Abbattere statue
Abbattere statue
di Nicolò Migheli (da Sardegnademocratica)
Un gruppo di indipendentisti ha occupato la statua di Carlo Felice, nel largo omonimo a Cagliari; hanno ricoperto il monumento con un telo bianco, rivestendolo dei Quattro Mori. Di fianco alla statua sono stati issati cappi che ricordano i cagliaritani uccisi dopo la congiura di Palabanda del 1812. Salvatore Cadeddu, Raimondo Sorgia, Giovanni Putzolo giustiziati. Gaetano Cadeddu, Giuseppe Zedda, Francesco Garau, Ignazio Pani condannati a morte in contumacia. Giovanni Cadeddu e Antonio Massa condannati all’ergastolo e Giacomo Floris e Pasquale Fanni al remo a vita. I congiurati cagliaritani sono ricordati solamente da una lapide nascosta nell’Orto botanico.
Gli organizzatori della protesta vorrebbero che la statua del Savoia venisse provocatoriamente spedita a Torino e quel luogo intitolato ai martiri dell’assolutismo sabaudo. Il gesto è oggetto di forti discussioni e recriminazioni nel web, l’agorà dei nostri tempi. I promotori dell’iniziativa vengono, da alcuni, paragonati ai talebani afgani che abbatterono con il plastico le millenarie statue di Budda a Bamiyan. Sempre da questi, definiti come barbari che vogliono stravolgere la storia della città. La reazione emotiva di molti cagliaritani è comprensibile. Le scuole non insegnano storia sarda. Di noi sappiamo poco o nulla, come scriveva Sciascia” Quello che non si sa non esiste.” Di conseguenza nel tempo quella è una statua che ha cambiato di significato.
Non ricorda più Carlo Felice di Savoia ma il luogo dell’esposizione delle bandiere del Cagliari calcio in occasione delle promozioni o del mitico scudetto. Un arredo urbano come altri. Uno spartitraffico la cui assenza cambierebbe il profilo cittadino. Al di la di questo si rivela una concezione neutra dei simboli storici, nonché della titolazione delle vie. Su questo sito si è discusso molto in proposito, sia sulla toponomastica femminile, che sull’uso dei nomi delle strade hanno fatto le amministrazioni di destra. Pochi sanno che alcune vie cagliaritane sono dedicate a fascisti conclamati e non vi è nessuna che ricordi le vittime operaie degli scioperi di inizio Novecento. Il potere fino a non molti anni fa amava molto rappresentarsi con le statue, possibilmente equestri. Ancor di più le monarchie assolute e i regimi dittatoriali.
Oggi si preferisce essere ricordati con edifici come il Beaubourg o la nuova sede della regione Lombardia. I cambi di regime spesso portano con sé l’abbattimento dei simboli vissuti come la reificazione del dittatore e del suo potere totalitario. I nostri occhi sono pieni di Stalin rimossi, di Hussein divelti da funi legate a carri armati, di testoni di Mussolini trascinati nella polvere alla caduta del fascismo. Non sempre avviene così. In Spagna per effetto della transizione democratica ci sono voluti tre decenni per trasportare nottetempo le statue di Franco nei musei. Lo fece Zapatero. Con Rajoy starebbero ancora sui loro piedistalli.
Bisogna dire che l’iniziativa cagliaritana e le reazioni che ne sono seguite, sono un’ottima occasione non solo di discutere del nostro passato, ma di come vorremmo che venisse rappresentato. La storia viene letta con gli occhi della contemporaneità. E’ inevitabile. Di conseguenza. per i cagliaritani di oggi è più importante ricordare nella piazza più bella della città l’assolutista Carlo Felice o i loro concittadini giustiziati dai Savoia? In piazza Italia a Sassari è giusto tenersi Vittorio Emanuele II o ricordare Giovanni Maria Angioy e i martiri della Sarda Rivoluzione? La nostra rivoluzione francese e l’unico vero tentativo indipendentista dalla fine del Giudicato di Arborea. Già negli anni Settanta l’accademico dei Lincei Giovanni Lilliu propose che a Sassari quel monumento venisse sostituito con uno dell’Angioy. Nessuno lo tacitò di essere barbaro e iconoclasta.
I fatti minimi come questi ci riportano a che cosa vorremmo essere come Sardi. Un po’ come per la lingua e con i processi di auto riconoscimento. Costruiamo miti ed evitiamo di interrogarci su quello che è realmente accaduto. Le risposte potrebbero essere scomode e ci obbligherebbero ad impegnarci. Per Cagliari è un comportamento che affonda nel suo calcare. Città che ha la presunzione di inglobare ed invece tende ad omologarsi ai modelli di una modernità qualsiasi, purché sia. Si fa forte di una leggerezza che spesso nasconde un mancato interesse o peggio superficialità. Città che continua ad essere per gli altri Sardi Casteddu dei dominatori e della burocrazia opprimente. Però nessuna paura. Carlo Felice abbigliato da Cesare rimarrà dov’è, saldo sul suo piedistallo. Il suo braccio teso continuerà ad irridere una città e i Sardi. Lui che li ha dominati e martirizzati degno di un monumento. Noi indifferenti lo ricorderemo solo perché ha dato nome alla strada più importante e continueremo ad imbandierarlo per ogni vittoria significativa del Cagliari calcio. E così sia.
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Articolo di Nicolò Migheli pubblicato da Sardegnademocratica (1° novembre 2012)
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