Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (6)
Su proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il sesto raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21.
Massimo Murgia
Anni Cinquanta
Negli anni cinquanta. quando noi eravamo bambini, il tempo passava più lentamente. – segue –
Giocavamo, si rideva e si scherzava, ma soprattutto si sognava. Si sognava? Cosa? Si immaginava una vita diversa, come? Diversa.
I giochi erano i più disparati, sa bardunfula, oggi direi la trottola. ma non è la stessa cosa.
Sa bardunfula, la si utilizzava per giocare in strada negli sterrati, fra gruppi di bambini più o meno coetanei, senza adulti a custodirci, perché le strade erano un luogo sicuro senza insidie, come fossimo in casa propria, si perché le case erano sempre aperte, perché con i vicini di casa ci si comportava come fossimo una sola famiglia, si entrava nelle case senza suonare il campanello o farsi annunciare al videocitofono.
Torniamo a sa bardunfula, era più bravo e vinceva chi la faceva girare per un tempo più lungo, sempre o quasi il più grandicello del gruppo, ma gli sconfitti “pensavano” cresceremo anche noi e presto saremo più bravi, perché la ruota era già stata inventata e la vita è come una ruota, sa bardunfula zummiada de prusu si girada prus’ allestru. La differenza con la trottola è semplice, essa normalmente gira perché schiacciando velocemente il pomello in testa all’asse della vite senza fine, gira e suona una musichetta programmata, sa bardunfula zummiada, senza
programmazione ma solo se il bambino che la lancia ha avvolto lo spago bene e il lancio riesce a modo. La differenza è importante: zummiada sa bardunfula, un gioco artigianale, suona la trottola un oggetto industriale, ma i tempi sono diversie gli anni sono passati.
Tanti altri giochi semplici ed utilizzati a seconda del gruppo e della quantità di bambini in campo, a proposito di campo noi non avevamo le palestre né la piscina ma neppure sale ricreative, s’arruga fiada, po nosu, su logu po giogai “La stradaera, per noi, il luogo per giocare”.
Si giocava a rincorrerci, a nascondino, a luna monta, a campana, a saltare con la fune, a tirare la fune, a birille, a tappi, al giro di Francia con i tappi o le birille, a ciri-meli, ed altri modi. Ciri meli, lo si giocava in due bambini uno battitore l’altroricevitore, due pezzi di legno uno corto dodici-quindici centimetri con gli estremi tronco conici l’altro detto la mazza di circa sessanta centimetri, in cosa consisteva il gioco: il battitore con la mazza dava un colpetto all’altro pezzo che essendo poggiato per terra, colpito ad una estremità saltava soltevandosi da terra, in quel momento
la bravura del battitore era di ricolpirlo al volo e mandarlo il più lontano possibile. L’avversario, ricevitore, se bravo, aveva il compito di prenderlo al volo con le mani e se vi riusciva si aggiudicava il punto e si invertivano le parti. E così via a seguire, ma, quasi sempre, vi erano gli imprevisti, normalmente non terminava il gioco con un vincente e uno sconfitto, ma uno rideva e uno piangeva, perché prima o poi il ricevitore veniva colpito dall’attrezzo e talvolta con qualche bernoccolo finiva il gioco.
La strada, il vicinato, gli amici, i parenti, i conoscenti, tutti questi termini, nell’atmosfera del periodo, identificavano la famiglia una grande famiglia, oggi si direbbe una famiglia allargata.
Gli anni quaranta e cinquanta, o meglio l’immediato “dopo guerra” questi giorni si ricorda una delle date più tristi del XX Secolo, il primo settembre “settantesimoanniversario dell’inizio della seconda guerra mondiale”. Per noi bambini, io sono nato nel ‘46, inconsapevoli di cosa fosse successo ma soprattutto inconsapevoli di cosa stessimo vivendo, non era solo il tempo del gioco e della spensieratezza.
Era iniziato il tempo della ricostruzione, del bisogno di lavorare a testa china e talvolta col paraocchi, per recuperare quanto si era perso. Prescindendo dalle motivazioni politiche o dalle responsabilità “non mi compete, non è l’occasione né il momento, e non sono in grado di valutare nel bene e nel male cosa è avvenuto”. Ricordo soprattutto a Cagliari il Quartiere della Marina e di Stampace, palazzi parzialmente abbattuti e sventrati, quindi inutilizzabili perchè pericolanti, ma tutti, a tutti i livelli, si adoperavano per la ricostruzione e cercare di dare a noi bambini
l’esempio di volontà, laboriosità, attenzione ed educazione al rispetto di tutto e ditutti, perché tutti dovevamo fare i sacrifici “oggi Cagliari è bella”.
A scuola le classi erano sovraffollate, un anno, forse in prima o in seconda elementare, eravamo in cinquantadue, nei banchi di legno predisposti per due alunni,
ci mettevano in tre bambini, forse era un bene ed anche un vantaggio, sentivamo meno freddo e non vi era bisogno di accendere l’impianto di riscaldamento, tanto non c’era.
In Via San Quintino a Pirri (a scuola), la maestra Sig.ra Serra, fra fare l’appello, dire “fate silenzio” e rimproverarci, aveva poco tempo per poi insegnarci qualcosa, poi passava il bidello con la caffettiera a versare l’inchiostro nel contenitore in ogni banco, “la penna a sfera non era ancora stata inventata” utilizzavamo la penna col pennino, dalle otto e trenta a mezzogiorno e mezzo il tempo volava. Credo che in prima elementare nel primo trimestre forse avevo imparato a fare le aste e i puntini.
