Oggi, giovedì 10 settembre, cabudanni, 2015
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Gli orti urbani possibili (foto di Paolo Erasmo).
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Da La Nuova Sardegna 10 settembre 2015 giovedì
Giovani e integrazione
Le emergenze umanitarie sconvolgono la storia e la geografia, impossibile non tenerne conto. Imitare la Francia: ritornerà l’insegnamento dell’educazione civica
di Giovanni Maciocco
Il rientro dopo la pausa estiva è sempre stato, anno dopo anno, il ritorno in questo”campo magnetico” che è la scuola, in cui ogni scolaro è attratto per costruire la persona che vuole essere in relazione al mondo. Ma in questo anno, discriminante epocale tra il prima e il dopo per le emergenze umanitarie che sconvolgono la geografia e la storia, il rientro non sarà più come prima. Perché la scuola sentirà di dover imprimere sul progetto educativo i significati profondi di queste tragedie che scuotono le coscienze interpellandole sui destini della nostra ragione morale. Una svolta educativa con il focus spostato sulla sfera dell’etica dove i metodi educativi sono costretti a confrontarsi con i valori. È ciò che ritroviamo nella notizia lanciata da Le Monde il 31 agosto sul grande ritorno dell’educazione civica, annunciato da Najat Vallaud-Belkacem, ministra francese dell’educazione, molto determinata sulla scansione temporale della sua agenda politica “post-Charlie”. “La grande mobilitazione della scuola per i valori della Repubblica non può attendere il 2016″, è stata infatti la risposta della ministra a ogni richiesta di rinvio. In che cosa consiste “il nuovo insegnamento morale e civico” introdotto Oltralpe per la ripresa scolastica? Quattro “culture” o “valori” morali e civici su cui dovrà ruotare la scuola dell’obbligo: la sensibilità (comprendere le proprie emozioni e quelle degli altri); il diritto e la regola (il senso delle regole del vivere insieme); il giudizio (il pluralismo delle opinioni); l’impegno (il principio della comunità di cittadini). Con un tempo ufficialmente dedicato a questi valori e senza alcuna amputazione a favore di altre discipline. Questo, per ribadire che “la formazione della persona e del cittadino”sarà il nuovo bagaglio di ogni alunno alla fine della sua scolarità obbligatoria. Sono i valori che associamo alla scuola e a un tempo alla città, l’ambiente formativo per eccellenza ben radicato nella polis greca, luogo di nascita della politica e della democrazia e della concezione europea dell’uomo. Questo connubio quasi originario non è una novità essendosi spesso materializzato in molti progetti di scuole come microcosmi urbani autonomi, città nella città. Che la scuola e la città riscoprano l’essenza primordiale dei principi comuni conferisce alla scuola un ruolo di prima linea, di avamposto dell’accoglienza di tutti i rifugiati del mondo perché è in questo “campo magnetico” che il cammino educativo trasforma un essere umano in una persona e in un cittadino. Occorre perciò una profonda discussione e un ridisegno dei modelli formativi prevalenti, rifiutando nel contempo ogni semplificazione efficientista degli spazi educativi nella vita urbana. Quelle vite disperate ci indicano un faro che ci orienta tutti, un “nuovo corso”della scuola e, attraverso la scuola, delle città e dei territori. Richiamando le istituzioni pubbliche a ridurre le distanze tra imperativi morali e azione politica, e modificando, se necessario in modo radicale, il quadro delle priorità. Se città e scuola sono accomunate dalla ricchezza dei valori spirituali, la scuola dovrà essere sempre più ubiqua ricercando in ogni angolo del territorio, con la sensibilità di un sismografo, ogni fisionomia peculiare di questa ricchezza per coltivare l’educazione dei cittadini e misurarne la condizione urbana. E poter così raggiungere anche il bambino filippino che studia alla luce di un lampione e con lui tutti i Daniel del mondo. Con un impegno centrato sugli insegnanti, necessariamente più numerosi, sui modelli formativi e sugli spazi dell’educazione per dare forma a risposte plurime di qualità, diffusione, e sostenibilità. Sembra un muro invalicabile, ma occorre scalarlo: è ciò che chiamiamo progetto e se lo si usa come uno strumento di conoscenza apre possibilità all’impossibile. È un momento nel quale si annuncia il futuro perché, come direbbe Walter Benjamin, si avverte per la prima volta ciò che solo più tardi sarà nominato.
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