, scosse dal torpore gli animi insonnoliti e tutti, al buio, si affrettarono a
salire sul treno. Finalmente si poteva proseguire. Si giunse ad Oristano a giorno
fatto ma qui è stata necessaria una lunga sosta per il rifornimento di acqua e carbone
al mezzo di trazione e la ristorazione del personale di macchina e viaggiante. Si arrivò
ad Abbasanta a metà pomeriggio e da qui si doveva proseguire ancora in corriera
ma dopo un chilometro questa andò in panne: una gomma si era sgonfiata ed
il mezzo non aveva in dotazione ruote di scorta. L’autista avvisò i malcapitati viaggiatori
che occorrevano almeno quattro ore per la riparazione. Per chi doveva raggiungere
le località più vicine era conveniente proseguire a piedi, potevano lasciare
i bagagli sulla corriera, si fece indicare quali erano e prese nota dei nomi: li avrebbe
scaricati lui stesso presso il Municipio o la stazione dei Carabinieri del paese di destinazione.
La moglie di Luiginu e un’altra signora, ciascuna con due bambini, erano
talmente stanche che non avevano avuto la forza di obiettare. Raccomandarono ad
una compagna di viaggio di sorvegliare i loro bagagli e si avviarono. Presero le bambine
piccole in braccio ed ai due maschietti dissero “Voi siete grandi e potete andare
a piedi”. Non si sa quale forza potesse ancora sorreggerli dopo quei due giorni di
sofferenza. Dovettero percorrere ancora sette chilometri ma finalmente arrivarono
a destinazione. C’era quasi tutto il paese in attesa di vedere is casteddarzos e tutti
si dettero da fare per rifocillare i nuovi arrivati. Si racconta ancora che al bambino
grande (poco più di cinque anni), fu data una zuppa di latte e pane e fu messo a
letto. Dormì fino alla sera del giorno dopo, un’altra tazza di latte e si addormentò
ancora fino al mattino successivo: che stanchezza!
Luiginu dimostrò di saper risolvere situazioni difficili anche durante il servizio
militare. Il suo comandante, il Tenente Fantini – insegnante elementare nella vita
civile – campano, richiamato alle armi e inviato in Sardegna, comunicò che sarebbero arrivati il giorno dopo altri quattordici reclute ma non avevano ancora le
brande per alloggiarli benché il provvedimento del Comando Centrale annunciasse
l’arrivo anche di queste ma non specificava quando.
Il Caporale Luigi ricordò al Tenente Fantini che avevano nel magazzino scorte un
buon numero di tende da campo con doppio telo e che opportunamente imbottite
con paglia e fogliame secco di granturco, anche questo disponibile per l’alimentazione
del muli assegnati al presidio, potevano diventare dei materassi sufficientemente
comodi, almeno per qualche giorno, in attesa che arrivassero le brande. Il
Tenente diede l’ordine ed il Caporale eseguì facendo fare il lavoro agli stessi coscritti
appena arrivati. La situazione, almeno per ora, era salva.
Il Tenente-Maestro Fantini apprezzò il senso pratico e le capacità organizzative del
Caporale e, conscio che questi non aveva alcun titolo di studio, iniziò l’insegnamento
delle materie scolastiche fondamentali e lo preparò, in pochi mesi, per poterlo presentare
da privatista all’esame di licenza di 5A elementare che Luigi conseguì nella scuola
dello stesso paesino vicino alla caserma.
Ciò contribuì a fargli avere l’avanzamento a Caporal Maggiore e qualche lira in più
nella decade non guastava per un militare di bassa forza con famiglia a carico.
Il pensiero correva spesso alla casa lasciata a Cagliari sua città d’adozione. Quando vi
sarebbe potuto ritornare? Come l’avrebbero trovata? Era stata distrutta dalle bombe?
Il capovolgimento degli eventi bellici cambiarono radicalmente la situazione.
I militari tedeschi furono costretti a lasciare le loro postazioni di comando affrettandosi
a partire mentre in Sardegna arrivavano le forze alleate. In breve tempo ci fu lo
scioglimento dei ranghi ed il congedamento dei militari richiamati.
Luigi fece un viaggio a Cagliari per verificare la situazione, le condizioni della casa e
la possibilità di riprendere il lavoro da civile cittadino.
Cagliari era distrutta, piena di macerie. La sua casa fortunatamente era rimasta in
piedi ma era stata depredata di ogni bene. Gli abiti buoni, usati solo per il matrimonio
ed il battesimo dei figli non c’erano più. Lenzuola, coperte, tovagliato, piatti, posate ecc. era stato portato via tutto. Si doveva ricominciare da zero. Dei signori Dessalvi non si aveva notizie: Erano sfollati? Erano vivi? Chissà.
Presi accordi per la ripresa del lavoro in un altro panificio, Luigi riportò la famiglia a Cagliari. Pur nelle difficoltà non gli era mai mancata la volontà di rivincita e la grande determinazione di voler realizzare il bene per i propri cari. Ebbe altri figli e tanti nipoti.
Qualche figlio e molti nipoti raggiunsero la laurea in varie discipline scientifiche. Il tutto nato dalla ferma volontà di un ragazzetto che si ribellò ad un destino sfortunato e perseguì un suo ideale di vita. Che tempra d’uomo! Con i tempi la società è cambiata grazie a Luiginu e tanti uomini come lui.
Dopo molti anni, S.Avendrace come sei cambiato, non solo per la ricostruzione dopo gli eventi bellici, il casello daziario non c’è più, sono sorti attorno i rifornitori di benzina, la panetteria con forno a legna, è diventata una pizzeria da asporto e consegna a domicilio, ma sei cambiato nel pensiero allegro di una volta, nello spirito della gente che non si riconosce più e si rifugia nell’individualismo e nell’anonimato. Restano i ricordi felici di una vita difficile ma allegra, della solidarietà della gente che oggi non c’è più.

Chiesa della Medaglia Miracolosa (oggi)

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