Ma poi abbiamo recuperato ed imparato anche a leggere e a scrivere. L’ottimismo era nell’animo di tutti, in modo particolare in noi giovani vi era la voglia. la volontà, la necessità di emergere e come fosse una grande sfida di superarci l’un l’altro sia nel mondo del lavoro, nello sport e sopratutto nella scuola.
Emergere sarebbe significato oltre che migliorarsi individualmente, era utile ed importante collaborare a far crescere un sistema economico che in quegli anni aveva proprio bisogno di tutti. Il lavoro femminile era quasi inesistente, anche gli uomini avevano problemi nel trovare lavoro, per questo motivo molti padri di famiglia intrapresero la via dell’emigrazione per poter, sotto un certo aspetto garantire un minimo di reddito ai propri cari.Siamo la generazione che ha e stà vivendo il maggior cambiamento ed evoluzione della storia. Abbiamo conosciuto lavorare la terra con l’aratro a mano, trainato daicavalli e dai buoi, ma abbiamo anche assistito all’allunaggio dell’uomo, ed ai giorni attuali l’elettronica ci permette infinite funzioni, collegamenti audio e visivi in tempi inimmaginabili solo qualche decennio fa. L’evento che a mio parere ha rivoluzionato, modificato e migliorato il modo di vivere, di condividere e di passare ore in compagnia per vedere ed ascoltare per poi parlare commentare e confrontarsi, è stato, nell’anno 1954, la televisione.
Questo oggetto è lo strumento che con le immagini ha permesso per la prima volta di vedere luoghi e persone in tempo reale, in diretta, contemporaneamente in tutto o quasi tutto il mondo. Sentire ed ascoltare la radio era interessante, ma seguire i programmi televisiviera stupendo e meraviglioso. Poche famiglie in quel periodo potevano permettersi di acquistare questa eccezionale novità, di conseguenza, riprendendo il termine vicinato.
Si sono così creati (oggi si potrebbe paragonare ai così detti circoli ricreativi), nelle case, come dei piccoli cinema, pur di assistere ai programmi televisivi si stabilivano dei gruppi e turni di partecipazione ad assistere agli spettacoli, noi bambini preferivamo La tv dei ragazzi alle cinque di pomeriggio, gli adulti gradivano i telegiornali ed i programmi serali.
Venivano trasmessi programmi culturali, scolastici, sportivi, di varietà, etc., unofra i più seguiti è stato sicuramente “Non è mai troppo tardi”, una trasmissione che ha portato la scuola elementare dentro le case, aiutava ed insegnava, e molti adulti, potevano acquisire le stesse nozioni che insegnavano a scuola a noi bambini, e per molti adulti era l’unica opportunità per imparare a scrivere e leggere perché essendo cresciuti nel periodo bellico solo pochi avevano avuto l’opportunità, la possibilità e la fortuna di frequentare le scuole. Era anche una occasione di collaborazione
fra noi bambini e gli adulti con i quaderni a confronto. Io in terza elementare, seguivo il programma insieme ad un mio zio che essendo nato nel ‘39 non aveva frequentato le scuole e lavorava come apprendista imbianchino e la sera insieme facevamo i compiti.
Altro programma molto seguito è stato “Lascia o raddoppia”, (proprio ieri è scomparso il creatore, l’uomo guida, l’inventore e per molti anni maestro della tv il Sig. Mike Bongiorno che saluto e ringrazio per quanto ha dato e fatto per la divulgazione e stimolato alla crescita culturale con dei programmi apparentemente banali, ma ancor più attraevano ed attiravano a concorrere perché i premi stimolano a fare e dare di più.
Per noi bambini ogni cosa era una novità, prendere il tram per andare da Pirri “Pirri pur essendo un quartiere di Cagliari era distaccato dal centro urbano della città” a Cagliari era come se dovessimo andare a far un lungo viaggio ed era quasi una festa, incontrare tanta gente, osservare le vetrine dei negozi e vedere tante, molte cose nuove, era scoprire ogni momento un altro mondo.
Ricordo che in città, circolava a piedi molta più gente di oggi, perché a Cagliari vi si accedeva con pochi mezzi, come detto col tram, i provenienti da Pirri, Monserrato, Selargius, Quartucciu e Quartu Sant’Elena, con poche corriere o col treno (le linee ferroviarie non sono cambiate molto) dagli altri paesi. Autovetture non ne circolavano tante, e poi dal Continente nel porto di Cagliari in via Roma, come fino a pochi anni fa, attraccavano le navi provenienti da Civitavecchia, da Genova e talvolta da Napoli. In quelle occasioni il flusso pedonale, sopratutto nel centro della città era notevole.
Ricordo una fila interminabile di uomini in bicicletta che passava in piazza Italia a Pirri in direzione Monserrato – Cagliari la mattina e in direzione contraria la sera,
erano tutti gli operai prevalentemente del settore edile che la mattina andavano a lavoro con grande lena e cantando o fischiettando, e la sera silenziosamente percorrevano
la strada inversa stanchi dopo una lunga e dura giornata di faticoso lavoro.
In quegli anni non vi erano betoniere, ruspe, montacarichi o similari, il lavoro era prevalentemente manuale senza mezzi meccanici, ecco da cosa derivava il silenzio del rientro “dalla fatica fisica”.
La fatica di molti, i pochi soldi che arrivavano dal continente o dall’estero inviati alle famiglie dagli emigranti e la tanta buona volontà della maggior parte dei cittadini è servito e ci ha fatto conoscere i tempi attuali ma soprattuto una grande ma bella città: Cagliari capoluogo della nostra Sardegna.
Vi saluto con l’augurio che le nuove generazioni migliorino ed accrescano il poco fatto da noi della terza età.
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