Oggi mercoledì 2 settembre, cabudanni, 2015
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Urbanistica e turismo
Non basta avere un brand se manca il senso della città
Vanni Maciocco, su La Nuova Sardegna on line, 2 settembre 2015
Per la Costa Smeralda Regione e fondo sovrano del Qatar dovrebbero lavorare a un progetto di civitas estesa Un buon posto per vivere, dove nascere e morire
Nei contatti in corso tra la Regione e la proprietà della Costa Smeralda, il fondo sovrano del Qatar, si giocano i destini di una vicenda che ha fatto entrare la Sardegna nella corsia preferenziale del turismo internazionale. L’attenzione generale sembra essere unicamente mirata sull’invocazione bipartisan – di parte protettiva e di parte trasformativa – “regole certe per le costruzioni”, ma il piano delle riflessioni, lo dico con rispetto, sta forse più in alto. “Quando ho progettato Porto Cervo mi sono posto il problema di esprimere una presenza ai naviganti che venivano dall’azzurro mare e che avrebbero gradito approdare verso altre forme e altri colori”. Pronunciate nel 1987 da Luigi Vietti, capo del team che ha progettato la Costa Smeralda nei primi anni ’60, queste parole, confrontate con quelle di Salvatore Satta, secondo cui da noi “…se non si è uccelli o cacciatori, non si viene dal mare”, scattano l’istantanea di un brand come paradiso turistico della Jet Society. Benché la realtà odierna sia ben più complessa, l’immagine resiste e, a ben guardare, è la versione ante litteram di un concetto di strategia urbana oggi geneticamente modificata in strategia d’impresa, adottata dalle città in competizione per attrarre gli investimenti. Espressioni come marketing urbano o territoriale, proprie dell’economia d’impresa, sono entrate per questo a far parte del lessico urbanistico e spiegano la corsa delle città ad accaparrarsi i finanziamenti delle grandi ricorrenze per rinfrescare l’immagine internazionale, come ad esempio Barcellona ’92 con le Olimpiadi. Questo confronto mette però a nudo il problema cruciale: a Barcellona la città c’è e ha solo aggiornato l’immagine, in Costa Smeralda c’è il brand, ma non la città, intesa come collettività permanente. Oltre alle strutture turistico-ricettive occorrerà perciò affrontare quest’assenza come si conviene a ogni entità davvero urbana. Come, vi chiederete? Alla scala territoriale, nella quale la Costa Smeralda, non più soltanto “isola di perfetta efficienza”, può impegnarsi a rafforzare le relazioni di complementarietà con il contesto della “città di città” della Gallura sulla rete di servizi rari, al livello che le compete per l’alto rango delle sue attività turistiche, una rete peraltro illuminata dall’ultimo prestigioso arrivo, il Mater Olbia. Ma c’ è un altro passo: la partecipazione a un tessuto comune, una civitas estesa, un grande progetto territoriale di accoglienza a partire dai soggetti senza voce, i “naviganti che venivano dall’azzurro mare” delle grandi migrazioni interregionali che stanno modificando, forse in meglio, le nostre categorie morali. Con una responsabilità sull’abitare e sul lavoro da assumere superando i confini delle decisioni solo comunali. C’è anche qualcosa da fare alla piccola scala dei nuclei e degli annucleamenti della Costa, affiancando le politiche della ricettività e dell’abitare sia permanente che intermittente. È ancora una questione di civitas e, se ci pensate, ciò che si chiede nella sostanza a una politica del turismo: che le città e i territori diventino sempre più accoglienti, che i turisti si sentano cittadini e, magari, lo diventino. Per far sì che un buon posto per vivere diventi anche “un buon posto per nascere e per morire”. E l’urbs, il luogo della città? La riqualificazione delle strutture ricettive è l’occasione per riscoprire la natura di quei luoghi, ciò che sarebbero voluti diventare prima che il disegno labirintico delle lottizzazioni nascondesse il mare alla terra. Luoghi potenti e caratterizzanti dove le insenature descrivono la storia naturale del percorso paleofluviale tra la terra e il mare. Si potrebbe iniziare da qui, dalla scoperta delle tracce di una ritrovata coerenza tra l’insediamento e il luogo. È il “progetto ambientale”: richiede che ogni gesto, anche il più piccolo, abbia da oggi in poi lo scopo di rivelare i segni ambientali che presiedono alla nostra vita nello spazio, quelli che ci fanno sentire a casa in ogni luogo.
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