Governo della Regione. Si può fare di più, molto di più. La Sardegna ne ha bisogno. DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO
Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Alessandro Mongili che ha scritto l’articolo che sotto riproduciamo per la rivista on line SardegnaSoprattutto.
La fine dell’indipendentismo?
di Alessandro Mongili
- By sardegnasoprattutto/ 12 settembre 2015/ Società & Politica/
Ci sono vicende che segnano, o illuminano, intere fasi politiche. Fra di esse, la dadaista vicenda del sindaco andata/ritorno Delunas sicuramente impressiona, diverte, e insieme deprime. Impressiona per la cecità di questi politici sardi. Diverte perché aggiunge una nota di grottesco e di ubuesco alle solite squallide menate della politica sarda. Deprime perché non si vede alcuna alternativa, non solo a Cuartu Sant’Aleni/Quartu Sant’Elena, ma in tutta l’Isola.
Sgovernata in modi subprefettizi e inefficaci dall’agGiunta Pigliaru-Paci, appena distinguibile dalla precedente (stessi consulenti ora assessori, stesse idee, stesso disprezzo per i Sardi, stessa subalternità ai poteri esterni), la Sardegna assiste sgomenta al suo saccheggio e alla sua svendita al miglior offerente. In tanti non abbiamo dato più fiducia alle forze politiche che, all’interno di un indimenticato clima da suburra politica, hanno partorito questa agGiunta dei sottoprefetti formata ai miti della modernizzazione tzeraca e dell’economicismo conformista.
In molti abbiamo lavorato alla ricerca di alternative politiche. Su questo percorso abbiamo incontrato una vivace tendenza indipendentista che, in Sardegna, ha osato per anni porre i nostri problemi di dipendenza al centro della propria agenda. In questo momento possiamo dire che questo incontro non si sta rivelando molto fruttuoso.
Esiste un’impasse pericolosa. Questo a causa della crisi quasi mortale che ha colpito l’indipendentismo (come cultura e pratica politica) nel suo momento di passaggio da una rete di piccoli gruppi alla scoperta di avere, di poter avere, un consenso elettorale, e dunque di doversi dotare di un’organizzazione meno personalistica, per poter sviluppare una leadership politica rivolta all’insieme della società sarda.
Una parte dell’indipendentismo, ricordiamolo, ha cercato di influenzare l’agenda politica e la composizione del gruppo ora al potere. La vicenda del c.d. sovranismo sardo è cognata del sardo-fascismo e della subalternità sardista alla sinistra, e poi alla destra, nella costante illusione di poter moderare i baroni, senza passare dalla noiosa fase della creazione del consenso e del lavoro politico e culturale insieme. Essa ha prodotto esiti grotteschi su cui, per carità di patria, in tanti evitiamo di esprimerci.
Un’altra parte ha cercato di costruire l’alternativa politica. Essa si è ritrovata davanti una legge elettorale degna di al-Sissi, ma anche ad alcuni propri limiti. Il primo è quello di non aver capito (nonostante l’esperienza grillina che, sotto questo aspetto, è significativa) che l’alternativa alla politica delle agGiunte e delle camarille non può essere solo ideologica o comunicativa, ma soprattutto organizzativa. Infatti, non basta la comunicazione intelligente, né le parole d’ordine che richiamano un’ideologia nazionalitaria (rigidamente in lingua italiana) per andare avanti, ma bisogna fare dei concreti passi indietro nel controllo delle dinamiche da piccolo gruppo di discepoli e amici per la pelle.
Bisogna lavorare alla creazione di un’organizzazione politica che promuova il protagonismo, l’attivismo, e in un quadro democratico. Infatti, la politica dei piccoli gruppi va bene per testimoniare una fede, ma nelle sue dinamiche interne è omologa a quella delle camarille al potere, funziona anch’essa sulla base della fedeltà ai capi e capetti, e sulla cooptazione dei più fedeli. Dunque, è inefficace se la scala si fa più ampia. Ci vuole apertura e la forza di rimettersi in discussione, che è mancata. Ci vuole un superamento del minoritarismo che non c’è stato, ad esempio nell’apertura alle competenze su cui invece Pigliaru ha giocato con efficacia una partita elettorale (per poi, ovviamente, negarla nelle pratiche di governo).
Il secondo è l’attuale tentativo di inserirsi in giochi politici locali che non sembrano avere alcun respiro significativo di medio e lungo periodo, cioè un tatticismo senza visione politica. Infine, la mancanza di una radicalità necessaria ad ogni innovazione, anche politica, puntando su programmi di cambiamento nelle politiche economiche e sociali, e di orientamento culturale. In particolare, l’insensibilità ai temi del reddito e del lavoro, e ai temi della politica linguistica, su cui molte forze e molte energie si sarebbero potute e si devono aggregare.
Se l’interesse è quello di integrarsi nel ceto politico sardo e nelle sue pratiche, gli indipendentisti dovrebbero studiarsi i percorsi analoghi dei sardo-fascisti e del sardismo classico, che in ogni caso ha portato alla marginalità e alla sconfitta dei loro stessi promotori.
