Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (2)
Su proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo oggi, dopo l’esordio di ieri, il secondo di una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti, ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, sul filo della memoria, Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione. .
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Nella Senis
Sant’Avendrace
Mi chiamo Nella Senis e sono nata 74 anni fa nel quartiere di Sant’Avendrace. Sono andata via a 37 anni ma il rione l’ho portato sempre nel cuore.
Sant’Avendrace, quando ero bambina, era come un paese. Gli abitanti erano artigiani e pescatori. Il nostro “mare” era lo stagno, nelle case dei pescatori si facevano le reti, le nasse, i palamidi e tutte le altre attrezzature che servivano alla pesca. Gli arsellai andavano nelle case a vendere per pochi soldi le arselle appena pescate. A parte l’odore dello stagno tutto il viale profumava delle fave lesse che vendeva Giacomino.
Quasi tutte le case allora avevano un cortile interno e chi poteva faceva il pane e i dolci nel forno a legna.
Nel viale la domenica sembrava sempre festa. Allora passava il tram e venivano apasseggiare i giovani degli altri rioni. A Sant’Arennara i divertimenti erano pochi ma per fare festa bastava una chitarra, una fisarmonica o un giradischi. In qualche famiglia, per far contenti i figli, si spostavano i mobili per ballare tutti insieme: era una cosa bella e pulita. Io abitavo in Vico IV con mio padre, mia madre, due sorelline e un fratellino. Oggi Vico IV, come l’ho conosciuta io, non c’è più: hanno fatto un deposito di pullman.
In tempo di guerra Vico IV era un passaggio libero per salire al monte, dove c’erano le grotte in cui si rifugiava la gente del quartiere durante le incursioni aeree. Noi ci rifugiavamo nella grotta che dal monte portava a via Is Maglias. Ce n’erano altre più piccole: sa Grutta de Su Pastori e sa Grutta de Su Stiddiu.
Nel dopoguerra queste grotte vennero abitate da persone senza alloggio.
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Foto (per ora mancante)
vico IV S. Avendrace fine anni ʻ50
Il vicolo stava di fronte a Pirlo. Uno dei portoni che davano sul vicolo era una stalla che ospitava cavalli e asini. La padrona, la signorina Mariuccina, faceva la maestrina e teneva noi bambini per mezza giornata. Nel cestino della colazione portavo il pane e un mandarino che il babbo portava da Castiadas, dove andava per lavoro.
Ripensandoci adesso, mi sembra ancora di sentirne l’odore. Tutti gli anni si aspettava con gioia la festa di Sant’Avendrace perché c’erano tre giorni di festa. Seguivamo la processione con la banda e, con le ragazze più grandi, la sera andavamo ad ascoltare l’orchestrina, anche se bastava aprire le finestre di casa per sentire la musica. Qualche anno fa sono andata ad ascoltare la Messa e seguire la processione per la festa di Sant’Avendrace ma era tutto diverso da allora: con nostalgia ho ripensato ai vecchi tempi e alle cose semplici rimaste dentro al cuore.
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