Se l’interesse è quello di cambiare la cultura e le pratiche politiche della Sardegna, a me sembra che l’arroccamento ideologico e l’incapacità di fare passi indietro dei piccoli gruppi (e di aprirsi alle forze innovative presenti nella società sarda e nel disterru) contribuisca a segnare i prossimi anni come una fase di stagnazione politica e di assenza di cambiamento. Non si sente la necessità di nuove élite autopromossesi tali, ma di costruire reti eterogenee che generino azione politica innovativa e efficace a difesa dei nostri interessi.
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In Sardegna s’invera l’antico sogno: il governo dei sapienti
15 Settembre 2015
Ma vi sembra che occorresse trasferire pezzi degli Atenei sardi in viale Trento n. 69, giunta regionale, per chiudere le scuole nei paesi e non dotarli dei pullmini necessari per il trasporto a scuola, ridurre la continuità territoriale e i collegamenti col Continente, chiudere gli uffici postali, dismettere caserme dell’Arma, incrementare la disoccupazione, accrescere l’aggressione di faccendieri con pale al vento, pannelli al sole e trivelle sotterra? Attacco dal cielo, dal mare e da terra, vien da dire. Pubblica amministrazione bloccante, comuni ridotti a erogatori non di servizi, ma di divieti, sanzioni pecuniare e tasse. E colmo dei colmi si inaugurano treni superveloci, che però…stan fermi in stazione. Avete visto la foto di Pigliaru e Deiana sul treno? Pronti? Si parte. In poco più di un’ora siamo a Sassari. Ma il treno è lì statico, a far ruggine. Ci vogliono dei cattedratici per questi quadretti di pura comicità, degni di Totò e Peppino?
Può sembrare un paradosso, ma la gestione di gente comune, dotata di ordinaria cultura e di palle di media portata avrebbe dato di più. Sì perché, in fondo, in un assetto istituzionale caratterizzato da una stretta neocentralistica, questo ci vuole, mostrare al governo gli attributi e tenere dritta la schiena. Non è un autonomismo rivendicativo ormai demodé, è l’unico modo di difendere gli interessi e i diritti elementari delle popolazioni in epoca renziana.
Ma i nostri cattedratici, che dovrebbero essere esempio fulgido di autonomia anzitutto intellettuale, si prostrano senza ritegno. Quando mai contestare! Roba da plebi incolte! Non è da loro. Loro han cervello, raziocinio… capiscono le ragioni del governo. E poi, manco a dirlo! sono renziani, non per opportunità, s’intende, sono convintamente renziani.
I cattedratici ci stanno convincendo tutti che la regione e forse meglio abolirla. Quanto risparmio di denaro! Quanta maggiore snellezza nelle procedure amministrative! In fondo 15 mila dipendenti dovranno pur far qualcosa! Procedure, procedure, procedure. Se non ci sono le inventano. C’è una mio amico a cui è crollato un pezzo di tetto nella sua casa in paese ed è sette mesi in attesa dell’autorizzazione per rifarlo. E non è che voglia farsi la solita inutile mansardina. No, il tetto lo deve rifare tale e quale era prima! Ma sapete, nel Sulcis deve ottenere anche il nulla osta nientemeno del parco geominerario! Sissisignori, proprio così, del parco geominerario, oltre che della sovrintendenza e del comune. Ricordo, quando ero bambino, zio Peppino ebbe una incombenza simile. E sapete cosa fece? Chiamò subito il compare Efisio che, per pura sorte, era su maistu de muru de bidda (il maestro di muro, oggi, più volgarmente, muratore) e in quattro e quattr’otto il tetto fu bell’e rifatto, prima delle piogge. Ora invece il mio amico affronterà i rigori dell’inverno con la casa scoperchiata…in attesa di autorizzazione! Poi alla fine Comune, sovrintendenza e parcogeominerario gli diranno l’unica cosa ovvia e scontata, che può rifare il tetto. Ma volete che se gli avete presentato un’istanza per zelo legalitario, non facciano tutti una bella istruttoria, un sopralluogo a testa e una consulenza tecnica congiunta! E infine una efficace conferenza di servizi per decidere l’ovvio! Certo che non si lasciano scappare una bella procedura d’aria fritta per poi giungere al risultato a cui fin dall’inizio il buon senso avrebbe condotto: che il tetto è da rifare!
In tutto questo mare di assurdità, che bloccano l’isola e accrescono a dismisura i costi di qualunque attività, i professoroni, maestri di riforme e di razionalità, non hanno inciso in nulla. E, detto in confidenza nulla faranno. Sembrano lì per vanità o pura sete di comando o, come io credo, per inverare l’antica sogno dei filosofi: il governo dei sapienti. Ma in terra sarda, dal mare a i monti, dai pescatori ai caprari, c’è qualcuno che li prende sul serio? Chi è per il sì alzi la mano!
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